vuoi comunque che ti baci?

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Chūya povs

Sentivo dei mormorii mentre uscivo dalla classe.
Non che mi importasse.
Che borbotassero pure di quanto menefreghista fossi io a scopare con Osamu, quando non so neanche il suo cognome.
Non mi importava il parere di nessuno: mi sentivo estasiato, trionfante.
Le grandi finestre trasformavano la luce del sole in arcobaleno.
I colori rimbalzavano sul pavimento, si mischiavano sui quadri e attraversavano il mio sorriso incantato.
In quel momento la scuola trasmetteva una serenità che portava quasi a dimenticare l'etichetta "puttana" e gli insulti.
Appoggiato al muro accanto al bagno ripensavo un'altra volta a lui.
Al suo nome che pronunciato dalle sue labbra mi avevano stritolato le budella.
Al suo abbraccio improvvisato che mi circondò come un'onda di calore.
Alla sua eccitazione nei pantaloni mentre mi slegavo la cintura.
Ai suoi occhi castani incollati ai miei come se non ci fosse niente di più importante di noi.

Un gemito tagliò il silenzio calmo.
Stavo per guardare in bagno ma ritirai la mano dalla maniglia perchè la voce proveniva da una ragazza dall'altra parte del corridoio.
Con la testa all'indietro e una mano stretta ai capelli non riusciva a fare altro che ansimare mentre una chioma color cioccolato gli baciava il collo e le sue dita stringevano con forza il seno pieno e le natiche.
Poi con esisenza il ragazzo alto gli sbottonò la camicetta rosa e proseguì verso il basso.
Bottone dopo bottone la camicietta aveva cominciato ad allentarsi e la parte alta si afflosciò come un fiore appassito, cadendo poi a terra.
Il seno era fasciato da un reggiseno nero con pizzo.
La ragazza dai capelli dorati se lo tolse e anche quest'ultimo raggiunse il pavimento.
Diventai paonazzo e avevo la sensazione di bruciare quando il ragazzo incominciò a leccare piano il capezzolo duro di lei.
Nonostante lei diceva di smettere, lui continuò a baciare bramoso la curva del seno, la pancia, l'ombelico e poi passò a guardare famelico la gonna.
Con due dita, bagnate dalla saliva di lei, percorre la guanca umida dalle lacrime di eccitazione, le labbra rosse, i seni tondi fino ad arrivare alle cosce.
La spinge al muro e la baciò con foga mentre gli tirò giù le mutandine di pizzo nero per intrometterci le dita bagnate.
Trattenni il fiato, di colpo.
Dalla bocca ansimante di lei scivolò giù fino alla sua parte sensibile.
Cosa successe dopo viene  coperta dal tessuto corto della gonna blu, ma avevo già capito cosa stesse facendo.
Per quanto mi concentrassi a individuare i lineamenti della ragazza mezza nuda, i miei occhi si spostavano sempre sul ragazzo inginocchiato.
Guardai l'intreccio delle vene sulla pelle chiara di lui, le sue lunghe dita nodose, le ossa sporgenti dei polsi, e di colpo sentì come un dolore alla bocca dello stomaco.
Non avevo idea cosa mi stesse succedendo, ma guardare quelle mani mi faceva venire voglia di mettermele al collo.
Eppure adesso stavano palpando il sedere della ragazza.

"Osamu ancora, ancora." pronunciava lei, tremante di piacere.
Osamu.

Osamu si alzò bruscamente, dritto, rigido, chiudeva gli occhi e lasciava che la mano di ella errasse sulle sue guance, sulle labbra, sul collo, premendo quel poco colore che era rimasto dei succhiotti.

"Uff, le ragazze dovrebbero smettere di saltarti addosso.
E tu dovresti dire a quelle puttanelle che sei fidanzato.
Capisci?." era acida e scandiva le erre con un'accento nordico, dure come roccia.
La sua voce è severa quanto lei è piccola e frivola.
Ostentava vanitosamente, come un pavone la coda, quelle sue floride rotondità.
Era bella, molto bella.
La bocca minuscola dalle labbra sottili serrate, il naso dritto, gli occhi chiarissimi, pallidi, acutissimi e singolarmente vivi che spiccavano nell'ovale un pò aguzzo del volto.
Era bella, molto più bella di me.
Mi parve di soffocare quando le loro lingue si intrecciavano in una lunga commedia del pudore.
Abbassai le palbebre quando gli occhi di Osamu, fino a quel momento chiusi, incontrarono i miei.
La saliva scendeva sinuosa dalle loro bocche.
Lo evitai entrando in bagno con il cuore che scoppiava in gola.
Avevo paura che potesse intravedere il ribollire di rabbia che mi consumava dall'interno.
Quegli occhi erano solo indirizzati a quella ragazza.
Alla sua ragazza.

