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Getto uno sguardo verso il lago placido e so che vale la pena rischiare.
L'acqua è immobile e calma. Vetro tirato lucido. Neanche un filo di vento ne increspa la superficie scura. La nebbia bassa sfiora il profilo delle montagne liquide che galleggiano in cielo screziato di viola. Un respiro tremulo e ansioso mi sfugge dalle labbra. Presto sorgerà il sole.
Arriva Azure, senza fiato. Non si preoccupa del cavalletto. La sua bici cade sferragliando vicino alla mia. «Non hai sentito che ti chiamavo? Lo sai che non pedalo veloce come te.»
«Non volevo perdermi lo spettacolo.»
Alla fine il sole sbuca dalle montagne,una linea sottile rossa e oro sul contorno del lago scuro.
Azure sospira e so che stiamo immaginando la stessa cosa: il sapore della luce dell'alba sulla pelle. «Jacinda,» dice lei «non so se è il caso». Però non è tanto convinta.
La aspetto impaziente, con le mani in tasca. «Ci tieni quanto me, a essere qui. Guarda che sole.» Prima che Azure borbotti un'altra lamentela, sgusciò fuori dai vestiti. Li appallottolo dietro un cespuglio, mi avvicino alla sponda e treno, ma non per il freddo del primo mattino: è l'eccitazione a mettermi i brividi. I vestiti di Azure cadono.














«Cassian protesterà » dice. La guardo torva. Come se m' importasse le proteste di Cassian. Non è il mio ragazzo. Anche sei ieri, durante le Manovre di Disimpegno in Volo mi ha attaccata a sorpresa e ha cercato di prendermi per mano. «Non rovinare il momento. non mi va di pensare a lui adesso.» Questa piccola ribellione è anche una fuga da lui. Cassian. Sempre a ronzarmi attorno. Sempre lì. A guardami con quegli occhi scuri. Ad aspettare. Che se lo prenda Tamra. Passo un sacco di tempo a sperare che Cassian desiderasse lei, che il clan l'avesse voluta al mio posto. Lei, o chiunque altra. Un sospiro mi trema sulle labbra.
Odio non avere scelta.
Manca parecchio, però, prima che la faccenda si risolva. Per adesso non voglio pensarci.
«Andiamo.» rilasso i pensieri e assorbo tutto il brusio che mi circonda. I rami con le foglie grigio-verdi. Il trambusto degli uccelli all'alba. La nebbia umida attorno alle caviglie. Distendo le dita dei piedi sul terreno ruvido e grezzo, a mente conto i sassi sotto la pianta. E le letto sento l'attrazione che conosco bene. Il mio aspetto umano scompare, svanisce, al suo posto la pelle di draki, più spessa.I muscoli del viso si tendono, gli zigomi si affilano e si allungano, mutano impercettibilmente. Il respiro cambia mentre sul dorso del naso spuntano le creste. Gli arti si sciolgono e allungano. È bello sentire il peso delle ossa. Guardo il cielo. Le nuvole diventano più che semplici macchie di grigio. È come se ci stessi già volando in mezzo. Sento il bacio della condensa fresca sul corpo.
Non ci vuole molto. Forse è una delle mie manifestazioni più veloci. Lucida e concentrata, lontana da presenze estranee, a parte Azure, è più facile. Non c'è Cassian con i suoi sguardi minacciosi. Non c'è mia madre con la paura negli occhi. Non ci sono gli altri a guardare, valutare, giudicarmi.
Sempre a giudicarmi.
Le ali crescono, sono lunghe poco più della schiena. È un velo sottilissimo che si schiude. Si spiegano con un fruscio morbido, un sospiro. Come se anche loro cercassero un po' di sollievo, di libertà. Una vibrazione familiare mi gonfia il petto. Quasi come delle fusa. Mi volto e vedo anche Azure pronta e bellissima accanto a me. Azzurro iridescente. Nella luce sempre più forte, noto le sfu mature rosa e viola nascoste nell'azzurro della sua pelle di draki. Un dettaglio minuscolo che non ho mai notato prima.
L

o vedo soltanto adesso, all'alba, il momento migliore per alzarsi in volo. Il momento in cui il clan lo vieta. Quanto ci si perde, di notte.
Abbasso lo sguardo e ammiro lo splendore rosso e dorato delle mie braccia floride. I pensieri si accumulano. Ricordo una grossa scheggia d'ambra nel tesoro di pietre e gemme preziose della mia famiglia. Adesso la mia pelle ha esattamente quel colore. Ambra baltica intrappolata nella luce del sole. È ingannevole. Sembra delicata, ma è dura come una corazza. È passato tanto tempo dall'ultima volta che mi sono vista così. Troppo, da quando ho assaggiato il sole con la pelle.
Sento le fusa delicate di Azure, non lontano da me. Vedo i suoi occhi, occhi dalle iridi più grandi, con fessure verticali e scure per pupille, e capisco che le è passata la voglia di protestare. Alza lo sguardo azzurro e brillante ed è felice quanto me di trovarsi qui. Anche se abbiamo infranto ogni regola del clan per andarcene di nascosto dalle zone protette. Siamo qui. Siamo libere.
Dondolo sui talloni e balzo nell'aria. Le ali scattano, sono
membrane nodose che si estendono e mi sollevano. Una piroetta, e prendo quota.
Ecco Azure, di fianco a me, la sua risata è un suono cupo e gutturale.
Il vento ci assale e la luce dolce del sole ci bacia la pelle. Quando siamo abbastanza in alto, la mia compagna plana, scende con un
avvitamento che mi confonde e sbanda verso il lago.
Arriccio le labbra. «Quante arie!» esclamo, e il rombo della
lingua draki mi vibra in gola mentre Azure si tuffa nel lago e resta
sott'acqua per qualche minuto.
È una draki d'acqua, e quando si immerge dai fianchi le spun
tano branchie che le permettono di restare a mollo... be', anche
per sempre, se volesse. Una delle tante doti utili sviluppate dai
nostri antenati per sopravvivere. Non tutti le abbiamo, però. Non
io, per esempio.
Io ho altre doti.
Sospesa sul lago, aspetto che Azure riemerga. Alla fine sbuca
dalla superficie con uno spruzzo d'acqua scintillante, il suo corpo
azzurro brilla nell'aria, dalle ali una doccia di gocce.
«Bello» dico.
«Vediamo te, adesso!»
Scuoto la testa e mi rituffo verso il groviglio di montagne,
ignorando Azure che implora: «E dai, è fichissimo!».
La mia dote non è fichissima. Darei qualsiasi cosa pur di liberarmene. Per diventare una draki d'acqua. O una mutaforma. O
un'offuscatrice. O un'onice. O... be', la lista è davvero lunga.
Invece sono così.
Sputo fuoco. Anzi, sono l'unica sputafuoco del clan da più
di quattrocento anni. Ciò mi rende più famosa di quanto vorrei
essere. Sin dalla mia prima manifestazione, a undici anni, ho
smesso di essere Jacinda. Sono la sputafuoco, punto. E tanto basta
perché il clan voglia la mia vita come se fosse sua. È peggio di mia madre, il clan.
All'improvviso sento qualcosa oltre il fischio del vento e il
brusio delle nevi sulle montagne imbiancate che mi circondano.
Un rumore debole, lontano.
Drizzo le orecchie. Mi fermo, sospesa nell'aria densa.
Azure inclina la testa: sbatte gli occhi da drago e li strabuzza.
«Cos'è? Un aereo?»
Il rumore aumenta, si avvicina più in fretta, è un ritmo costante.
«Meglio se ci abbassiamo.»
Azure annuisce e si tuffa. La seguo guardandomi le spalle, ma
vedo soltanto il profilo irregolare delle montagne. Però il rumore e le sensazioni sono sempre più netti.
Non si fermano.
Il rumore viene verso di noi.
«Torniamo alle bici, magari?» Azure si volta verso di me, i suoi
capelli neri striati d'azzurro sbattono al vento come una bandiera.
Tentenno. Non voglio smettere proprio adesso. Chissà quando
riusciremo a scappare un'altra volta? Il clan mi controlla da vicino,
Cassian è sempre...
«Jacinda!» Azure punta un dito azzurro iridescente verso il cielo.
Mi volto a guardare. Mi si ferma il cuore.
Da dietro una montagna bassa sbuca un elicottero, in lontananza sembra piccolo, ma più si avvicina, attraverso la nebbia,
più diventa grande.
«Vai!» grido. «Buttati!»
Mi tuffo, apro un varco nel vento con le ali strette al corpo,
le gambe dritte come una freccia, nell'angolazione migliore per
prendere velocità.
Ma non sono abbastanza rapida.
Le pale dell'elicottero, frenetiche e tambureggianti, smuovono
l'aria a ritmo. Cacciatori. Il vento mi punge gli occhi mentre volo
più veloce che mai.
Azure resta indietro. La chiamo urlando, mi volto, leggo la
disperazione cupa nel suo sguardo liquido. «Az, forza!»
I draki d'acqua non sono fatti per la velocità. Lo sappiamo
entrambe. La sua voce si rompe in un singhiozzo: è nei guai e lo
sa benissimo. «Ci provo! Non lasciarmi! Jacinda! Non lasciarmi!»
Dietro di noi, l'elicottero avanza. Sento in bocca il sapore amaro
della paura quando ne vedo altri due, e perdo ogni speranza che
il primo fosse solo e andasse a zonzo per scattare foto aeree. È una
squadriglia, ed è a noi che dà la caccia, non c'è dubbio.
