Prologo

26 0 0
                                    

"Come sai di amare veramente qualcuno?
Come sei assolutamente certo che, alla fine dei conti, l'aver sofferto a lungo per qualche spiraglio di un sentimento, che molti hanno provato a comprendere ma che in pochi veramente sono riusciti a coglierne l'essenza, possa non essere stato vano?
Non c'è niente di logico collegato ai sentimenti provenienti dal cuore, nulla di concreto e tangibile, in grado di essere toccato e studiato. L'amore stesso collegato al cuore non esiste, è solo una reazione chimica del cervello umano dovuta agli alti livelli di dopamina e ossitocina- quel sentimento creduto ancorato alle profondità dell'animo, in grado di compiere miracoli e salvare il destino di qualsiasi protagonista della maggior parte dei cartoni animati o comunque della televisione in generale, non esiste.
L'unica cosa di cui possiamo essere certi è che alcune persone sono più speciali di altre; e non per chissà quali strani allineamenti degli astri, bensì semplicemente a livello molecolare -che tanto semplice, alla fine, non è. Se crediamo che i sentimenti amorosi verso qualcuno nascano esclusivamente dal cervello, ci ritroviamo, di conseguenza, ad individuare l'organo stesso come responsabile della scelta dell'oggetto di tale interesse..."

Grace si fermò dallo scrivere quelle parole puramente scientifiche, frutto di qualche ripensamento sul provare emozioni che in qualche modo, alle quattro del mattino, le facevano talmente male da doversi rifugiare in qualcosa di concreto come la scienza.
Non era mai stata una persona cinica in questo campo: cresciuta con l'amore incondizionato di una famiglia unita, le storie dei lieti finali che ogni principessa meritava dopo la solita tragica avventura capitanata dall'impavido cavaliere senza macchia e senza paura, fino ad arrivare alla miriade di libri e film romantici rispettivamente letti e visti in quei pochi anni della sua esperienza come persona consapevole delle proprie azioni  che l'avevano convinta nell'esistenza di una predestinazione genetica degli individui, secondo la quale ad ognuno corrisponde un'anima gemella che, in un modo o nell'altro nel corso degli anni, sarebbe riuscita a trovare una strada per potersi ricongiungere con l'amata. Teoria alimentata dalle leggende antiche come quella di Zeus, secondo la quale gli uomini e le donne erano un'entità unica perfetta ma egli, geloso della loro felicità e perfezione, li divise a metà obbligando l'una a cercare l'altra per il resto della propria vita; oppure come quella giapponese secondo cui ogni persona ha un filo rosso legato al dito che la collega alla propria metà.

Si poteva dire saldamente che Grace Martin credeva fermamente nella capacità di amare senza condizioni, anche se aveva potuto provare quel tipo di amore solo attraverso i personaggi delle storie che leggeva, o delle infinite stagioni delle serie che le facevano compagnia prima di crollare, senza alcun controllo, ai primi sintomi del sonno.
Chiunque l'avesse conosciuta in quei primi anni della sua adolescenza avrebbe potuto confermare quanto quella ragazza amasse il mondo, la vita, la sola idea dello stesso sentimento; quanto i suoi occhi fossero splendenti come i girasoli, brillanti di una luce che rifletteva la sua innocenza, la gioia nel trovare un barlume di speranza nel buio più totale della disperazione e del caos che in realtà affollavano la sua testa da già un bel po' di tempo.

Sospirò pesantemente e si rigirò un paio di volte la penna nera tra le dita affusolate; seduta sulla sua scrivania in quella notte d'agosto, a scrivere qualcosa che nemmeno lei nel profondo era in grado di spiegare, avrebbe voluto attribuire un senso a tutto ciò che era passato o che aveva provato, oppure semplicemente aveva sentito il bisogno di capire cosa le fosse successo realmente nel tempo che separava quella fresca notte da un giorno qualunque di un febbraio soleggiato di quasi due anni prima.

Guardò fuori dalla finestra il cielo che lentamente, con il passare delle ore, andava a schiarirsi e sapeva che nel giro di un'ora e mezza non le sarebbe più servita la luce artificiale proveniente dalla lampada accesa sulla scrivania, i colori dell'alba avrebbero fatto il loro ingresso illuminando la piccola stanza. Poteva affermare in quel momento di essere abbastanza grata del fatto che la sua testa la tenesse sveglia durante le ore notturne, a volte violentemente, ricordandole cose che avrebbe preferito dimenticare all'istante o semplicemente cliccando un pulsante, altre volte però riusciva a sentirsi in pace tra la tranquillità del buio, aveva imparato ad amare la notte tanto quanto ad odiarla.
I demoni che portava dentro, nel corso di quei due anni, si erano stanziati prepotentemente in tutto il suo corpo, dalle punte dei capelli -una volta lunghi e colorati-  scuri e corti fino alle spalle, di nuovo pronti per essere accorciati dopo i mesi estivi, fino alle dita dei piedi. Totalmente in balia dei suoi mostri con i quali sembrava quasi gareggiasse in una  gara nella vasca nella piscina comunale della sua piccola città: a volte riusciva a toccare il muro prima di loro, ma nella maggior parte, invece, annegava a metà del percorso, spinta in profondità dalle sue stesse braccia.

Si alzò pigramente dalla sedia girevole dopo averla posizionata esattamente di fronte alla finestra che la faceva sentire come una spettatrice del mondo che andava avanti con la sua vita anche senza lei che era ferma ad aspettare un treno che non sarebbe mai arrivato.
Posizionò le mani sulla mensola e respirò a pieni polmoni l'aria fresca che caratterizzava quella sua ora preferita di tutta la giornata; inevitabilmente si ritrovò a pensare ai giorni in cui non vedeva l'ora che la notte passasse -in quel momento, al contrario, avrebbe voluto che non finisse più-.
"Ero così infantile e stupida da credere ancora in qualcosa di bello" si ripeteva ogni volta che certe scene le si ripresentavano alla mente.
Portò il peso sui suoi palmi, sbilanciatosi leggermente in avanti alla ricerca del modo giusto per concludere quello sfogo sull'inesistenza dell'amore, iniziato quando nemmeno Grey's Anatomy era riuscita a distrarla da se stessa, ma tutto ciò a cui riusciva a ricollegarsi era che, molto in fondo, non aveva mai smesso di credere a quella vecchia storia del filo rosso, la tormentava nei momenti in cui cercava di lasciarsi alle spalle qualsiasi cosa avesse creduto da bambina, sostituito dal bisogno compulsivo di studiare ogni fenomeno e capirne il perché. Necessitava in tutti i modi di scoprire le ragioni e il funzionamento di ogni cosa, e in particolare degli esseri umani.
Pensò addirittura a quanto tutta la sua idea del futuro fosse cambiata per un piccolo dettaglio, per alcuni persino irrilevante ma a causa del quale non riusciva più a vedersi nello stesso modo nella visione di se stessa tra un paio di anni.

"L'amore non esiste" continuava a ripetersi con la speranza di impiantarlo in sostituzione al suo passato.

"L'amore non esiste...e allora perché soffriamo così tanto?"

E finalmente, dopo ore di riflessioni e considerazioni, era giunta al suo nuovo obiettivo per tenere occupata quella parte più oscura del suo cervello che la paralizzava ogni volta che si risvegliava: Grace Martin, da quella prima mattina di un qualunque giorno di agosto, avrebbe ripercorso quei due anni in cerca di una risposta alle sue domande.

Perché chiunque la conoscesse da prima avrebbe potuto affermare nella più totale convinzione che quella ragazza non era la stessa, che durante il cambio dei mesi qualcosa gradualmente l'aveva cambiata, senza che nemmeno lei se ne rendesse conto.
Perché chiunque l'avesse vista in un primo momento e successivamente in un secondo a distanza di un anno avrebbe sicuramente risposto alla domanda "cosa è successo in dodici mesi?"  con  "ha sofferto e si è chiusa in se stessa lasciando gli altri fuori...può succedere alle persone che lasciano entrare chiunque troppo facilmente. Si è scottata e ha capito che non ne vale la pena, ma indietro non si può tornare".

Effettivamente una risposta del genere l'aveva già ricevuta qualche settimana prima, quando aveva iniziato ad accorgersi di non riuscire a fare le cose che faceva precedentemente ma non riusciva a capirne il motivo, non riusciva a vedere quale pezzo di lei le era stato rubato e distrutto in tanti pezzi.

Nessuno capiva come mai i suoi occhi avessero perso i girasoli che tanto li caratterizzavano e si fossero spenti di colpo, vuoti come sfere di cristallo lasciate tra la polvere di una soffitta dimenticata.

Un passo per volta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora