Capitolo 1: Il freddo lunedì di dicembre.

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Mi sveglio alle sette di mattina per affrontare un'altra inutile giornata di scuola. Scendo dal letto con una lentezza sovrumana, poso i piedi a terra sul freddo parquet della mia camera, cercando come una scossa di energia in quell'improvvisa sensazione di freddo, ed entro frettolosamente in bagno per darmi una sciacquata. Nonostante il sonno riesco, senza troppi problemi, a prepararmi e ad arrivare a scuola in tempo. Mi siedo repentinamente al mio banco poco prima dell'entrata del docente. Della Stora, il professore di Latino e Greco, appoggia come suo solito la pesante cartella al lato della cattedra ed inizia a fare, come ogni giorno, l'appello. Antonelli, risponde. Barroni, risponde. De Blois... Niente. Sono quasi pronta a dare la mia risposta ma non ci riesco proprio, è più forte di me. Odio quando pronunciano davanti ad una folla il mio vero cognome, mi rievoca brutti ricordi per la testa. Lo risento. Ancora non mi accingo a proferire alcuna parola. Il professore ormai, per quanto ci provi, lo sa. Del resto la scuola è iniziata da più di quattro mesi e mai, mai ho risposto a quella domanda. I miei compagni mi dicono che forse dovrei "dargli retta", ogni tanto. Nonostante però, io tenti bellamente di ignorarli, provano in tutti i modi non solo a ripetermelo quotidianamente, ma anche a tentare di relazionarsi con me, a conoscere anche solo un dettaglio in più di quella ragazza "misteriosa", come mi hanno definita parecchie volte, seduta da sola al secondo banco a sinistra, proprio vicino la finestra. Non è che non voglia fare amicizia, è solamente una cosa che mi riesce molto difficilmente, per quanto alla fine ci provi io stessa. Aspetto il termine dell'appello. Apro pigramente il libro, iniziando a prendere gli appunti della spiegazione del professore, spero solo che non mi chiami all'interrogazione, non perchè non sono preparata, anzi, ho ripassato più e più volte tutto, non per questo, no; È proprio il fatto che odio parlare davanti ad un gruppo di persone. Mi da... Fastidio, se vogliamo dirla tutta. Lo guardo in volto, vedo i suoi occhi scrutare velocemente i nomi del registro, controlla i voti più vecchi, più bassi, non so. Chiama tre persone alla cattedra. I soliti peggiori che hanno bisogno di recuperare in vista della fine del quadrimestre. Fortunatamente oggi non mi è toccato lo sforzo di alzarmi e di raccontare la solita "pappa" a tutta la classe che puntualmente si distrae. Anzi, vado piuttosto bene a scuola quindi non rischio molto verso la fine, se non per sistemare qualche media rimasta a metà. Inizio quinsi a disegnare, un paesaggio, un fiore, una ragazza. Sono io? Chi lo sa... È solo estremamente sconsolata. Ha uno sguardo triste, provo a rifarlo... Esce peggio. Sono io? Sono triste? Chi lo sa... Delle lucide lacrime scendono dai suoi grandi occhi azzurri, e una goccia quasi reale bagna il foglio pieno di cancellature e di tentativi falliti nel fare un sorriso. Lascio perdere il disegno della ragazza ed inizio finalmente a creare un'altra figura. Maschile questa volta. Sta prendendo la ragazza dal volto cancellato per mano. È felice. Cosi, da un momento all'altro il disegno mi riesce, anche la ragazza rappresentata lo è. Nonostante il sorriso però, il segno della lacrima cancellata è troppo profondo per sparire del tutto. Sono io? Sono triste? Chi lo sa... Sto ancora provando a ponderare qualcosa di bello ma la campanella della ricreazione si interpone tra me ed i miei pensieri. Come i brutti, così i bei ricordi spariscono. Mi incammino pigramente verso il bar. Il solito gruppo di studenti affollati sul ripiano si accalca per arrivare prima alla cassa. Ad un certo punto la strada mi si apre davanti come farebbero un gruppo di pecore nel momento in cui il lupo passa tra di loro. Mi guardano con occhi freddi, mi odiano? Mi evitano? Cosa ho di sbagliato? Passo avanti, timidamente. Compro delle "schiacciatine alle olive", nell'aria c'è un silenzio imbarazzante. Molto velocemente mi allontano dal bar, ancora più triste, ancora più sola. Mi siedo nel parco davanti la struttura scolastica, la panchina è vuota. Nessuno vuole sedersi vicino a me e francamente, io neppure voglio nessuno vicino. È proprio così? È davvero quello che voglio? Un lato di me dice di si, un'altro però mi urla: "non voglio essere sola, non voglio essere abbandonata, non voglio essere inesistente, o peggio, temuta dai miei compagni di classe". Ho fatto qualcosa? Non mi pare... E allora perchè mi evitano? Io li ignoro e quindi loro evitano me di conseguenza? Non lo so. Questa sono io, Isabelle. Sono davvero io? Sono triste? Chi lo sa... Mi incammino di nuovo verso la classe, rallegrata dal fatto che ora ho lo stomaco pieno di qualcosa che mi piace. Sfogo i miei problemi mangiando velocemente a quanto pare, perchè ho finito cinque minuti prima del termine della pausa. Mi risiedo al mio banco, Risuona la campanella e le lezioni ripartono. Altre due ore della mia vita passate in quella struttura nonostante il caldo sole fuori mi illumina dalla finestra. La mia pallida treccia risplende di un bianco argenteo. Nonostante sia girata in avanti, noto alcuni dei miei compagni dietro che mi guardano stupiti... Stringo la penna a tal punto da far sentire un leggero rumore delle dita che scorrono sulla plastica della biro, non mi piace essere osservata. Le due ore passano più veloci del previsto. Sento chiamare il mio nome. "Isabelle". Mi giro come per vedere se qualcuno lo stesse sussurrando, l'ho solamente immaginato? No. "Isabelle" risento. Mi giro di nuovo chiedendo chi sia. Nessuna risposta. Un'altra battutina sarcastica mi deride. Non Mi sopporto più, non Li sopporto più. Alzo la mano, manca mezz'ora alla fine delle lezioni, nonostante questo chiedo di andare in bagno. Vengo accontentata. Esco lentamente dalla stanza, con ancora la penna stretta in mano. Mi incammino nel corridoio e velocemente mi chiudo in bagno. Una sciacquata alla faccia, mi guardo allo specchio... E... Vedo... Lei. Sono io? Sono triste? Chi lo sa...

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