Prologo

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Non dovevo uscire. Non dovevo metter piede fuori casa, lo sapevo. Se solo avessi dato ascolto a me stessa, a quest'ora non sarei qui a scappare da due occhi color ghiaccio capaci di sciogliere anche il sole.

Non era in programma, non doveva accadere ma lui si è presentato li come nulla fosse, lui che ancora una volta sembra decidere per me.

Corro più veloce, sbattendo ripetutamente le palpebre per allontanare le lacrime che mi offuscano la vista, per allontanare lui, la sua immagine.

Non mi ha seguita. Come pensavo.

In fondo non gli è mai importato di me, l'ho solo capito troppo tardi.
Troppo tardi per me.
Mi restano solo i cocci da raccogliere.
Io che avevo investito tutto su di noi, io che ci avevo provato davvero a fidarmi di lui, a credere alle sue stupide promesse o forse la stupida sono solo io.
Ci avevo creduto davvero, avevo pensato di poter essere amata da lui, mi ero illusa che quel "noi" non fosse effimero come il suo nome scritto sulla sabbia.

Pensavo fossimo più forti di un'onda.

Invece mi ha piegata, mi ha spezzato dentro, mi ha lasciata vuota su un marciapiede poco trafficato. Come una valigia che non serve più e va buttata via.
Mentirei se dicessi di odiarlo, perché nonostante tutto io lo amo.
Lo amo ancora.
Amo il pensiero di svegliarmi e trovarlo vicino; amo il suo dopobarba, amo i suoi occhi, amo le sue mani, amo la sua voce, amo la mia mano nella sua.
Amo qualcosa che non esisterà più, che non ha più senso d'esistere perché lui ha voluto così, lui ha scelto così ed ha scelto anche per me.
Nonostante non volessi, nonostante non ne avesse il permesso, nonostante me.

"Soph!"

Non voglio fermarmi, non voglio che qualcuno mi veda così.

Debole.
Spezzata.
Distrutta.

"Soph fermati. Ti prego!"

No, non posso.
Scusa.

Imbocco velocemente la via di casa, ringraziando Michael per aver scelto un locale vicino o non avrei saputo come tornare a casa a piedi.

"Soph! Non ce la faccio più a starti dietro, fermati un attimo!"

È come un mulo, ma gli voglio bene comunque.
Mi fermo davanti al portone del mio palazzo e aspetto mi raggiunga sapendo che non mollerà la presa. Cerco di asciugare le lacrime e aggiustare, per quanto mi sia possibile, il trucco.
Sono un disastro ne sono consapevole.

"Oh mio Dio. Grazie al cielo ti sei fermata!"
Ha il fiatone e mi dispiace averlo fatto correre così a lungo, ma non potevo far altrimenti. Avevo bisogno di allontanarmi da Lui, dalla sua aurea, dal suo potere per riprendere il controllo e non mostrare la mia fragilità a quei due occhi castani che adesso mi scrutano attentamente.

"Mi dispiace Soph. Io non lo sapevo. Se solo avessi saputo che quel figlio di puttana.."

Lo zittisco con due dita sulle labbra.

"Non c'è bisogno. È tutto apposto, sto bene."

Alza un sopracciglio e so che non riuscirò a convincerlo. Mi conosce abbastanza da capire che sto mentendo.

"Stronzate. Pensi non si veda il mascara colato, nonostante il tuo patetico tentativo di rimuoverlo?"

Lo guardo impassibile aspettando che continui.
Non può sapere che non resisterò per molto senza scoppiare nuovamente a piangere, non posso fargli vedere la tempesta in atto dentro me.
Ho solo bisogno che ci creda e che vada via.

"Sto bene davvero."

Sorrido, magari risulterà più convincente e lui non si accorgerà di nulla.

"Non me la bevo. Sappi solo che se non fossi scappata in quel modo ed io non fossi stato preoccupato per te tanto da seguirti, gli avrei spaccato volentieri la faccia. Non puoi permetterglielo, non puoi ridurti così"

Gli argini si rompono e la diga si apre a quelle poche stupide parole ed io mi ritrovo a piangere sulla sua maglia bianca.
Mi stringe forte e in questo momento è tutto ciò di cui ho bisogno.
Fruga nelle mie tasche in cerca delle chiavi e senza allontanarmi, entra dentro, finalmente.

"Va tutto bene."

Sento solo questo, solo tre parole che riescono a sovrastare il rumore del dolore che mi assorda, tre parole a cui voglio credere perché sono stanca di questa apatia. Sono stanca di aprire gli occhi e sentire solo quella fitta perenne che mi ricorda che se ne è andato; sono stanca di spostare la mano sull altro lato del letto e sentirlo freddo; sono solo stanca. Tanto stanca.
Poggia le chiavi sul tavolino e mi fa sedere sulle sue gambe, senza mai lasciarmi andare, senza mai diminuire la presa intorno al mio esile e troppo magro corpo.
Piango senza soffocare più i singhiozzi, piango per me, per il dolore che sento, per non essere stata abbastanza, per averci sperato.
Piango per me, la ragazza dal sorriso triste che ogni volta che si guarda allo specchio non si riconosce più.

SophiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora