19. Le ombre di altre ombre

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「 𝐏𝐄𝐍𝐄𝐋𝐎𝐏𝐄 」

                    IN UN SOLO, BREVE MOMENTO, tutti gli scheletri le furono addosso. Penelope ne aveva tirate, di imprecazioni, durante la sua vita, ma mai tante quante ne tirò quel giorno negli Inferi.

Prima ne cacciò fuori almeno una ventina nel vedere le tre bolle contenenti i suoi amici schiantarsi contro il soffitto di stalattiti della caverna, avendo l'orribile timore che le sfere scoppiassero e che i tre ragazzini finissero infilzati dalla pietra. Poi, quando le bolle attraversarono il soffitto, si concesse un sospiro di sollievo.

Le imprecazioni peggiori arrivarono quando i soldati-scheletro iniziarono ad attaccarla senza alcuna remora. Non ci pensarono due volte, gli infami, a rivolgerle contro tutte le armi. Be', si disse, avrebbe anche dovuto aspettarselo, dopotutto.

«Figlio di una...» ansimò, respingendo con un brutto calcio l'attacco di uno scheletro vestito da una giubba rossa inglese, «... papera

Affondare la spada nelle costole di quei cosi non era lontanamente possibile, perché non c'era niente da colpire. Era impossibile colpirli in posti normali, perché non sarebbe successo nulla ─ sapete, erano già morti, più di quello non si poteva fare. Così calci, gomitate e colpi con l'elsa erano l'unica soluzione, se si volevano rompere delle ossa.

A Penelope era sempre piaciuto il rumore sordo che producevano le ossa rompendosi, quindi non si trattò di un gran dispiacere.

Colpì con l'elsa di Alétheia la clavicola di uno scheletro della marina, con così tanta forza da mandarlo all'indietro. Il tipo inciampò su una fila di soldati alle sue spalle, producendo un adorabile effetto domino.

Certo che, per essere soldati, siete proprio goffi.

Stava per tirare una ginocchiata ad uno vestito come i soldati di Napoleone, quando l'ennesimo suono di un osso fratturato le riempì l'udito. Solo che, stavolta, il suono proveniva da una delle sue ossa.

Gridò di dolore, sentendosi la caviglia destra andare in fiamme. Un dolore ardente si diffuse su per tutta la sua gamba, e lei crollò in ginocchio in mezzo all'ammasso di scheletri guerrieri. E' finita, riuscì a pensare nella scura nube di dolore che le annebbiava la mente. E' andata.

«FINITELA! STATE FACENDO UN CASINO TREMENDO!» ruggì una voce, suono che le riempì le orecchie e che rimbombò su ogni parete dell'ampia sala.

La pressione degli scheletri, tutti ammassati tra loro, s'allentò fino a svanire. Restarono solo le grida di dolore che racchiuse in gola, amarissime sulla sua lingua. Ogni cosa s'offuscò, tutt'intorno si fece nero e lei ebbe l'unico desiderio di dissolversi in nebbia.

 Ogni cosa s'offuscò, tutt'intorno si fece nero e lei ebbe l'unico desiderio di dissolversi in nebbia

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                      Il sogno in cui sprofondò era vacuo e sfocato come un ricordo annacquato. Ogni cosa pareva aver perso i suoi contorni e lei aveva la sensazione di vederci doppio. Era costituito di materia fredda e fumosa, vapore forse, Foschia forse ancora. Provò ad allungare una mano ed affondò le dita nell'oggetto che le era più vicino come se questo fosse liquido.

FEATHERS, Annabeth Chase ¹Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora