pensieri sconci

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Chūya povs

Tutto il calore che mi lasciò lo sconosciuto si volatizzò non appena metto un piede fuori dal bagno.
Il freddo mi mozzò il fiato, facendo scoppiare i polmoni come una busta piena d'acqua.
I corridoi, prima brulicanti di studenti ansiosi e di chiacchiere rumorose sull'estate appena terminata,  adesso, solo il leggero soffio del vento, che con delicatezza faceva ondeggiare le tende candide,  disturbava quel tombale silenzio.
Silenzio.
In questo momento, appoggiato allo stipite della porta, nella mia testa c'erano domande che continuavano a martellare il cervello e urlavano di avere risposta. Mi laceravano le budella, lo stesso effetto quando cominciai a dirigermi lentamente verso la mia classe, dall'altra parte dell'istituto.
Mi maledì di aver scelto un bagno che consentiva di fare trecento scalini e tre piani, ma più lontano era la presidenza meno erano le possibilità di venire espulso.
Contemplo per la millesima volta il lungo corridoio.
Porte bianche, muri bianchi, pavimenti bianchi, finestre bianche: quella monocromia silenziosa sembrava agghiacciante e la tensione si poteva tagliare con un coltello.
Mancavano soltanto dieci minuti e il prof Kunikida, sarebbe arrivato in classe, portandosi con sè le solite ciglia bionde accigliate, i soliti capelli color miele acciufati in una lunga coda, pile di fogli che sbucavano dalla solita cartella logora marrone e il solito viso alterato dalla rabbia.
Tutto. Uguale.
In poche parole i quattro anni passati in quella prestigiosa scuola erano diventati un loop continuo, nella quale mi sentivo pervaso dalla solita noia, una noia così profonda che sembravo di sprofondare nell'essenza stessa della malinconia.
Più mi stordivo di feste, più sfidavo gli altri studenti, più mi inebriavo di piaceri, e più forte era la noia.
Emetti un sospiro e salii il primo gradino.
Poi il secondo, il terzo e così via.
Zoppicavo, il cuore sembrava uscire fuori dalla cassa toracica e le gambe erano continuamente attraversate da brividi di dolore, ma dopotutto un sorriso spensierato mi spuntò sulle labbre.
Mi toccai il collo, dove succhiotti viola spuntavano evidenti sopra il colletto della camicia, e un ricordo vivo soffocò tutte le domande che viaggiavano confuse nella mia mente.
La sua voce roca, il suo volto accaldato, il suo corpo scolpito, i suoi occhi neri, le sue mani esperte e delicate, lui.
Lui.
Uno sconosciuto.
Le mutande si fecero più strette.
Riuscivo a stento a respirare quando mi immaginai il suo respiro bollente che soffiava sulla nuca, le dita affusolate che giocavano con i miei capezzoli duri e la lingua che percorreva ogni centimetro della mia pelle senza mai staccare i suoi occhi dai miei.
Ero così concentrato su tutti i modi in cui potevamo fare sesso, che non feci caso di trovarmi a trascinare le gambe in mezzo alla classe.
Tutti erano troppo presi ad ascoltare i propri amici e a ridere per battutine o discutevano di qualcuno che non captai il nome perchè delle braccia avvolte in un cappotto nero mi presero per i fianchi, sollevandomi e portandomi a sedere sulla sedia accanto alla sua.

"Ci è andato pesante, non è così?." la voce cupa di Akutagawa era inespressiva e dagli occhi grigi le emozioni erano rimaste intrappolate dentro le bufere che combattevano all'interno di se stesso.
Eppure vedendo il mio stato, che dovrebbe essere pietoso, le pareti della sua bocca si alzarono leggermente.

"Non mi ha fatto niente, era soltanto un rammolito." dissi sentendo le sue dita color cadaverico della stessa temperatura di un morto.
La luce del sole durante l'estate non l'aveva neanche sfiorato.

"Un rammolito che ti sta facendo zoppicare."

"Non è come credi, sono  caduto e..." gesticolando, provai più volte a nascondere con la mano i succhiotti, perchè delle ragazze avevano incominciato a bisbigliarsi a vicenda qualcosa nell'orecchio, indocandomi poi il collo.
Le solite ragazze "sante" che si scandalizzavano per tutto quello che riguarda il sesso.

"E per sbaglio sei finito in un bagno con un ragazzo che aveva l'intenzione di fare sesso?." domandò ironicamente, mettendo dietro all'orecchio una ciocca bianca, incominciando dopo a torturarsi le dita, attorcigliandole e mangiandole.
Si sentiva a disagio.
Nei movimenti nervosi guardò qualcuno dietro di me.
Feci per girarmi, ma le ragazze avevano inziato a produrre suoni acuti, simili a dei gridi e a girare la testa tra me e un altro ragazzo seduto infondo alla classe.
Entrò il professore, puntuale.

"BUONGIORNO, METTETEVI TUTTI A SEDERE E APRITE IL LIBRO A PAGINA 124."

Con gran rumore tutti si siedono, lasciando sfuggire qualche gemito o qualche profondo respiro e così, in un'atmosfera non certo allegra visto che è il primo giorno di scuola e questo pazzoide ci fa aprire il libro, il prof alza i suoi occhi castani e intelligenti , dal registro e il suo sguardo dietro le spesse lenti a fondo di bottiglia e la montatura rossa, è rilassato e severo allo stesso tempo.
Giuzzano, i suoi occhi,avanti e indietro tra i banchi, poi con voce aspra e annoiata dice:

"Quello laggiù è il vostro nuovo compagno di classe.
Ti presenti dopo, adesso si comincia la lezione:
Oscar Wilde nato..."

Non riesco a sentire le parole successive del professore.
Mi sporgo in avanti per vederlo meglio.
Il suo volto serafico, senza una piega, senza una ruga, senza un'imperfezione si fece duro come ghiaccio.
Gli occhi, incastonati nel bianco madreperla, brillavano di un bagliore minaccioso.
Capelli arruffati color nocciola, gli incorniciavano il bel viso raffinato, aggraziato mentre il collo lungo era appoggiato sul dorso della mano.
Quest'ultimo era pieno di nei, piccoli e viola?
Non cercava neppure di nascondersi, anche vestito come un vagabondo era il tipo di ragazzo che attirava gli sguardi, soprattutto quelli delle ragazze.
Le labbra pallide e strette come una lama si distesero in un sorriso tirato, facendo intravedere i denti di perla.
D'avorio era la sua pelle.
Era arte.

"chūya, è lui? Quello che ti sei scopato?. Che coglione, ha tanti succhiotti sul collo e non cerca neanche di nasconderli, almeno tu ci provi.
O, ti sta guardando.
chūya? chūya?."

Akutagawa uscì dalla classe e io feci per seguirlo; una pressione familiare mi fermò sul posto con un groppo in gola, sperando che quel calore sulla pelle appartenesse a lui.
Una mano,serrò il mio polso e mi rigirò rapidamente, lui mi afferò anche l'altro polso e mi sbatte contro il muro, togliendomi il fiato e  tenendomi le mani alzate poco sopra la mia testa.
Il suo corpo premeva contro il mio, le nostre labbra erano pericolosamente vicine.
Il mio respiro accelerò.

"giochiamo chūya."

Leccò il collo palpitante e il mio flemmitico battito accellerava sempre di più, dai denti affilati che affondavano nella mia pelle mordiba, alle labbra che succhiavano la clavicola, e man mano scendeva sempre più in giù.
La pelle bruciava nel punto esatto in cui lui aveva appoggiato le sue labbra morbide.
Sulle mie.

Feci scorrere invitante le mani sul collo e poi sul suo petto, sbottonandolo ogni volta che strusciava lentamente l'inguine contro il mio.
Così stretti era impossibile nascondere le nostre eccitazioni.

Lo avrebbero fatto fino in fondo, di nuovo?

No.

Il richiamo squillante del prof. Kunikida lo risvegliò dal suo sogno.
Aveva veramente fatto un pensiero sconcio in classe??
Si mise le mani davanti alla faccia mentre le guance andavano in fiamme.
Si protese in avanti per non far vedere agli altri l'erezione scoppiata nei suoi pantaloni, ma due occhi furbi avevano notato già tutto.
Stava ghignando e improvvisamente si portò una mano sui calzoni afferrando la sua escrescenza attraverso questi.
Sgrano gli occhi, arrossisco visibilmente e mi volto a guardare nella direzione opposta.
È forse impazzito quel bastardo?

"Nakahara, adesso che si è ripreso dal mondo dei sogni, potresti rispondere alla seguente domanda.
Qual è il pensiero di Oscar Wilde sull'arte?."

"L'arte è completamente inutile."

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