Sarà successo anche a papà? I suoi ultimi momenti sono stati così?
Scuoto la testa per scacciare il pensiero. Oggi non morirò, non
voglio che facciano il mio corpo a pezzi per rivenderlo.
Faccio un cenno verso le cime degli alberi più vicine. «Qui!»
I draki non volano mai a bassa quota, ma non abbiamo scelta.
Azure mi segue, si insinua nella mia scia. Si riavvicina, ed è
talmente impaurita che manca per un soffio gli alberi che ci sfilano
davanti. Mi fermo e fluttuo a mezz'aria mentre il fiatone mi gonfia
il petto. Gli elicotteri ronzano sopra di noi, il battito ritmico delle
pale ci assorda e scuote gli alberi fino a renderli una schiuma verde
e densa.
«Meglio se ci demanifestiamo» dice Az, senza fiato.
Come se potessimo farlo. Abbiamo troppa paura. I draki non
riescono a mantenere le sembianze umane quando sono spaventati.
È un meccanismo di sopravvivenza. Nell'intimo, siamo draki: è da
lì che viene la nostra forza.
Sbircio al di là del traliccio di rami scossi che ci fa da riparo,
con le narici piene dell'odore di pini e foresta.
«Io riesco a controllarmi» insiste Az nella nostra lingua gutturale.
Scuoto la testa. «Può darsi, ma è troppo rischioso. Dobbiamo
aspettare che se ne vadano. Se vedono due ragazze quaggiù... dopo
aver avvistato due draki femmina, potrebbero sospettare qualcosa.» Un pugno freddo mi stringe il cuore. Non posso permettere
che succeda. Né a me, né a nessun altro. A nessun altro draki.
La capacità segreta di prendere sembianze umane è la difesa più
efficace che abbiamo.
«Se non torniamo a casa entro un'ora, ci beccano!»
Evito di rispondere, per non spiegarle che il problema è un altro molto più grave che farci scoprire dal clan. Non voglio spaventarla più di quanto non sia già.
«Dobbiamo nasconderci per un po'...»
Un rumore si sovrappone a quello delle pale che sbattono. Una vibrazione cupa nell'aria. La peluria che ho sulla nuca si rizza. C'è qualcos'altro. Giù. A terra. E si avvicina.
Guardo verso il cielo, apro e chiudo le dita lunghe, simili ad artigli, mentre le ali vibrano in un movimento che controllo a malapena. L'istinto mi spinge a fuggire, ma so che mi aspettano, lassù. Come avvoltoi che volano in cerchio. Spio le loro sagome scure oltre le cime degli alberi. Mi manca il fiato. Non se ne vo gliono andare.
Indico ad Az di seguirmi tra i rami fitti di un pino imponente. Stringiamo le ali al corpo e ci infiliamo tra gli aghi appuntiti, ci destreggiamo fra i ramoscelli ruvidi. Tratteniamo il respiro e aspettiamo. Poi la terra prende vita, pullula di veicoli di ogni tipo: pick-up,
Suv, moto da cross.
«No» ansimo, di fronte ai veicoli e agli uomini armati fino ai denti. Sul cassone di un pick-up, due stanno pronti e inginocchiati davanti a un grosso spara-reti. Cacciatori esperti. Sanno quel che fanno. Sanno cosa cacciano.
Az trema così tanto che il ramo su cui siamo rannicchiate co mincia a vibrare, e le foglie a frusciare. Le stringo la mano. Le moto da cross fanno strada, procedono a velocità vertiginosa. L'autista di un Suv fa un cenno fuori dal finestrino. «Cercate fra gli alberi» grida, con voce grossa e terrificante.
Az tentenna. Le stringo più forte la mano. Ora c'è una moto proprio sotto di noi. In sella, un uomo con una maglietta nera aderente sul corpo giovane e muscoloso. La mia pelle tesa fa quasi male.
«Non posso restare qui» ansima Az vicino a me. «Devo andare!» «Az» ringhio a voce bassa, ansiosa. «È quello che vogliono. Cercano di stanarci. Non farti prendere dal panico.»
Risponde con un ringhio. «Non. Ci. Riesco.»
E la nausea che mi stringe lo stomaco arriva con la certezza che non resisterà molto.
Controllo l'attività più in basso e gli elicotteri che sfilano in cielo, e in quel momento mi costringo a prendere una decisione. «Bene, ecco il piano. Ci separiamo...»  «No.»
«Esco allo scoperto per prima. Mi faccio inseguire, poi tu punti verso l'acqua. Tuffati e restaci. Per tutto il tempo che serve.»
I suoi occhi azzurri luccicano umidi, le linee verticali delle pupille pulsano.
«Capito?»chiedo.
Annuisce tremando, e con un respiro profondo contrae le creste sul naso. «E tu c-cosa fai?»
Mi sforzo di sorridere, ed è una sofferenza. «Volo, ovviamente.»

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