Top secret.

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Forse cosa?
È lui, deve essere lui, altrimenti chi può essere?
Cosa rispondo?
Cosa gli dico?
Senza accorgermene, sorrido.

Strano.
Non lo facevo da tanto tempo.

Alzo lo sguardo, e vedo l'immagine di papà sul muro.
Quanto mi manca.
Lui non era solo il mio papà. Lui era il mio fidanzato, il mio migliore amico, mio fratello. Era un gigante, uno di quei giganti buoni, come quelli dei film, che ti danno i fagioli magici che si trasformano in un albero di soldi.
Ma lui non mi ha dato fagioli, soldi.
Lui mi ha dato amore.
Tanto amore.
Una lacrima mi bagna il viso, ma continuo a sorridere.

7.49 a.m.

La sveglia suona, più volte, ininterrottamente.
Apro gli occhi, ho il telefono accanto a me, e sono vestita.
Dopo qualche secondo, realizzo che mi sono addormentata guardando papà, e che non avevo risposto a Riccardo.
Scorro velocemente le notifiche apparse sul blocco schermo dei svariati gruppi, quando vedo un altro suo messaggio.

"Ho detto qualcosa di sbagliato?"

No, tu non hai detto qualcosa di sbagliato, non sei tu quello sbagliato, lo sono io.
Io sono uno sbaglio.
E sbagli non sono belli, ne da vedere, ne da commettere.
E lui non merita uno sbaglio, no.
Lui era così... Diverso.
Eravamo diversi.
Io vivevo solo fisicamente, moralmente ero morta.
Lui viveva, viveva pienamente la sua vita, in tutti sensi.
Io non ricordavo nemmeno cosa significasse.
Ormai il mio concetto di "vita" era cambiato.
Io ero cambiata.

Scendo giù, la colazione è sulla tavola e un post-it è appeso al frigo.

"Amore io sono andata a fare dei servizi, ci vediamo a pranzo. Un bacio"

Cos'era? Un altro colloquio?

Ely viene a bussarmi, e insieme ci avviamo a scuola.

-cos'hai?- è la prima domanda che pronuncia e l'ultima che avrei voluto che pronunciasse.

Faccio finta di non averla sentita, meglio così.

-so che mi hai sentita, e so anche che non hai risposto a Riccardo.- prosegue.

-cosa ne sai tu?- cerco di mantenere e mostrare la calma più assoluta.

-mi ha chiamata stanotte, svegliandomi, per chiedermi se era tutto apposto con te, dicendomi che non l'hai risposto. Si può sapere perché?-

Perché tutta questa importanza? Perché ha chiamato Ely per domandare di me?

-mi ero addormentata.- rispondo nettamente, sperando che finisse li il discorso.

Ma ovviamente stiamo parlando della mia migliore amica, la ragazza più cocciuta del pianeta.

-dai, cosa ti prende?- domanda con un tono premuroso, quasi da mamma.

-mi prende che non voglio risponderlo; sono obbligata? No, non credo. Quindi direi di chiudere qui il discorso!- mi sentivo una stronza, e forse lo ero.

-e cosa vuoi fare? Allontanare tutti man mano? Mandare tutte le future relazioni, la tua vita sociale a puttane? Perché? A che pro? Ti senti meglio così? Io voglio l'alice di un anno fa, l'alice che veniva a ballare con me, l'alice che organizzava feste, che marinava la scuola. Voglio la mia migliore amica; quella di una volta.-
Urlava, e inizio a pensare che insieme alla mia "vita sociale", anche il suo tono premuroso era andato a puttane.

Mi scende una lacrima.
Lei si gira e mi guarda.
Mi giro anch'io, e a bassa voce le dico:
-la mia vita è andata a puttane, l'alice si una volta non esiste più, fattene una ragione.-
Avevo un tono arrabbiato, facevo quasi paura.
Sembravo impazzita, la sua faccia è stata indescrivibile.
È rimasta a fissare i miei occhi, come se stessi piangendo sangue.
Si rimette le cuffie e accelera il passo, io rimango dietro di lei, ferma, guardandola allontanarsi.
Sono indecisa tra il tornare a casa e proseguire verso quel carcere minorile.
Premo play, e continuo a camminare.
Arrivo alla fermata del bus, Ely è seduta sulla panchina.

