PARTE 2

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"Zelda!" esclamò Hoshino, correndo verso di ella per abbracciarla.

"Ragazzi" cercava di controllare la sua voce, non voleva sembrare debole, come se qualcuno la dovesse proteggere. Perché chi aveva quel compito non era lì, tra loro; e non avrebbe permesso a nessuno oltre a lui di asciugarle le lacrime. Quindi parlò quasi sussurrando, ma la fermezza del suo tono rimase invariato: "Cos'è successo?".

"Il capo ci ha chiamati verso le quattro e ci ha detto di accorrere subito in piazza ***, con più agenti possibili" raccontò.

"Era arrivato un allarme di una sparatoria" intervenne Daisuke, che continuò: "I dettagli li sentirai al telegiornale, vieni con me ora". Poi, riferendosi ai compagni: "Decidete voi se rimanere qui o andare in ufficio, io e Hoshino faremo da tramite per voi". In quel momento Zelda credette, anzi ne era certa, che quel ragazzo non avesse mai parlato così tanto in pochi minuti fino a quel momento. Senza dire una parola, li seguì, i due migliori amici di Haru, e insieme entrarono in quell'edificio sterile e pieno di finestre con le serrande abbassate. L'amore della sua vita si trovava in una di queste, ed avrebbe fatto di tutto pur di portarlo fuori da lì.

Appena entrò venne investita da un odore nauseante di disinfettante e alcool, e l'aria condizionata le fece accapponare la pelle; sperò di non prendersi un raffreddore, infradiciata com'era. I due la guidarono tra i corridoi, e non prestò attenzione ai reparti che stava attraversando, il suo campo visivo si era ristretto, e non vedeva altro che pareti spoglie di un bianco accecante e grigie porte spoglie anch'esse. Non sopportava gli ospedali, le ricordavano la madre malata, le notti passate lì senza poter chiudere occhio, impaurita di ciò che sarebbe potuto succedere. E il passato si stava ripresentando, intento a bussare alla sua porta, e lei non avrebbe osato ignorarlo. Per quanto doloroso potesse essere, sempre meglio affrontarlo che negare l'evidenza.

Quasi non si accorse che i due davanti a lei si fermarono. Girò lentamente la testa, prima a destra, verso le sedie d'attesa, poi a sinistra. L'uscio di quella camera era socchiuso, e solo in quel momento notò la presenza di un vetro, una finestra rettangolare. Si avvicinò, appoggiò una mano sulla lastra gelida e scrutò ciò che le veneziane celavano. Quindi si voltò di nuovo verso i due ragazzi, che nel mentre si erano seduti, aspettando un loro segno di consenso, per poi entrare e chiudersi la porta alle spalle. La pioggia continuava a battere ostinata sull'edificio, creando un sottofondo musicale naturale.

Quello che fece in seguito fu un insieme di movimenti sistematici che furono imposti dalla sua mente al corpo inconsciamente. Osservò per una manciata di secondi la stanza (della quale non le rimase impresso nulla di significante), poi si mosse, strascicando i piedi fino alla sedia posizionata su una sponda del letto, si mise ad esaminare il pavimento, poi il soffitto, infine si sedette con la delicatezza di una farfalla. Qui si ridestò, e guardò timidamente ciò che le si parava davanti: il suo ragazzo, disteso sotto le coperte, inerme.

Aveva i capelli biondo cenere spettinati che gli ricadevano sulla fronte disordinatamente, il viso sciupato e pallido, sul collo dei graffi rossi come fiamme. Respirava a malapena, i polmoni non si stavano gonfiando come avrebbero dovuto, per questo aveva una maschera che gli copriva naso e bocca, e aveva anche la flebo sul braccio destro. Chiunque avrebbe detto che stesse dormendo, anche i dottori, ma non Zelda. Ella avrebbe definito quello stato un coma più tranquillo, ma sempre un trauma che si vive da incoscienti. E lei stava per rivolgere la parola a un corpo e una mente inerti, e non sapeva se avrebbero mai ascoltato la sua voce.

Il suo sguardo si addolcì, e apparse malinconia nel profondo dei suoi occhi, come un lampo di una tempesta in piena estate, mentre lei gli passava due dita sulla fronte, che poi scesero ad accarezzargli la guancia e ancora la mandibola e il collo. Con l'altra mano gli strinse la sua, fredda, quasi priva di vita. Zelda non pianse; avrebbe versato lacrime quando sarebbero servite, che fossero di gioia o dolore. Ma ora non c'era motivo di piangere, quanto di trasmettere la propria forza a Haru. Sì, lui era di certo più importante del suo stato d'animo. Lui era il suo angelo, e aveva bisogno che qualcuno gli curasse le ali ferite.

Il rumore dei macchinari avrebbe sovrastato la sua voce; meglio così, nessuno al di là di quella parete doveva ascoltare le sue parole, il destinatario del suo discorsino era lui. E nonostante fosse convinta che non avrebbe sentito, un lume di speranza le si riaccese nel cuore. Così cominciò, all'inizio balbettando, poi il flusso delle frasi divenne più scorrevole, diventando da ruscello a fiume; nonostante questo non disse molto, e alla fine appoggiò la testa vicino alla sua spalla, e chiuse gli occhi. La pioggia ora picchiava sulla finestra, e lo scrosciare dell'acqua ovattava il borbottio del ventilatore artificiale. Zelda tornò ad amare la pioggia, ma pregò che non si trasformasse in temporale.

Dopo un po' si accorse che qualcuno stava parlottando nel corridoio. Zelda si tirò su non capendo se si fosse addormentata o se fosse caduta solo in un dormiveglia, e si stropicciò gli occhi. Haru era ancora lì, con la stessa espressione di prima stampata sul volto. Gli passò di nuovo una mano sulla fronte, e gliela massaggiò gentilmente compiendo movimenti circolari. Quando il dottore aprì la porta per entrare e lei ritrasse lentamente la mano, le parve di vederlo sorridere da sotto la maschera.

"Signorina, sono venuto per effettuare dei controlli; lei può rimanere tranquillamente seduta" disse l'infermiere e Zelda si rimise sulla sedia, dopo avergli stretto la mano.

"Come sta?"

"Le sue condizioni sono stabili. Certo, le ferite causate dai proiettili e l'intervento l'hanno destabilizzato, ma credo si risveglierà tra poche ore"

"Ne sono sicura" e sorrise, osservando il viso ora più rasserenato del suo ragazzo.

"Qui ho finito" dichiarò dopo un po' il dottore, sospirando per la spossatezza: "Se vedi che ci sono cambiamenti, chiamami, rimarrò in questo piano. Se non mi vedi, avverti una delle infermiere"

"Lo farò, grazie infinite"

Sentì la porta richiudersi, e lei poggiò di nuovo la testa (più leggera di prima) sul letto. Il respiro di Haru era più uniforme, non singhiozzante, anche se ancora debole.

Aveva smesso di piovere. Gli uccellini cinguettavano allegramente, e il sole stava spuntando di nuovo tra le nuvole. E Zelda stava tenendo stretta la mano del suo, di sole. E questa volta si assopì, mentre il mare si calmava, e le onde si infrangevano sulla spiaggia.

𝘞𝘩𝘪𝘴𝘬𝘦𝘺 | 𝘏𝘢𝘳𝘶 𝘒𝘢𝘵𝘰Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora