Capitolo 1.

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L'aria è gelida stamattina. Mi rendo conto che fatico ad aprire gli occhi, quando Venere, la mia gatta di tre anni inizia a intrufolarsi tra le coperte. La accolgo senza indugiare, lei si posiziona sulla mia pancia e inizia a fare le fusa. Le accarezzo la testa e il calore del suo pelo mi riscalda all'istante. 

«Dai piccolina, alziamoci, o farò tardi» esordisco, con voce ancora assonnata. Venere per tutta risposta sbadiglia, mi guarda e inizia a leccarsi la zampetta. La sveglia del cellulare squilla, chiudo gli occhi e mi dico okay, fatti forza, un'altra giornata sta per cominciare.

Non mi piace iniziare la giornata con il caffè. Io detesto il caffè. Mi rende nervosa e peraltro non mi piace neppure il gusto. Mi dirigo in cucina e con la coda dell'occhio scorgo Venere che fissa un punto nel vuoto. Sorrido, dicendo a me stessa che forse è davvero come dicono, forse i gatti vedono cose a noi invisibili. Comunque il suo sguardo è parecchio annoiato, quindi mi limito a pensare al fatto che abbia semplicemente sonno. 

Accendo la TV. Mi chiedo perchè ogni mattina da venticinque anni io faccia questo gesto. La TV è noiosa, specie alle cinque e quaranta del mattino, quando l'unica cosa che va in onda è il TG, ininterrottamente. 

Dopo mille dubbi e poca voglia di entrare in doccia, finalmente riesco a lavarmi. L'acqua bollente mi rilassa all'istante, chiudo gli occhi e lascio che mi scorra sulla faccia. Quando mi risciacquo dal sapone, strizzo i capelli ed esco. Guardo il mio riflesso allo specchio. Cos'ho che non va? Non riesco più a vedermi bella e giovane come un tempo, ma cavolo, ho solo venticinque anni! 

Venere miagola e si struscia tra le mie gambe. 

«Ho capito, hai fame. Adesso arrivo» le accarezzo la schiena e lei raddrizza la coda in segno di apprezzamento.

Dopo essermi preparata, mi dirigo nella sua stanza (sì, ne ha una tutta per sé), prendo il pacco di croccantini e glieli verso nella ciotola azzurra. Lei inizia prontamente a mangiare, così la saluto con una carezza al termine della quale non mi degna neppure di uno sguardo, ed esco di casa.

Mentre entro in auto mi chiedo cosa mi abbia portata qui. Siamo ancora a novembre, ma il freddo che c'è da queste parti, non l'avevo mai sentito neppure a gennaio, in Sicilia.

«Buongiorno!» esclamo, entrando dalla porta privata e trovo Michela, intenta a preparare i cornetti.

«Ciao cara» e mi dà un bacio veloce sulla guancia. 

«A che punto siamo?» chiedo, dolcemente. Michela è instancabile, la donna più cazzuta che io abbia mai conosciuto.

«Ho già infornato quelli alla marmellata e alla crema, il tuo è messo lì» e mi indica un piattino coperto da un tovagliolo blu, perfettamente in tema con il bar. 

La ringrazio e addento il mio cornetto alla marmellata. 

«Com'è andata ieri?» mi chiede, ed io quasi mi strozzo. Avrei preferito non pensarci.

«Una vera merda, ma in fondo che mi aspettavo?» rispondo, più a me che a lei.

«Ma dai, non vederla in questo modo. Sarà il cuore a guidarti» e mi sorride. Vorrei tanto crederle, e d'altronde lei non mi ha mai mentito. E' un po' come una sorella per me. Ha trentadue anni, ma li porta come nessuna donna della sua età. Magra, slanciata, con dei meravigliosi capelli biondi dalle lunghissime punte blu. 

«Ma sì» dico, sospirando «lasciamo perdere, fumo una sigaretta e inizio». Lei annuisce, io sfilo una Marlboro dal pacchetto e mi dirigo all'entrata principale. 

«Buongiorno, signorina» esclama un cliente fisso sulla sessantina. I clienti arrivano sempre al momento sbagliato, penso tra me. 

«Buongiorno a lei» affermo, senza fargli notare il mio fastidio. Spengo la sigaretta ed entro insieme a lui.

«Cosa gradisce?» chiedo, dolcemente.

«Hai un sorriso invidiabile, mia cara. Dal primo giorno che ho messo piede in questo bar, sei sempre stata la mia preferita» sorrido, divertita «ma non dirlo a Michela, quella mi bastona». Scoppio a ridere mimando la zip sulla mia bocca, per fargli capire che starò zitta. Ordina un caffè ed io inizio a prepararlo. 

«Signor Biagio, dove va a quest'ora?» chiedo, curiosa.

«Eh, mia cara, non riesco più a dormire. La sera vado a letto talmente presto che mi sveglio insieme ai galli», sorride, e quel sorriso lo trasmette anche a me. Amo il mio lavoro.

Michela viene verso di me. «Che ti ha detto il vecchio?» e ride. 

«Niente, niente di che». 

«Ce l'ha sempre con me, non è così?» Annuisco ed entrambe scoppiamo a ridere. Nel giro di qualche minuto, viene fuori che un giorno Michela gli ha dato un cornetto appena sfornato. Lui si è bruciacchiato la lingua, e da lì non ha più voluto averci a che fare.

«Ci sta, Michi. Non si fida più. I clienti vogliono essere coccolati, lo sai bene!» dico, sorridendo.

«Eh, coccolati un cazzo, che si faccia coccolare da sua moglie!» ridiamo ancora di gusto, quando improvvisamente arriva Giorgio. Ci ricomponiamo e ci facciamo serie.

«Buongiorno, ragazze» dice. Sono le sette del mattino, ma è già tutto in tiro. Giorgio è il nostro titolare, un uomo ricco sfondato che non sta al bar neppure venti minuti al giorno. Ha altre attività, di conseguenza anche altre cose da fare. 

«Buongiorno» diciamo io e Michela in coro. 

«Come va?» chiede, e mi fa cenno di preparargli un caffè. La sua prepotenza mi rende sempre più nevrotica, però fingo che sia tutto okay e glielo preparo scaldando la tazzina il più che posso. Bruciati, stronzo.

Glielo porgo sperando che beva in fretta e se ne vada a quel paese.

«Cavolo, Ambra, ma quanto cazzo è calda 'sta tazza?»

Sorrido tra me, soddisfatta e dico «eh, le tazzine devono essere ben sterilizzate, lo sai come la penso». Lui mi guarda infastidito e torna a parlare con Michela. Ho come la sensazione che abbia una cotta per lei. Sento un lieve fastidio insinuarsi dentro di me, mentre lei è così attenta e segue tutto ciò che dice senza togliere lo sguardo da lui. Ho solo intenzione di proteggerla, ha già sofferto abbastanza nella sua vita, e un pezzo di merda come Giorgio non la merita.

Dopo qualche caffè fatto ai soliti clienti che tanto amo, Giorgio va via salutandomi con un cenno del capo. Quanto ti odio, penso tra me, seguendolo con gli occhi fino a che non esce.

«Non ti va proprio giù, eh?» sento improvvisamente dire con un marcato accento romano.

«Cosa? Chi?» chiedo, guardando in viso chi mi ha appena posto la domanda.

«Il tuo capo».

A parlare è un ragazzo sulla trentina. Ha gli occhi verdi e i capelli neri che si perdono tra ricci ribelli. Lo guardo attonita per qualche secondo. Poi una vocina nel cervello dice Terra chiama Ambra! Così mi ripiglio e rispondo «ma che dici?»

Lui sorride scoprendo dei denti perfetti, io lo guardo e mi brucia lo stomaco. Ma che cazzo ho?

«Certo, come no. I tuoi occhi parlano chiaro.»

«Ti sbagli. Non ho nessun problema con lui» dico. Non è vero, è evidente, ma non voglio dargliela vinta. Che poi, a ripensarci bene, questo chi è?

Prima che possa chiedergli qualcosa, sparisce.

«Michela, ma chi cazzo era quello?» le chiedo, sperando che lei lo sappia.

«Non ne ho idea, ma a te che ti frega? Stai ancora a pensare a Gabriele!» mi canzona.

Gabriele è il mio ex fidanzato. Non stiamo più insieme da sei mesi ma ancora provo qualcosa per lui. Inevitabilmente ogni tanto lo vedo, ci parlo, ma tutto sembra davvero finito.

«Era solo pura curiosità, non l'avevo mai visto qui».

«Non saprei. Ha pagato ed è andato via».

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