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Se qualcuno avesse chiesto che cosa fosse per loro l'amore, Simone non avrebbe esitato a fornire un'immagine dettagliata del ragazzo più bello, più stronzo e più etero della scuola.

Il sopracitato avrebbe invece risposto -un tempo- con una rappresentazione delle moto, di una donna architetta sui trent'anni, o di una ragazzina della sua stessa classe coi capelli colorati.

E questo Simone lo sapeva bene.
Il povero Simone era costretto a subirsi tutte le peculiarità del rapporto amoroso fra Manuel e l'amica di sua madre, ogni qual volta che l'argomento balzava fuori, costretto a combattere con uno strano dolore al centro del petto e il controrcersi delle budella, ogni volta che udiva il nome di quell'architetta a cui avrebbe volentieri rubato il posto.

Tuttavia, il nostro giovane innamorato sarebbe stato ad ascoltarlo parlare di qualsiasi cosa per ore, pur di avere la possibilità di sentire la sua voce romanesca di cui si era totalmente innamorato.

E Simone amava osservare la luce che brillava negli occhi del ragazzo ogni volta che parlava delle cose che amava, come le moto, le auto o le sigarette.

E sebbene Simone non capisse un accidenti di come funzionassero i lavori alle macchine, lui ascoltava e ascoltava e ascoltava, fino a che Manuel non si svegliava dal suo soliloquio e esclamava: "Ao ce sei?".

Simone pensava che fosse l'unico dei due a essere interessato a ciò che l'altro diceva; per questo non si calava mai nei particolari quando era lui a raccontare delle sue partite di rugby, delle litigate col padre e della complicità con la nonna...

E forse Simone non aveva tutti i torti; la situazione si era aggravata notevolmente con la sparizione di Simone per due settimane: causa litigio con Manuel, il primo si era rifugiato a Glasgow da sua madre mentre il secondo si era incolpato delle sorti peggiori.

Ciò che Simone però non sapeva era che sbagliava completamente sul conto di Manuel.

**

Un giorno freddo di dicembre, in cui persino il sole si era rifiutato di splendere sulla capitale, Simone si alzò di malumore: complice il meteo, il fatto che il caricatore del cellulare non avesse compiuto il suo dovere durante la notte, il ritorno a Roma dopo due settimane di stacco e una bella discussione con suo padre di prima mattina.

Quindi Manuel rimase stupito di veder far capolino in classe la faccia smorta di Simone al posto che il suo solito bel sorriso dopo due settimane di sconforto e di nostalgia.
Mi correggo: solo sorriso, niente bel.

Quando la professoressa di matematica cominciò la sua lezione, Manuel approfittò del momento per smuovere la postura rigida dell'amico.
"Simo'. Simo'. Che c'hai?" chiese.
Ma Simone non si voltò.
Non si voltò al secondo richiamo, agli sbuffi sulle spalle, ai lanci di bigliettini e neppure al pizzicare del braccio con una matita.
Simone non si voltò neppure una volta.
E Manuel capì quindi che Simone non l'aveva ancora perdonato. Non del tutto.

A fine lezione tutti avevano accerchiato il viaggiatore facendogli domande su Glasgow, su come stesse e sul perché della decisione.
Ma Simone non si voltò neppure quella volta verso Manuel, ben consapevole che la sua schiena stesse bruciando sotto il suo sguardo penetrante e pentito.

Fu dunque il momento della ricreazione.
Momento di svago e, per Manuel, della verità.
Lo acchiappò per un braccio mentre si dirigeva alle macchinette e lo trascinò in un'aula vuota.

"Che cazzo fai Manuel?" esclamò Simone.
"Dobbiamo parla' Simo'. È inutile che scappi, sta cosa dobbiamo affrontarla." si impose Manuel.
"Nc'ho da dirti niente. Lasciami in pace". rispose risoluto il ragazzo.

"Io si. Quindi stamme bene a senti': me dispiace pe quel che ho detto alla festa; nun era mia intenzione, lo sai come sono fatto e sai benissimo come reagisco quando sto incazzato. Ho parlato senza pensare e me scuso, ma mo parlame che me stai a ignora' da quando sei entrato in classe" sputò fuori Manuel tutto d'un fiato, perché via il dente via il dolore no?.

"Non era tua intenzione ma lo hai fatto." precisò Simone.
"T'ho detto che me dispiace" ripeté Manuel.
"E t'ho sentito"
Silenzio.

"Com'era Glasgow?"
Come se Simone fosse veramente uscito di casa a visitare la città.
Glasgow era noiosa per Simone.
Niente svaghi, niente pazzie, niente giri.
Niente Manuel.
Simone non era per Glasgow e questo lo sapevano tutti.
E mo?

"Non male" mentì.
"Mejo de Roma?"
"Pe certi versi"
"Tipo?"
"Tu non c'eri".
Altra bugia.

Pugno in pieno petto.

Questa Manuel la sentì forte. Simone quindi stava meglio senza di lui. Manuel no. Manuel si era sentito terribilmente in colpa per la durata di tutte e due le settimane; si era odiato, si era ubriacato pur di non pensarci, si era dato dello stronzo centinaia di volte e non si era perdonato.
Simone capace si era dimenticato di lui dal primo momento in cui era atterrato in Scozia.
Ma se si era dimenticato di lui perché mai sarebbe dovuto scappare in Scozia?
A Manuel era mancato tutto di Simone: la sua figura, la sua voce, persino i loro battibecchi come quello.
Ma forse a Simone no.
Smettila Manuel.

Il silenzio continuava ad aleggiare fra le due figure, e i due continuavano a scrutarsi a vicenda.

Manuel mo basta seriamente. Nc'avevi nessun altro amico che te ascoltasse parla' de moto e t'è mancato fa' cazzate co lui. Mo non fa la figura dello stoccafisso e reagisci.

"Vabbè se non hai altro da dire io andrei" si avviò Simone.
"Simo' me dispiace veramente." lo bloccò Manuel.

Le parole uscirono fuori sincere, come mai era stato prima. Simone tentennò, la sua maschera di odio e di rabbia incominciava a vacillare. Guardare negli occhi profondi dell'altro ragazzo, così pentiti e con una luce diversa, gli fecero balenare in testa l'idea di perdonarlo sul momento e tornare come erano prima.
Meno complicati, più spensierati, meno adulti, più bimbi.
Più adolescenti.

La mano di Manuel sul polso di Simone si staccò velocemente, perché per entrambi la scossa ricevuta era troppa da sorreggere. La mente di Simone quindi riacquistò un minimo di lucidità, e Manuel lo osservò uscire a testa bassa dalla classe.

Manuel mo basta pe davvero.

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