5 ~ Diversivo

429 67 30
                                    

Venerdì sera e il paese sembrava essere stato travolto da una frenesia incontenibile. Era il secondo venerdì di Sergio in paese, eppure, quando si decise di concedersi una passeggiata serale, ebbe modo di comprendere appieno cosa avesse inteso dire il proprietario di casa sua. Forse la stagione non era ancora iniziata, ma davvero pareva di trovarsi nel pieno delle vacanze. Villa a Mare era aperta al pubblico. I gradoni dell'anfiteatro erano strapieni di gruppetti di ragazzi, mentre il parco popolava di famiglie e di bambini che si divertivano con le giostre. Non quelle per adulti che – gli avevano detto – di solito montavano dalle parti in cui viveva lui. Nel parco c'erano soltanto altalene, scivoli, una riproduzione in miniatura di un campo da basket e qualche pupazzetto che si reggeva su una molla gigante. Il chiosco davanti la Villa era in pieno fermento, con clienti che si accalcavano al bancone; i tavolini, sparsi sul marciapiede, tutti occupati. C'era gente, troppa. Ovunque. Sul parapetto che dava sulla Praiola, sulle panchine. Sergio camminava stringendo tra due dita una sigaretta, prestando attenzione a non intralciare nessuno. Desiderava allontanarsi da lì, ma si sentiva combattuto. Aveva pensato di fermarsi un po' a fissare il mare, farsi accarezzare dalla brezza serale, per poi tornare a casa. Gli dispiaceva dover cambiare programma. Sospirò e si diresse verso il porto. Magari, lì, avrebbe trovato meno calca umana e più mare.

All'improvviso ci ripensò.

E se avesse incontrato di nuovo Marco?

Era un pescatore. Era passata mezzanotte. Magari era già sceso al porto con il resto dei suoi compari, per prepararsi a salpare.

È presto. Te l'hanno già detto che di solito i pescatori si avviano alle due, pensò, ma correre quel pericolo non lo entusiasmava. Spense la sigaretta nel posacenere portatile e lo rimise in tasca, fermandosi in mezzo alla strada, una parallela del lungomare.

Si sentiva in colpa per come si era concluso il loro ultimo incontro. Forse lo aveva offeso e non aveva neanche avuto modo di scusarsi con lui.

Le scuse tardive non gli piacevano, gli apparivano come un becero modo di porre rimedio a qualcosa, ma sbagliando i tempi, ridimensionandone l'autenticità.

Non voleva dare l'impressione, a Marco, di doversi scusare con lui. Avrebbe preferito che pensasse ch'era esattamente quello che voleva. Ma aveva già perso l'attimo. Nell'incertezza, preferì evitare il pericolo.

Tornò sui suoi passi, risalendo il lungomare fino a Cala Rossa. Lì c'era meno gente. Non avevano ancora montato le giostre per adulti. Se avesse avuto modo di prevederlo, si sarebbe risparmiato tutta quella strada inutile. Camminare in mezzo a tante persone lo metteva a disagio.

Era un tipo solitario. Guardava e studiava le persone, ma preferiva farlo restando invisibile. Come le cartoline. Immagini di pezzi di mondo che permettevano di osservare, senza essere lì. Come i romanzi, i documentari che permettevano di viaggiare, di esplorare, restando comodamente a casa. Lontano da ogni pericolo.

Rimase a fissare il mare, perdendosi nel buio della notte, nelle orecchie solo il suono delle onde che s'infrangevano delicate contro gli scogli. Udì delle risate e un gruppo di persone arrivò da oltre il parapetto che delimitava Cala Rossa. Parlavano una lingua che Sergio non comprese, ma ridevano davvero tanto. Il gruppetto si separò: tre di loro si avviarono verso la Praiola, due salirono in direzione della parte interna del paese e un altro si mosse verso di lui. Sergio distolse lo sguardo e tornò a fissare il mare.

Percepì una presenza al suo fianco e il tizio, che aveva già notato poco prima, si fermò a pochi passi da lui. Afferrò saldamente il parapetto, mise un piede sull'asta di metallo che si trovava nella parte inferiore e si sporse di colpo sul precipizio.

Sergio scattò in automatico e lo afferrò per la maglietta, tirandolo giù.

«Ma che cazzo!» tuonò, in preda al panico.

COME LE TARTARUGHE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora