Tredicesima scena
Si sentì bussare alla porta di cucina e Michele entrò seguito da Matteo. Selvaggio alla vista di Matteo spalancò gli occhi e subito dopo distolse lo sguardo da lui, stringendo con forza il bastone.
Matteo non parlò e non si sedette, era come impietrito.
«Matteo, vieni avanti, accomodati,» invitò don Antonio,
«come vedi stiamo parlando con Selvaggio, vogliamo farti partecipare alla discussione.»
«E di che state parlando?»
Chiese Matteo senza sedersi, come se volesse restare solo un momento.
«Parliamo dei furti.»
Rispose Pinuccio.
«E certo, tu stai qua! E piché m'avite fatte viní pure a me?»
«Piché sapime chi è stato.»
«A fa' i furti?»
«E certo!»
«E dicitimmille allora!»
«Si state tu, Matteo e avime a prova.»
«Pinu', che hai nel cervello? Guarda che ti denuncio, se non ritiri subito ciò che hai detto.»
«Allora, caro Matteo, devi denunciare pure me, perché io sono d'accordo con Pinuccio.» Dichiarò don Antonio.
«E su che base? Che è 'sta prova c'avite?»
«Le impronte dei scarponi che hai lasciato sullo spiazzo del vivaio di Pierino e poi sotto il tavolo di casa mia.»
«Che? Si pacce! È nu sacche di tiempe che nun vaue da Pierino!»
«La notte del furto da Pierino, è piovuto; Pierino è pronto a giurare che, sullo spiazzo non c'erano impronte verso le sette, quando è uscito dal vivaio per andare a casa.
Nel frattempo da allora non ha più piovuto. Pierino per mantenere le impronte non ha fatto entrare nessuno nel vivaio e ha comprato una catena nuova per il cancello. Quando sono andato io a fare il sopralluogo ho trovato le impronte intatte nel terreno e sullo spiazzo.
Ho fotografato le impronte sullo spiazzo e quelle nel terreno e di queste ho fatto anche il calco con il gesso.»
«Ah, iè accussì? Gesù, ma tu si nu' diavule!» Esplose Matteo.
«Scusate, don Antonio, ma chiste mi face vidè russe!»
«Stasera è già la seconda volta che viene nominato il maligno, che il Signore ci protegga dai suoi cattivi influssi.
Ma ora calmati, Matteo,»
intervenne don Antonio, «tutto questo lo stiamo facendo per chi è stato derubato e anche per te e la tua famiglia, per tua madre soprattutto. Io e Pinuccio ti siamo amici e ci siamo resi conto che non è stato per avidità che hai fatto quello che hai fatto, altrimenti non avresti dato il ricavato dei furti ai poveri di Mauro.»
«I'non agge date niente a nisciune, picché ciò che ricaviamo dall'azienda serve alla mia famiglia per vivere.»
«Alle persone di Mauro non hai dato soldi tuoi, ma quelli ricavati dai furti.»
Continuò don Antonio.
«Ma che dite tutt'e due?»
«Quanne site vinute a casa mia per la riunione, tu e tutti quelli che hanno avuto il furto, avite camminato sopra acqua e terra, che ho fatto cadere dalle piante di mia moglie sulla soglia di casa. Accussì avite lassate impronte sul pavimento della cucina. Impronte che ho messo a confronto con le fotografie delle impronte fatte da Pierino. 'I capite mo' ?»
«Che cervello fino,' sto Pinuccio!»
Commentò Matteo.
«Pè non parlà della striscia blu che 'i lassate sopra a colonna vicino al cancello del vivaio. Ho fotografato pure quella.»
«E che mi significa?»
«Significa che il furgone che è stato usato p'ò furte, iè blu...»
«Uh, qua ti volevo! I'tenghe nu furgone verde chiaro.»
«...ma pe' fà i furti hai usato il furgone blù di Assunta e...»
«E qua ti volevo nata vote! È Assunta che ha fatto i furti.»
«No! Durante la riunione non hai sentito Assunta che ha detto, che le pareva d'aver lasciato il furgone in piazza e invece l'ha trovato sotto la piazza.»
«Questo lo dice lei!»
«Lo dice pure un testimone, che ha visto il furgone blu parcheggiato davanti alla porta di dietro del bar di zio Pasqualino. Sia io che tu da ragazzi abbiamo lavorato in quel bar e sapime, che c'è una porta nel muro tra il bar e il negozio di Assunta.
'I pighiate u furgone di Assunta, l'hai portato sulla porta di dietro del bar, sei entrato nel negozio di Assunta e ti sì preso tutto ciò che hai potuto.
L'hai caricato sul furgone e l'hai portato a lui, a Mauro dove tiene un magazzino pieno di refurtiva.»
E così dicendo Pinuccio fece un cenno con la testa per indicare Selvaggio.
«Che bella spiegazione, tutto organizzato, nella capa tua però! E il testimone chi è?»
«Matte', perché l'hai fatto? Picchè arruba' a tutte quelle persone che so' pure amici nostri. Ci conosciamo tutti da 'na vita.»
«Come no! Ci canuscime tutte da 'na vita, ma nisciune vede la miseria degli altri.»
«C'è sotto qualche altra cosa.
'U saie che non chiudiamo gli occhi davanti al bisogno dei nostri compaesani:
io nella mia azienda prendo tutti quelli che posso e a un salario superiore a quello di mercato. Mia moglie, mia madre, mia suocera danno aiuto alle donne in difficoltà e non parliamo nemmeno di don Antonio, che sta sempre a chiedere ai cittadini benestanti e al vescovo, per dare a chi non c'è la fa. Che t'è successo?
Dacci una spiegazione, un motivo per non denunciarti e la parola che restituisci i soldi a chi li hai rubati.»
«Non ho rubato niente, le vostre so' tutte fantasie.» Continuava ad insistere Matteo.
«Ettore, tu non hai niente da dire?» Intervenne don Antonio.
«Agge ditte già, che nun sacce niente di 'sta storia!»
Don Antonio si alzò di nuovo e andò alla porta di cucina, tornò e si sedette.
«Don Antonio, che facciamo?»
Chiese Pinuccio.
«Aspettiamo qualche minuto.»
«Don Anto', posso?»Chiese Michele facendo capolino dalla porta.
«Ero andato in chiesa a recitare il Vespro insieme a don Egidio e suor Camilla. Ormai la funzione è finita i fedeli sono usciti dalla chiesa ed eccomi qua. Che vi serve?»
«Entra e chiudi la porta a chiave, mettiti la chiave in tasca: abbiamo il ladro dei furti che ci sono stati qui ad Argone... E il ricettatore.
Tu e Pinuccio teneteli d'occhio, mentre faccio una telefonata ai Carabinieri.»
Così dicendo l'arciprete sollevò la cornetta del telefono e cominciò a formare un numero.
La spalliera della sedia, che era stata offerta a Matteo e su cui non si era seduto, scricchiolò nella stretta delle sue mani.
Don Antonio lo guardava con occhi di fuoco, mentre componeva il numero.
«Che vulite fa'? Non ve lo permetto!»
«E come? Per andartene da qua devi sfondare la porta. Fai pure.
Ho detto a Teresa di avvertire le persone che sono in piazza, se sente qualche strano rumore.
Si precipiteranno tutti qui. Tutti sapranno cosa avete combinato voi due e poi arriveranno anche i Carabinieri. Allora o confessate ora e poi restituite il mal tolto o finite in galera.
Abbiamo spiegato che non vogliamo il male di nessuno. Vogliamo solo aggiustare le cose in modo, che chi ha subito il danno sia risarcito.»
Matteo come un falco calò sulla mano di don Antonio, che stava componendo il numero dell'Arma e lo fermò.
Pinuccio e Michele piombarono su di lui, afferrandolo per le braccia e lo tirarono indietro.
I movimenti concitati dei tre uomini finirono per travolgere Selvaggio, che si stava mettendo in piedi per tentare di sottrarsi a un eventuale urto senza riuscirci. Infatti fu spinto a sedere di nuovo e con la sedia finì spalle a terra.
Urlò per la botta che prese alla testa e continuò a lamentarsi sonoramente. Don Antonio si alzò di scatto per correre in aiuto di Selvaggio. Gli altri tre si bloccarono per il timore di avergli fatto molto male. Cominciò una gragnuola di colpi: era Teresa che spaventatissima, oltre a percuotere la porta, si mise a chiamare don Antonio a gran voce e sempre gridando, disse che sarebbe andata a chiedere aiuto in piazza.
«No, non andare, non è successo niente!» Urlò Matteo e don Antonio di rincalzo confermò:
«Non andare Teresa, stiamo solo discutendo.»
Andarono tutti a soccorrere Selvaggio. Lo sollevarono da terra insieme alla sedia;
don Antonio controllò che non avesse ferite sulla nuca.
«Ettore, come ti senti?»
Per l'agitazione don Antonio era passato dal cognome al nome e dal voi al tu.
«Non u sacce, don Anto', mi vulera stenne.»
«Michele, vai da Teresa, fatti dare un bicchiere di acqua e dille di mandare qualcuno a chiamare il medico
Di Gese. Gli facesse dire di venire subito, ché c'è stato un incidente. Intanto, Matteo, io non dimentico il tuo coinvolgimento in questa storia: è sempre più urgente che ti decida a dire la verità.
Ripeto che noi qui ci impegniamo a non denunciarti, ma i furti devono finire e che non ti venga mai più in mente di riprovarci. Inoltre dovrai risarcire le vittime.»
«E va bene!»
«Allora, i furti sono avvenuti come ha ricostruito Pinuccio?
E ti hanno aiutato due dei tuoi lavoranti. È così? Pinuccio ha scoperto, che all'azienda hai due lavoranti di Mauro.»
«Si, è accussì!»
Intanto Michele rientrò nella stanza con un bicchier d'acqua per Selvaggio.
«Poi hai venduto la refurtiva ad Ettore e che ne hai fatto dei soldi?» Continuò don Antonio.
«I' non pozze parlà!»
«Picchè? Ormai sapime tutto!»
Disse Pinuccio.
«Non sapite picchè!»
«E diccelo!»
«Don Anto', pozze parlà sule cu vuje?»
«Non è possibile, Matteo.»
La discussione era a questo punto, quando si presentò nuovamente Teresa per annunciare l'arrivo del medico.
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È SEMPRE INSOLITO IL LUOGO DEL DELITTO
General FictionSerie in corso La storia copre un arco temporale di cinque anni, dal 1967 al 1971 e segue le vicende di un gruppo di ragazze di provincia, che per frequentare le scuole superiori diventano ospiti di un collegio di suore.