Iniziai a bussare insistentemente alla porta di Liam, con la speranza che presto mi avrebbe aperto e sarei potuta scendere al piano inferiore per poter godere della compagnia dei miei genitori.
Sembrava che lui non ci fosse, abbassai la maniglia della porta in ferro battuto e mi affacciai all'interno della camera.
L'odore dell'ammorbidente proveniente dalle tende appena stese dalla domestica di casa, era molto pronunciato e per un momento, avevo pensato che mio fratello era uscito.
Alle mie spalle sentii la porta chiudersi in silenzio, mi girai di scatto e i miei occhi vennero catturati proprio dalla sua figura.Sorrise.
<<Mi stavi cercando?>> Chiese.
<<Tua madre ci aspetta a tavola!>> Risposi fredda, spostando lo sguardo all' asciugamano che portava stretto in vita.
<<Abbi rispetto per lei, tutto sommato ti ha regalato una bella vita>> disse avvicinandosi, <<e ha fatto un bel regalo anche a me!>>
<<Dobbiamo andare!>> Lo sorpassai toccando con forza il suo braccio, ma fu più veloce di me. Afferrò la mia mano e mi avvicinò al suo corpo.
<<Sai...>> disse con il suo naso sul mio, <<potrebbero aspettare anche qualche minuto, il tempo di..>> si fermò, la sua grande mano iniziò a scendere lungo la mia gamba, cercando a tutti i costi la miniera preziosa che aveva conquistato con forza qualche anno prima.
<<No! Dobbiamo scendere, ci aspettano>>, risposi liberandomi dalla sua presa salda.Uscii da quella stanza e mi incamminai verso le scale per raggiungere il piano inferiore, nel quale Jade e Juke stavano aspettando noi per il pranzo.
Arrivarono le prime portate, ma non riuscivo a mandare giù nessun boccone di quelle pietanze. Ovviamente Jade se ne accorse ma non disse nulla, continuò a mangiare in silenzio e aspettò il momento in cui mi sarei rifugiata in camera mia.Era pomeriggio, il sole di quella calda estate riusciva a passare dalle piccole fessure della finestra e io, con il condizionatore al minimo, me ne stavo sul letto a fissare il soffitto bianco.
Della vita nell'orfanotrofio a me mancava solo una persona, mia cugina Arya.
Non ricordo il motivo che l'avesse costretta a vivere con me quell'inferno, ma ricordo il suo viso pallido e i suoi occhi azzurri come il ghiaccio.
Eravamo bambine l'ultima volta che potemmo parlare e stare insieme e fu la prima ad essere presa in adozione.
In verità l'avevo sempre cercata, l'avevo cercata su internet, l'avevo cercata chiamando l'orfanotrofio. Ma, ovviamente, non mi avevano dato alcuna notizia.
Arya era la classica tedesca, autoritaria e bella da fare paura, completamente diversa dai miei modi di fare.
Le avrei tanto voluto raccontare come stava andando qui, le avrei tanto voluto raccontare delle mie amiche, o del mio rapporto malato con Liam.
Già, avrei tanto voluto raccontarle della mia prima volta che, ahimè, ricordo ancora come se fosse oggi.
Quel maledetto giorno lo ricordo bene.Ero in salotto con una bustina di patatine tra le mani e stavo aspettando la terza puntata della mia serie tv preferita, che trasmettevano solo alle 20:00 di sera.
Sentii il rumore delle chiavi di casa e, qualche secondo dopo, entrò lui.
Le sue intenzioni mi erano poco chiare, ma i suoi occhi bruciavano il mio corpo come lava sul terreno.
Non pensavo che quello sarebbe stato l'inizio di una serie di violenze, pensavo ingenuamente che volesse abbracciarmi in buona fede, magari per scusarsi dei suoi atteggiamenti. Ma non andò così.
Si avvicinò a me e iniziò ad abbracciarmi, riuscivo a percepire il suo naso che sniffava il mio profumo. Appoggiò le sue labbra sul mio collo e percepii dei baci viscidi che di sicuro non avevo mai ricevuto. In un primo momento, sembravano quasi solleticarmi il collo, sembravano quasi piacevoli.
Col la testa salì al mio viso e iniziò a baciarmi con prepotenza, la sua lingua si attorcigliava alla mia senza tregua e le sue mani stringevano i miei glutei con forza.
<<Liam, che fa!?>> Dissi spaventata.
Non rispose alla mia domanda. Continuò a baciarmi con foga.
Mi spinse sul divano e si catapultò a cavalcioni sul mio corpo esile, afferrò l'estremità dei miei pantaloni e li sfilò via, senza dare retta a una sola preghiera che gli facevo, pur di non far succedere quello che ormai avevo capito.
Piegò il suo busto in avanti, la sua lingua solleticava l'estremità del mio intimo fino a che raggiunse il mio inguine.
<<Queste non servono>>, ansimò togliendomi anche le mutandine.
I miei occhi gridavano pietà e il mio cuore sembrava volesse uscire via dalla gabbia toracica, per trovare riparo. Ma nulla.
Slacciò la cinta dai suoi pantaloni e, in una mossa sola, uscì il suo membro pronto per conquistare la mia verginità. Fu così che la persi del tutto, fu quello l'inizio della mia tortura in quella casa.
Quello che ricordo vivo è il dolore provato tra una spinta e l'altra. Il dolore di una tredicenne che stava provando l'esperienza che avrebbe dovuto provare intorno alla maggiore età.
<<Si, cazzo!>> Furono le sue ultime parole, mentre si piegava in avanti appoggiando la testa sulla mia.
<<Lo vedi, Madalyne? Questo è il risultato di una scopata avvenuta con successo!>> Si alzò in piedi e rimise i suoi pantaloni, <<che sia chiaro, questo rimane tra noi due. Altrimenti ti prometto che la prossima volta proverai l'ebrezza di finire in ospedale!>> minacciò.
Annuii con la testa ancora singhiozzante, avevo paura di Liam, avevo paura del mio fratellastro quel giorno più che mai.
A tredici anni, una ragazzina gioca ancora con le bambole. Io, avevo già perso la mia verginità contro ogni mio volere...
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Quel maledetto giorno
ChickLit> Sono queste le frasi che girano nella mia mente. Perché sono stata affidata ad un destino così duro? Cosa avrò mai fatto alla vita per essere ricompensata in questa maniera? Mi chiamo Madalyne Morris e voglio scappare via di casa!