Prologo

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Dieci anni prima


L'odore del fumo e dei freni bruciati riempirono i miei polmoni da bambina. Stringevo a me il piccolo peluche di Bugs Bunny mentre, con fatica, aprivo gli occhi e tentavo di mettere a fuoco ciò che mi era di fronte. La testa mi girava e anche solo muovere il collo mi provocava un dolore allucinante che si irradiava fino alla schiena. Il corpo sembrava andare a fuoco nonostante fuori non avesse ancora smesso di piovere.

La pioggia estiva a Charleston era sempre stata frequente, ma quella sera era una vera e propria tempesta. I genitori di Wes ci avevano avvertiti di fermarci ancora un giorno, di non affrontare un viaggio così lungo con un simile temporale ma, per colpa mia, i nostri genitori avevano fretta di rientrare. Per cui avevamo fatto le valigie e, in un battibaleno, eravamo partiti. Io, però, volevo rimanere ancora un po'. Mi sentivo irrequieta prima di partire. Avevo come la sensazione che per molto tempo non ci sarei più tornata a Charleston, il che era assurdo visto che venivamo qui ogni estate da quando io e mio fratello eravamo venuti al mondo.

Anche Bunny era ricoperto di sangue.

Sentivo la testa pulsarmi violentemente, come se l'avessi sbattuta forte e molte volte. Con la mano destra provai a tastarmela delicatamente, in cerca di qualche ferita aperta. Qualche traccia di sangue mi rimase sulle dita, quel che bastava per spaventarmi a morte. Ero sicura che nel bagagliaio ci fosse un kit del pronto soccorso e, se fossi riuscita a prenderlo, avrei potuto medicarmi e dare una ripulita anche al piccolo peluche grigio dalle orecchie flosce che tenevo saldo tra le gambe.

I capelli mi scendevano dritti lungo il viso e alcune ciocche bionde mi rimanevano appiccicate sulla guancia sudata. Le braccia non ne volevano sapere di stare lungo i fianchi; mi ricadevano molli ai lati della testa. Mi resi conto di essere a testa in giù solo quando notai mio fratello nella mia stessa identica posizione.

«Aiden?» lo chiamai debolmente, ma lui non si mosse. Aveva gli occhi chiusi e dalla bocca non usciva neppure un gemito. «Aiden!» ci riprovai, tentando di afferrare la sua mano scivolosa e ricoperta di sangue.

Ero troppo bassa e piccola per riuscire a toccarlo. La testa ondeggiava molle a destra e sinistra, e le mani facevano altrettanto. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, e potevo percepire il cuoricino battermi all'impazzata nel petto. Quando con un tonfo assordante l'auto venne colpita ripetutamente da qualcosa e poi sbalzata lontano, urlai chiudendo gli occhi.

La mia cintura si slacciò, e fui sballottata da una parte all'altra della vettura. Sentivo dolore ovunque, in ogni parte del corpo. La testa batté più volte contro il finestrino e mi resi conto di svenire a tratti. Con le mani tentavo di afferrarmi a qualunque appiglio riuscissi a trovare attorno a me, anche se inutilmente e quando la vettura si fermò di colpo, mi ritrovai tra le braccia esili di mia madre. Il suo corpo era freddo, i vestiti erano macchiati di sangue e il viso, che solo qualche minuto fa era vigile e rilassato, ora era spento e vuoto.

Al contatto con la sua pelle gelata, scoppiai a piangere, stringendola forte.

«Mamma! Mammina! Svegliati!» la chiamai scuotendola con forza, ma la mia mamma era ormai ferma, come se stesse riposando beatamente, e forse era proprio così. Con le lacrime che mi rigavano le guance, cercai ovunque con gli occhi ilmio papà. Il fumo e l'odore nauseabondo di gomme e plastica bruciata stavano iniziando a diventare troppo pesanti.

Non si respirava.

Tentai di esalare un respiro profondo, ma questo non fece altro che peggiorare il bruciore terribile nella gola.

Mi portai entrambe le mani davanti alla bocca e tossii ripetutamente, cercando in qualsiasi modo di respirare un po' d'aria pulita.

«Papà?» gracchiai, ma la voce ormai roca non mi permetteva di chiamarlo come volevo. Qualcuno dietro di me si mosse impercettibilmente.

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