1. Il mio faccino d'angelo non fa effetto.

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Sono sempre stata veloce a correre. Ho le gambe abbastanza lunghe per non fare troppa fatica, anche se non riesco mai a correre via dai miei pensieri, quelli che divorano le mie giornate e ne fanno una poltiglia scura.

Essere privilegiata per me significa poter pensare indisturbata alle foglie dello stesso colore del caramello caldo cadere bagnate fradice a terra e rimanere schiacciate così a lungo, fino a quando, mentre non guardo, spariscono.

Oppure osservare fuori dalle grandi bifore della mia camera la pioggia cadere, così irregolare e forte da non riuscire a distinguere la terra dal cielo, facendoli unire in un magnifico e freddo grigio. E non importa di chiunque c'è nella stanza, conta solo la mia pioggia in quei piccoli attimi infiniti.

Grigio come la cenere che mi piace fissare nel camino di sera, che sembra così fredda mentre muore cadendo sul legno sottostante, mentre il fuoco mi riscalda le guance.

Ma il privilegio più grande, e qui forse dovrei ringraziare entrambi i miei genitori, è di avermi creata con il viso di un angelo. Insospettabile. Così innocente da commettere un delitto solamente a pensare che una come me possa solo essere sporca di qualche bravata.

Proprio per questo mio padre mi ha sempre insegnato a non fidarmi mai delle apparenze. Ci è rimasto scottato anche lui.

••°•°•°°

«Ho qua una panoramica dei suoi voti che è disastrosa, signorina Cunningam» annuncia la preside con il suo tono gracchiante causato dall'età, a volte, appena lo sento, mi convince che sia anche robotico sulla punta.

«Le consiglio caldamente di valutare un cambio di college» continua, afferrando una penna e scrivendo qualcosa sul suo taccuino.

«Signora Tate, lo sa benissimo che non posso andarmene da qua. Mio padre mi ucciderebbe, la prego, cercherò di fare meglio» prego la donna alla quale nasce un sorrisetto sul volto, scavandole maggiormente il viso dalle rughe.

«Una cosa da fare c'è, Ivory» in questo preciso momento, la porta del suo polveroso e vecchio ufficio inizia a battere.

Mi giro velocemente verso di essa, prima che la preside faccia accomodare chiunque ci sia dall'altra parte.

L'asse di legno antiquato si muove lentamente fino a rivelare dei capelli ordinati biondi come l'oro più puro, una pelle così chiara da sembrare neve e due occhi magnetici dello stesso colore dei prati del Montana in primavera.

Tutto questo accompagnato da due labbra perfettamente scolpite per sembrar fatte di velluto, due zigomi ben pronunciati, uno sguardo intrigante e le guance scavate, una miriade di lentiggini così chiare da essere visibili solo se ne si conosce la presenza, soprattutto sul dorso del naso.

Asher Dolloway.

«Giusto in tempo, signor Dolloway, si sieda» la preside fa cenno al ragazzo di sedersi vicino a me e lui accetta dopo un attimo impercettibile di disgusto.

A questo punto ci tengo a chiarire che anche io nutro nei confronti di questo essere alieno pieno disgusto, lui è semplicemente più furbo da nascondere il suo disprezzo dietro ad un sorrisetto enigmatico.

«Lei mi ha chiesto come migliorare il suo curriculum già impeccabile, settimana scorsa. Si ricorda?» chiede la donna, aprendo una cartella piena di fogli infiniti.

«È corretto, preside Tate. La presenza della signorina Cunningham però mi fa supporre che lei voglia che io intraprenda un tutoraggio verso questa insolente ragazzina che continua a dar fuoco ai cestini della spazzatura fuori dalla mensa» dalla bocca del ragazzo esce una cantilena ammaliante e dolce, nonostante ciò che ha detto è irritante e nonostante sia totalmente vero, non dovrebbe sentirsi in permesso di dirlo.

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