-scusami- sussurro una volta avvicinatami a lei tanto da sentire la nuova canzone dei linkin park rimbombare dalle sue cuffie.

Nessuna risposta.
Lo ripeto, questa volta più forte.
Ma ancora una volta non ottengo nessuna risposta.

"Scusa di cosa alice? Per il tuo carattere di merda? Perché non differenzi il "fare la morale" dal "voler bene"? A me non piace fare la morale, anche se può sembrare di si. Non posso fare la morale, no, perché io di insegnamenti di vita non ne ho, e non li so trasmettere, sai più cose tu di me. Però ti voglio bene. Questo è sicuro.
Se vuoi chiedermi scusa per questo, va bene; scusata!"

Appoggio i gomiti sulle ginocchia e con le mani mantengo la testa, chinata verso il basso, osservando le lacrime che cadevano sul mio jeans.
Mi abbraccia, non avevamo più nulla da dirci.
Quell'abbraccio aveva un significato maggiore di qualsiasi altra parola.

Dopo il lungo tragitto in autobus, finalmente sono a scuola.
Incontro Riccardo, che non mi saluta.
Gli corro dietro, e quando sono più o meno vicina a lui, dico a bassa voce "Riccardo" in modo da farmi notare.

-si, dimmi.- è freddo, mi odia, ma in fondo come biasimarlo, anch'io mi odio.

Non ne vale la pena, non so continuare il discorso, mi sento una bambina in un mondo di grandi, un'idiota.

-nulla, scusa- sono pronta per andarmene, quando mi tira un braccio.

-si può sapere perché mi schifi così tanto? Cosa ti ho fatto?- mi domanda tutto d'un fiato.

-non saprei.- rispondo immediatamente.

Deluso dalla risposta che probabilmente non si aspettava, se ne va.

Mi ripeto più volte mentalmente di andargli dietro, di non lasciarlo andare.

Ma no, non lo farò.
Lo guarderò allontanarsi.
Anche nel bene, c'è sempre un po di male.
Ma questa volta, non vincerà nessuno dei due.
Sarò io quella a vincere.

-Buongiorno, appena tornata da una lotta libera?- è la prima frase che sento appena entrata in classe, dalla più snob, stronza e puttana della classe, Giorgia.
Sapevo che il mascara fosse colato, e si vedeva che avevo pianto, che cazzo di commenti sono.

-perché non ti infili quella lingua in culo, Giorgia? Tanto penso che ci entri dopo tutte le tue scopate giornaliere- soddisfatta dalla mia risposta e dalla faccia dei miei compagni, vado a sedermi.

-calmati, sai che non ti conviene metterti contro una delle sorelle.-

Regna il silenzio per tutti i 5 minuti seguenti, finché non arriva la prof.

Per tutta la giornata non sono uscita nei i corridoi per la paura di incontrarlo e nessuno mi ha rivolto la parola in classe.

Appena suona la benedetta campanella che annuncia la fine dell'ultima ora, mi avvio alla fermata dell'autobus con Ely, che sembra preoccupata.

-che succede?- chiedo prontamente, anche se riesco a immaginare la sua risposta.

-alice, ti stai mettendo contro le persone sbagliate, quelle due vipere te la faranno pagare.- ha una voce piuttosto strana, come se sappia già la futura "vendetta".

-non mi interessa- rispondo sfottendo la playlist sul cellulare in cerca di una canzone decente.

Lei sembra rassegnata e non mi parla per tutto il tragitto in autobus.

Scendo alla mia fermata quando vedo Riccardo su una panchina.
Faccio finta di non vederlo finché sento urlare il mio nome.

Disastro "me"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora