Buio. Non riuscivo ad aprire gli occhi quella mattina. Sentivo canticchiare soavemente i passerotti fuori dalla finestra e mi sembravano comunque dei corvi gracchianti in cerca di cibo da spolpare. Sentivo le gambe tremare benché distese su un materasso caldo e comodo. Le braccia immobili, come una statua di cera pronta a sciogliersi vicino a un focolare.
Un raggio di sole fece capolino dalla persiana. Il sole. È straziante quando ti ritrovi a non gioire alla vista dello spettacolo più bello che la natura ci può regalare. A me dava soltanto fastidio. Avrei voluto voltarmi e conficcare la testa nel cuscino, tornare al mio buio. Poi capii che non avevo bisgono dell'oscurità per entrare in quell'atmosfera.
Suonò il telefono. O meglio, vibrò tutto il comodino. Il display si illuminava a intermittenza per segnalare che qualcuno mi aveva cercato. ''Come stai?'' recitava il primo messaggio. ''Sei viva?'' il secondo. ''Va bene, domattina mi chiami per favore? Troviamoci per studiare nel pomeriggio, ok?'' si era arresa. Virginia non era una cattiva persona, anzi. Sempre pronta a starmi dietro, a passare del tempo con me. Condividevamo anni di istruzione, a partire dall'asilo. Così vicine, da sempre. Ma lei non capiva. Chissà perchè si da per scontato che le persone più vicine possano capire meglio delle altre.
Scesi finalmente dal letto. Le gambe come dei macigni. Scesi le scale e impiegai tutto il tempo del mondo. Ogni scalino fece vibrare tutte le parti del mio corpo e un suono secco accompagnò il silenzio mattutino che regnava nella casa. In cucina la tavola era rimasta apparecchiata dalla sera prima: la bottiglia dell'acqua vicino al bicchiere riempito per meno della metà. Che strano, mi pareva di ricordare di non aver bevuto affatto ieri sera, dopo essermi riempita comunque il bicchiere. Due zampe fecero capolino dal piano della sedia nascosta sotto al tavolo. Stanis sembrava essersi svegliato bene, a mio confronto. Allungò le zampe mostrando le affilate unghie, come se volesse raggiungere qualcosa al di fuori del cuscino su cui era sdraiato. Fece capolino anche la sua testolina ricoperta di pelo nero che si aprì in un solenne sbadiglio. Capii che fine aveva fatto l'acqua del bicchiere. Saltò giù dal suo provvisorio letto con n'agilità invidiabile. In un attimo era pronto a strusciarsi alle mie gambe, miagolando sensualmente. Come sempre, cedetti a quella dolcezza e gli riempii la ciotola.
In meno di mezz'ora ero lavata e vestita. Un rapido passaggio davanti allo specchio fu abbastanza da farmi notare che avevo i capelli scomposti nonostante avessi passato anche troppo tempo a cercare di renderli presentabili. Avevo un colloquio, dovevo rivestirmi del migliore sorriso e far trapelare empatia da ogni poro. Ma capii che mi serviva una dose di ottimismo miracolosa. Dopo aver perso il precedente lavoro, vagavo ormai da mesi alla ricerca di un impiego stabile. Lavori precari qua e là, molti lasciati per indecenti proposte da parte di colleghi, altri perchè lasciavo che la speranza di un posto sicuro riempisse la mia mente ogni mattina. Invece mi son ritrovata a fare straordinari senza vedere un soldo. Ma finalmente quella mattina esisteva una nuova opportunità. Si stava materializzando davanti a me, ma io la guardai come si guarda una balla di fieno rotolare per una strada sconnessa.
Uscì in orario perfetto, almeno la puntualità decisi di concedermela. Mi fermai lungo il tragitto al bar dove usavo fare colazione tempo addietro: ordinai il cappuccino più buono e schiumoso del mondo e una brioche ripiena di grassi e carboidrati. Solo lo zucchero avrebbe potuto darmi la giusta carica. Il telefono vibrò proprio mentre stavo per addentrare quella prelibatezza, e già mi era tornato il buon umore. ''Pronto?! Vuoi svegliarti e rispondermi per favore?'' Mi ero dimenticata di risponderle, poverina. Posai la brioche e velocemente risposi al messaggio. Mi lasciai scappare un sorriso che non passò inosservato al barista. Stava pulendo scupolosamente una tazzina con un panno umido. Rimase concentrato sullo strusciamento finchè non mi vide sorridere.
''Bello riaverti qui. È da un po' che non ti vedo.''
''Già.'' stavolta sorrisi nella sua direzione. Lui rispose con un casto occhiolino e tornò alla sua ardua pulizia. Io affondai nella schiuma del cappuccino. Uscì, dopo aver pagato in spiccioli quella bomba calorica, controllando l'orologio di tanto in tanto, mentre mi incamminavo verso la meta. Il telefono vibrò ancora. ''Oh, finalmente! Beh, appena finisci il colloquio ti prego, fammi sapere! Non farti pregare come al solito. Anzi, facciamo così: Ti raggiungo in ambulatorio e ci mettiamo subito a studiare!'' Mi scappò un altro sorriso. Studiare con lei era come studiare con una compagna alle scuole medie. Si finiva sempre a fare altro. Ma in fondo era una ragazza in gamba, dotata di un'intelligenza che le permetteva anche di concedersi delle giornate di non studio.
Arrivai davanti all'ospedale. Strinsi il manico della mia borsa di ecopelle talmente forte da sentirla bruciare nella mia mano. Mi sistemai gli occhiali ed entrai. Un via vai ormai conosciuto riempiva la sala d'ingresso. Niente di diverso dalle altre strutture nel quale avevo già lavorato. Mi avvicinai al reparto informazioni schivando iinfermieri e pazienti. Quella mattina sembravano tutti più agitati del solito. Più di me.
''Oh, si. Prego, signorina, il reparto colloqui si trova al secondo piano nell'ala gialla. Non si può sbagliare, quel reparto è composto da poche sale. Troverà la sala d'attesa non appena uscirà dall'ascensore. Buona fortuna!'' Ringraziai la signorina sorridente dietro al bancone e mi avviai lungo il corridoio. Entrai nell'ascensore e premetti il tasto con scritto ''2''.
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La prospettiva di Kant
Short Story''Ha mai pensato alla vita nella sua interezza?'' mi chiese. Non sapevo rispondere. Voglio dire, chi non l'ha mai fatto? Chi risponderebbe di no? Tutti lo facciamo, tutti ci pensiamo. Ma in quel momento una domanda così semplice e banale mi spiazzò...