«Dobbiamo trovare delle persone in grado di proteggerli, sono troppo esposti» disse l'uomo presenziando di fronte all'enorme tavolo rotondo.
«Faremo del nostro meglio!» rispose un secondo.
La grande sala illuminata da luci ad incandescenza ospitava uomini di ogni nazionalità, pronti ad accogliere la richiesta di quel signore, un orientale sulla cinquantina che al collo indossava un badge: "이 강대–Lee Kangdae".
«Offriremo molti più soldi di quanto possiate immagina-re a chi mi procurerà gli uomini migliori» continuò il signor Lee sedendosi al suo posto.
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Musica, musica e solo musica. L'unica parte di felicità che mi rimaneva. Le quattro mura di quel posto mi stavano così strette... «Signorina si sbrighi!» mi disse all'improvviso Ginevra con indosso il suo solito abito monastico di colore nero e sul capo il velo abbinato, irrompendo nella mia stanza. Mentre camminavo per i lunghi corridoi alcuni bambini si ritraevano per non stare vicini a me, i ragazzi della mia età ridevano al mio passaggio. Non capivo ancora molto bene l'intera lingua italiana, infondo, erano solo passati due anni dal mio arrivo e dalla mia reclusione nell'istituto, ma, alcune parole, ti si fiondano addosso come vespe e ti pungono, lasciando un segno. Me li ricordo, uno per uno gli insulti ed il veleno di quelle frasi che, ormai, fanno parte della mia quotidianità. "You show me I have reason, I should love myself" continuavo a ripetere nella notte tra le lacrime mentre i miei pensieri si riempivano di ingiurie. Mi chiedevo come io potessi amarmi, quando, non avevo più nessuno che potesse amare me. Ero rimasta completamente sola.
Quella giornata di Novembre la vecchia struttura lasciava entrare dalle pareti la congelata aria mattutina.
«Oggi affronteremo un periodo molto importante per la letteratura: il Romanticismo» disse Suor Martina mentre distribuiva una delle sue solite fotocopie riassuntive «Il periodo romantico è un movimento europeo piuttosto complesso che si contrappone alla corrente illumini-sta...» spiegava passando tra i banchi. «Alessandro Manzoni scrisse i...» venne interrotta da qualcuno che bussò alla porta.«Avanti!» dicemmo tutti all'unisono, così, la porta venne aperta. Era Suor Ginevra affiancata da una donna con i capelli castani raccolti da un mollettone e da un uomo alto dai capelli grigi. «Buongiorno ragazzi, se Suor Martina ce lo permette, a turno due di voi verranno chiamati per un colloquio con noi... tranquilli sarà una semplice chiacchierata» disse la donna elegante gesticolando con la mano sinistra poiché nella destra teneva saldamente una cartellina trasparente blu. Dopo una mezz'ora abbondante toccò a me. Chiamarono il mio nome e quello di una mia compagna, mi alzai e seguii la donna. «Siediti, tranquilla» la signora sorrise sistemandosi gli occhiali mentre chiudeva la porta dietro di se. Mi chiese di ripeterle il mio nome, poi iniziò a bombardarmi di domande:«Da quanto tempo risiedi qui?».«Due anni».«Da dove vieni? Qual'era il tuo paese d'origine?».«Mali» non mi dava neanche il tempo di aggiungere dei dettagli che passava subito alla domanda successiva.«Perché sei in questo istituto?».«Non avevo un posto dove andare». «Dove si trova la tua famiglia?».«I nonni in Mali, i miei genitori sono morti ment...».«Hai amici qui?».«No, nessuno purtop...».«Come ti trovi in questo Istituto? Rispondi sincera-mente».«Veramente, non mi trovo molto bene, le suore sono molto severe e sono l'unica ragazza di colore nell'intera struttura, mi bullizzano tutti, dal primo all'ultimo».«Passiamo all'andamento scolastico: ora elencami le materie in cui consegui i migliori risultati».«Direi matematica, poi mi piace scienze e sono piuttosto brava a disegnare, purtroppo le materie dove l'italiano è prevalente sono ancora difficili, ma sto imparando velocemente» dissi sorridente sperando di fare una buona impressione sulla donna. «Ed in ginnastica? Ve la faranno sicuramente fare in questo istituto».«Mi scusi, pensavo non le interessasse... comunque me la cavo molto bene, soprattutto nella corsa, sono la più brava della classe e l'anno scorso sono arrivata prima nel torneo tenuto contro altri tre istituti... non vado male nemmeno nel salto in alto e in lungo» continuai compiaciuta dei miei risultati. «Quindi ricapitolando, sei completamente sola, non hai qui né amici né parenti e vai molto bene in atletica leggera. Lingue? Oltre all'italiano». «Parlo fluentemente il Francese».«Ok. Le mie richieste sono finite, grazie per la collaborazione» ultimò la signora.La congedai e tornai in classe. Pensai che quella chiacchierata fosse veramente strana, ma sinceramente non ci diedi troppo peso, Manzoni era l'unica cosa sulla qua-le mi sarei concentrata per il resto dell'ora. A pranzo, nella mensa, come al solito mangiai da sola. Una volta ultimate le lezioni mi chiusi in camera mia, dovevo studiare dei fogli integrativi di grammatica e l'indomani sarei dovuta andare a delle lezioni di ripasso pomeridiano. Ero determinata, volevo sentirmi all'altezza dei miei coetanei e magari, una volta uscita, trovare un lavoro. Mentre svolgevo i compiti per il giorno seguente qualcuno bussò alla porta della camera. «Avanti!» dissi senza distogliere lo sguardo dalla frase che stavo scrivendo.Era nuovamente Suor Ginevra, stavolta teneva in mano una busta. «Hanno chiesto il tuo trasferimento, gli psicologi che sono venuti oggi ti vorrebbero nella loro scuola poco fuori Milano!» Suor Ginevra mi sventolava davanti la lettera, indicando le mie credenziali poste in alto, per evidenziare che ero io la diretta interessata. Mi intimò di preparare le valigie perché l'indomani sarebbero venuti a prendermi. Continuava a ripetermi che quella scuola era molto rinomata e che era una fantastica opportunità, solo chi aveva delle caratteristiche specifiche poteva farne parte. Così, ancora un po' incerta, ma contenta delle parole della donna iniziai a riordinare la mia stanza e a riempire la valigia. Poiché la Psicologa sembrava molto interessata allo sport, per ultima inserii la mia divisa da ginnastica. Quando stavo per chiudere la zip mi ricordai di aver messo a lavare, nella lavanderia della Comunità educativa, dei completi, quindi decisi di andarli a recuperare. La lavanderia si trovava nei piani sotterranei, non ci ero mai stata di notte e tra i ragazzi giravano voci e leggende su quel luogo (non che non si vociferasse anche dei fantasmi che vagavano per il resto della struttura). Camminai lungo l'immenso corridoio di piastrelle cementine stile Liberty di colore beige, bianco e celeste posizionate a formare una trama regolare di ottagoni, fiori e ghirigori. I muri bianco panna erano quasi invisibili poiché rivestiti da mobili di legno massiccio aventi almeno una decina di forme differenti, in due anni mi ero sempre chiesta che cosa contenessero. Mi ritrovai infine davanti ad una porta color avorio, la metà superiore era occupata da un grande quadrato in vetro che lasciava intravedere una fievole luce tra le decorative scanalature. Una volta aperta, scesi lentamente lungo le scale che portavano ai sotterranei. Ogni passo causava un tonfo, un'inevitabile richiamo per qualsiasi predatore, mostro o fantasma. Svoltai rapidamente a sinistra, spingendo la pesante porta metallica monocromatica, della grigia, lavanderia. Non sarei rimasta un secondo di più all'interno di quel corridoio buio. Le mani tremavano e la mia fronte era già sudata dal momento in cui iniziai ad avvicinarmi alla porta avorio, prima di scendere. Quando sbattevo le palpebre, in quella frazione di secondo dove il nero era il colore predominante, immaginavo scenari terrificanti: vedevo i serial killer dei film dietro alle mie spalle, o creature spaventose che mi aspettavano sui primi gradini delle scale appena fuori dalla lavanderia. Questi pensieri, mi lasciavano in uno stallo ancora più spaventoso, perché non volevo rima-nere lì dentro, ma allo stesso tempo non volevo nemmeno uscire. Presi velocemente i miei vestiti che fortunatamente erano già asciutti e nel mentre, le immagini erano sempre più ansiose. Mi ero focalizzata su una visione in particolare: un'enorme creatura deforme con radi capelli e un volto umanoide dalla pelle biancastra, stava in piedi nel secondo gradino della scalinata pronta a sfoderare un'inaspettata potenza nella corsa. Scappando, pensai che la mia unica via d'uscita sarebbe stata addentrarmi nei sotterranei, il suo territorio, dove mi avrebbe certamente uccisa. Con il cuore che batteva a mille, voltai lentamente il capo verso la porta e constatai che, per il momento, ero ancora salva, non c'era nessuno dietro di me. Mi avvicinai lentamente all'uscio, l'immagine di quella creatura diventava sempre più vivida nella mia mente. Quando questa diveniva fin troppo realistica, indietreggiavo di qualche passo. Ero bloccata lì sotto. Spinsi piano la pesante porta grigia spruzzata di ruggine e osservai con cautela il corridoio completamente buio. Decisi che era arrivato il momento di correre il più velocemente possibile per raggiungere la superficie. In secondi che parevano interminabili toccai la porta avorio e senza pensarci due volte l'aprii chiudendola rapidamente alle mie spalle. Un urlo squarciò la quiete notturna della Comunità educativa. I miei occhi neri, come la pece, si ribaltarono all'indietro. Una figura bianca era apparsa all'improvviso davanti al mio volto portando al culmine la tensione accumulata. Senza rendermene conto scoppiai in un pianto disperato, mentre quella figura candida mi chiedeva cosa fosse successo con voce severa. Era Cristina, la madre superiora che vagava per i corridoi con la sua camicia da notte nivea. Quella notte non chiusi occhio, sia ripensando a ciò che era accaduto qualche ora prima, sia a causa dell'ansia per il trasferimento.La mattina dopo venni svegliata presto, guardai l'orologio, erano le cinque e mezza spaccate. Preparai con l'aiuto delle suore tutte le carte necessarie al trasferimento e, quando la sveglia suonò per svegliare tutto il resto dell'istituto, salutai i miei compagni di classe che, stranamente erano diventati degli angioletti innocenti, facendo credere a tutti che tra di noi scorresse armonia e felicità, quando in realtà le uniche emozioni erano la perfidia e l'odio. Dopo qualche ora il grande cancello in ferro battuto venne aperto da due suore di ordine benedettino e ne entrò un pulmino bianco con dentro alcune ragazze. «Pronta per partire? Sarà un lungo viaggio» disse l'autista caricando sul retro la mia valigia. Era giunta l'ora di voltare pagina ed abbandonare l'inferno.
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BOMBS: Battle Organization Military B(T)S
AcciónSette ragazze vengono scelte per frequentare gli ultimi due anni di scuola in un rinomato istituto milanese. Questo però si rivelerà un inganno, ora le ragazze fanno parte di una fruttuosa associazione.