Mi sentivo addosso tanto disgusto e tanta fatica che provavo un bisogno istintivo di lavarmi, non sapevo perchè, un bisogno lamentoso di acqua pura, come se il fiotto fresco delle abluzioni avesse potuto scorrere per quei meandri della mia anima...ruscelli mormoranti fra le erbe, cascate bianche, torrenti freddi spumeggianti; tutte le acque più fresche, nella mia triste bramosia, mi parevano insufficienti.
Il corpo prostato sotto la macchia chiara e curva di un  altro corpo, gli occhi chiusi e violati, quelle forme, le braccia tese, le dita lievi dentro la profondità del suo cuore, a lampeggianti mi erano apparsi nel cielo febbrile della mia immaginazione.
Non riuscivo a respirare.
Poi non vidi più niente, i pensieri si diluirono e il suono strillante della campanella vibrò su di me come un diapason.

Campanella = cambio dell'ora = cambio professore.

Dovevo ritornare in classe.
Nel momento in cui mi aggincevo ad andarmene qualcuno mi  trattenne per il polso.
Quella presa mi attraversò come una breccia.
Caddi all'indietro con una sensazione di irrealtà.
Immagini distorte trapassarono i miei occhi.
La schiena sbattè brutalmente sul muro, e l'impatto mi svuotò i polmoni, per lunghi secondi non respirai, un'altra volta.

"vieni." mormorò quella voce  tentando di trascinarmi nella prima porta rossa del bagno.
La mia rabbia duplicò, sapere che era passato dalla sua ragazza a me come se si fosse passato una palla tra le due mani non mi stava bene.
Dopotutto non dissi e feci niente per contraddire quel gesto.
Patetico.

"Perché...ma perchè." ripetevo facendo sussultare tutto il mio corpo per trattenere le grosse lacrime sgorgare fuori dalle orbite.
Mi sentì stringere la gola e sfarfallare il cuore, quando Osamu alzò una mano pallida per tirare delicatamente i miei capelli, lisciandone i ricci con le dita.
Lui era un concentrato di lunghezza e arti fluidi, ogni gesto appariva sensuale.

"ora vedrai" mi parlò quasi sussurando, agitando i capelli alle tempie, sfiorandomi la pelle con le labbra, il suo respiro sul collo.
Potevo percepire l'aridità che mi asciugava la bocca, mi scretolava l'anima e mi scioglieva le ossa.
Ma io non vedevo nulla se non la crepa riarsa formata sul mio cuore.

"Sai, Chūya, sono felice." inclinò la testa, fece scivolare una mano tra i miei folti capelli satinati e mi afferrò alla base del collo.
Sospirai, avvicinandomi di più a lui; la sensazione di quel corpo contro il mio mi fece correre un brivido carico di desiderio lungo la spina dorsale.
Il sangue pulsava con violenza nelle vene.

"Allora sei uno sciocco. Vuoi sapere il perchè?." avvertì nel mio tono uno scompiglio di incertezza e desiderio.

"Si, dimmelo. Dimmi perchè sono sciocco." mi concessi di rabbrividire quando lui, dal collo, fece scorrere un dito fino alle mie labbra.
Mi guardò: aveva le pupille più scure, dilatate.
Cercai anch'io di distogliere lo sguardo, ma non funzionò:  mi ritrovai a fissare la camicia spiegazzata, sollevata quel poco da vedere la pelle candida, che mi invitava di toccarla, possederla.
Allungo le braccia, tirando su l'orlo della camicia, strappandola in una pioggia di bottoni, spingendo poi le mani per liberarmene.
Feci slittare i palmi sul suo petto glabro, sentendogli fremere lo stomaco mentre gli sfioravo gli addominali.
Li feci risalire fin sopra la cassa toracica, sui lisci muscoli del suo petto.
Aveva la pelle come seta, segnata da alcuni punti da vecchie cicatrici.
Lui traccia dei ghirigori sulle mie cosce contratte sotto i pantaloni, accellerando il mio respiro.

Allungo il collo verso di lui, guardandolo sottecchi con un sorriso scaltro e beffardo.
Sfioro il suo orecchio, pizzicandolo con il mio respiro ancora pregno di rabbia.
"Perchè io non ti amerò mai.
Non starò mai con te. Non abbiamo futuro insieme.
Di nessun tipo.
Vuoi comunque che ti baci?."

"No." battè le palpebre, facendo guizzare le lunghe ciglia sugli zigomi.
Mi aveva preso i polsi, stoppando le mie dita dal contatto con la sua pelle calda, posizionandoli accanto alla mia testa, una a destra, l'altra a sinistra, lasciandomi senza via di fuga.
Si avvicinò ancora di più a una distanza tale che i nostri respiri si mischiassero in uno solo.
Osamu sfiorò il mio labbro inferiore con la punta della lingua.
Mi protesi verso l'alto, ma lui si abbassò strofinandogli il naso sulla guancia premendogli le labbra sul pomo d'Adamo e poi sulla gola, e giù sulla clavicola scoperta mandandomi
piccole scosse di piacere attonito attraverso il corpo.
Mi morse tutta la pelle nuda che scopriva man mano che scendeva verso il bordo dei pantaloni.

Mi fece male, ma sapevo che era un dolore necessario, un dolore sordo, come se mi avesse pugnalato con una lama spuntata.
La sofferenza scoppiò quando posò le sue labbra sulle mie.
Mi sentì morire.
Sapevano di lei.

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