Il ticchettio delle lancette rimbombava nella sala d'attesa. Come già mi aspettavo, l'ambiente asettico da cui ero circondata mi faceva arrossare gli occhi. L'odore tipico dellìospedale ormai mi era penetrato nei polmoni. Dopo anni ancora non mi ero abituata a quella sensazione ovattata.
''È un po' impaziente a quanto vedo.'' La sala era praticamente deserta, se non per la mia presenza e per quella di un signore seduto alla mia destra, poco più in là. Sorrideva, e me ne accorsi subito non appena entrai nella sala d'attesa. Dopo un po' di tempo però capii che era la forma naturale della sua bocca. Credo non avesse più di settant'anni.
''Una paziente impaziente. Credo non ci sia cosa peggiore per un medico che trovarsi ogni giorno una schiera di pazienti impazienti.'' abbozzò una risata. Io sorrisi senza far fuoriuscire una parola e tornai a guardare il mio orologio. Era già troppo tempo che stavo seduta lì ad aspettare. Mi sistemai sulla sedia per la decima volta cercando di trovare una posizione comoda, cosa presso che impossibile. Sentii la gamba presa interamente da un formicolio costante e odioso.
L'ometto tossì sonoramente. ''Sa,'' mi disse ''Ho capito che è impaziente dal movimento continuo che fa con la sua gamba, nel caso se lo stesse chiedendo.'' Notai che stavo facendo ballare la mia gamba informicolita da più tempo di quanto pensassi. Era ormai un movimento diventato inconscio.
''È qui per farsi visitare?'' mi chiese.
''No beh, in realtà sono qui per fare un colloquio di lavoro.'' mi decisi ad aprire bocca.
''Oh-oh''. L'anziano signore sembrava piacevolmente sorpreso. ''Immagino che sia una caratteristica dei dottori far attendere chiunque, anche i non pazienti.'' In quel momento fui quasi certa che stesse veramente sorridendo. ''Sembra abbiano tutto il tempo del mondo a loro disposizione. Guardi, non me ne parli!'' Ebbi la sensazione di aver appena dato vita a un pensiero straripante nella mia mente. Gli diedi corpo e suono. Uscì dalla mia bocca come una lamentela e me ne accorsi troppo tardi. Abbassai lo sguardo, imbarazzata.
''Ha qualche impegno dopo, eh? Brava, una ragazza così giovane avrà sempre le giornate piene. Per certe persone ci sarebbe bisogno di giorni da quarant'otto ore, ne sono certo.'' Tossì nuovamente, in maniera più soave rispetto a prima.
''E lei cosa sta facendo qui? Aspetta qualcuno?'' L'attesa stava facendosi lunga. Tanto valeva imbastire una conversazione per ingannare il tempo. Quel signore sembrava desiderare di parlare con qualcuno da tanto. Alla mia domanda si mise più composto sulla sedia, aiutandosi con il bastone che fino a poco prima non avevo neanche notato.
''Ben detto, signorina. Sto pazientando. Lascio scorrere il tempo come fosse acqua in un bicchiere, in attesa di un movimento, una sensazione. Sono un po' sordo, sa? Ma sento tintinnare le lancette dell'orologio e tutto questo mi da una piacevole tranquillità.''
Porbabilmente si accorse della mia espressione attonita perchè si affrettò a chiedermi come passassi di solito il mio tempo. Mi ritrovai in una situazione strana ma gradevole. Parlare con uno sconosciuto che probabilmente non avrei rivisto mi faceva provare una sorta di libertà interiore. Senza rendermene conto gli raccontai le informazioni che di solito si interpellano in un appuntamento romantico, ma lui ne sembrava divertito. Parlai della mia frustrazione da venticinquenne laureata e precaria e lui sorrideva. Parlai della mia coinquilina incredibilmente folle e lui rideva. Parlai del mio gatto Stanis, e in onore della libertà che provavo, gli rivelai un segreto di cui nessuno era a conoscenza, ovvero che in principio il mio felino si chiamava Stanislao. E lui si lasciò sfuggire una rauca risata.
''Devo dire, signorina, che lei ha una vita piuttosto esilarante. Quasi la invidio sa?'' Mi ritrovai a sorridere anche io. Quel signore anziano metteva allegria, in fondo. Mi resi conto dopo un po' di tempo passato a parlare, che non mi aveva detto cosa ci faceva in una sala d'attesa che, come aveva detto la signorina al piano terra, era riservata ai colloqui. ''Quindi lei è qui per una visita?'' tentai di cavargli una risposta che mi avrebbe potuto soddisfare. Era ovvio che fosse lì per farsi visitare, e io morivo dalla voglia di dirgli che chi lo aveva mandato al secondo piano nell'ala gialla, lo aveva involontariamente depistato perchè quella era una sala d'attesa. L'avrei accompagnato anche nel reparto giusto, questo sì.
STAI LEGGENDO
La prospettiva di Kant
Короткий рассказ''Ha mai pensato alla vita nella sua interezza?'' mi chiese. Non sapevo rispondere. Voglio dire, chi non l'ha mai fatto? Chi risponderebbe di no? Tutti lo facciamo, tutti ci pensiamo. Ma in quel momento una domanda così semplice e banale mi spiazzò...