5.Al posto giusto

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Non era previsto.
Quella mano, quella siringa, quel buio, quel vuoto di conoscenza... non era previsto niente di tutto ciò. Sylvia sarebbe dovuta scappare di casa e raggiungere la riva del mare, poi andare più lontano e girare il mondo. Chisenefrega che avrebbe dovuto correre per tutta la vita? Sarebbe di certo stato meglio di non aver potuto decidere col proprio cervello.

Con movimenti lenti e calcolati, scosta la coperta bianca per mettersi a sedere. Si strofina un occhio col pugno e con la sua solita eleganza sbadiglia senza limiti! Non ha mai dormito così profondamente da quando ha memoria. Il suo sguardo cade direttamente sul comodino, precisamente su un foglio bianco con su scritto a caratteri cubitali: "Tanti auguri". Vicino c'è una piccola scatolina rossa, benché le procura non poca curiosità, decide di lasciarla lì.

È in una stanza che non conosce, eppure l'unica dove dovrebbe essere. Non c'è bisogno che glielo dica qualcuno, sa bene che in qualsiasi modo sarebbe andata, questa sarebbe stata ugualmente la sua prossima casa. Poggia i piccoli piedi scalzi sul pavimento freddo e solo adesso si rende conto di avere ancora gli stessi vestiti stracciati del giorno prima. Non ha neanche bisogno di specchiarsi per percepire il trucco sbavato e i capelli arruffati.

Cerca il suo cellulare ma non lo trova, mi sembra quasi inutile dire che è riuscita in tempo record a mettere sotto sopra una stanza che fino a poco fa, era una vera e propria reggia. Come se non fosse già abbastanza, la porta è chiusa a chiave, vale a dire che non potrà uscire, o almeno è quello che si può pensare: senza dimenarsi, raggiunge la grande finestra e scosta le tende; il sole entra dentro con una tale violenza da far paura. È impossibile uscire da lì, è troppo in alto e per di più non si apre. Si butta con la schiena alla parete bianca;
è una cosa che fa sempre quando le serve un nuovo piano studiato bene. Si lascia scivolare su di essa fino a sedersi e stringere le gambe al petto per poter lasciarci su la testa.

Proprio quando pensa di aver perso tutte le speranze, la porta crea uno strano cigolio obbligandola a portare lo sguardo su di un uomo che non ha mai visto prima. <Buongiorno, signorina Sylvia.> alle sue parole, resta di pietra. Riconosce quella voce e non vuole che legga la disperazione che prova a nascondere <Sono venuto a chiederle scusa...>

<Dove sono?> domanda Sylvia, col tono più autoritario che conosce. È da quando ha aperto gli occhi che desiderava formulare questa domanda a qualcuno, e finalmente è giunto il momento. Il problema è che proprio mentre sta per dare una risposta a tutti i suoi dubbi, il tempo appare pesante:

<Lasciaci soli, Matthew> ordina una voce maschile che riesce a raggelarla come nient'altro: è dolce e dura allo stesso tempo, diversa da tutte le altre. Calma, calda ma ugualmente distante. Carismatica, ecco. Il ragazzo delle scuse le manda un'occhiata veloce, la guarda dritto negli occhi come se non volesse perderla di vista, come se non avesse finito di parlare... Eppure, annuisce spostandosi per far spazio ad un altro paio di occhi azzurri: belli da far invidia al cielo, ma ghiacciati. Pur essendo chiari, non lasciano trasparire alcun tipo di emozione. Si intonano alla perfezione con i suoi capelli scuri lasciati liberi e scombinati. È un uomo di circa trent'anni, ogni tratto del suo volto sembra essere stato disegnato minuziosamente dal migliore dei pittori. Non può negarlo, Sylvia non ha mai visto qualcosa di talmente bello da non sembrarle vero.

Il ragazzo si chiude la porta alle spalle e resta sul posto infilando le mani in tasca. La guarda dall'alto con una strana espressione interrogativa. Generalmente, Sylvia Deva chiederebbe spiegazioni, farebbe così tante domande da farsi odiare, peccato che adesso ha un nodo in gola e le uniche parole che verrebbero fuori sarebbero prive di forza. Il silenzio che li avvolge viene spezzato da un sospiro, il suo, il chiaro segno che averla in casa sua, non è che lo elettrizzi più di tanto. <Allora...Sylvia Deva> fa lui. <Io sono Henry Cavill, un agente speciale dell'FBI> trattiene il distintivo all'altezza del petto definito, lo si può disegnare grazie alla camicia bianca e attillata che non lascia il minimo spazio all'immaginazione.

La guarda negli occhi, torturandola. Vorrebbe distogliere lo sguardo e tornare a respirare, tuttavia, il suo orgoglio non glielo permette. Ha le guance rosse, fatica a mantere il suo respiro costante e non per questo abbassa la testa. Anzi, vuole - contro sé stessa -, studiarlo a fondo: dal tono della sua voce, dalla postura e il modo di porsi, si evince chiaramente che non teme nulla, neanche Sylvia, colei che da sempre ha avuto il potere in mano, e che da circa 24 ore, sembra essersi dissolto senza salutarla.

Le arriva davanti

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Le arriva davanti. Probabilmente dovrebbe alzarsi e mostrargli quanto vale, solo che non le va. Non ancora. Ha bisogno dei suoi tempi, soprattutto di ricordare che Lui è Henry Cavill: il suo secondo carcere.
<Dov'è finita la tua lingua?> chiede chinandosi di pochissimo verso di lei.

<Avete cosí tanta paura di me da dovermi addormentare per avermi con voi?>

<Già...> sfodera un ghigno. Non riesce a crederci nemmeno lui, è come se questa cosa non fosse stata definita, come se fosse successa senza il suo consenso, come se per un attimo avesse perso la situazione dal pugno. Si gratta la guancia fissando un punto indefinito che si trova sul pavimento, a pochi passi dai piedi di Sylvia. <In realtà non è stata una mia idea quella> e non è difficile da credere. <Tuttavia, sei nel posto giusto> si ferma fissando intensamente e continuamente gli occhi chiari di lei
<E questa... è l'unica cosa che conta> dice, sorridendo appena.

<Stai scherzando?>

<Affatto.> a questa risposta chiude gli occhi, stringe i pugni, e le basta pensare di star avendo a che fare con qualcuno che le ha rovinato i piani, per tornare a squartarlo come lui prova a fare con lei. Si mette in piedi. E con la solita forza che tanto la contraddistingue, si fa avanti. Si scaglia completamente contro di lui.

<Non mi interessa di chi sia stata l'idea. Mi avete scambiata neanche fossi un oggetto, mi avete rincorsa come se fossi la peggiore delle criminali, mi avete ingannata, addormentata e portata qui contro la mia stessa volontà. Vi siete mai chiesti se questo è ciò che voglio io?> ... <È  ovvio: NO> urla spingendolo senza fare una piega. Infatti, in un lasso di tempo brevissimo, le blocca le mani tirandole verso di sé. Prova a liberarsi, ma invano <Voglio delle spiegazioni valide, ne ho tutto il diritto>, sussurra stremata. Una mossa azzardata da parte di Henry, quella di toccare qualcosa che non gli appartiene.

<Le avrai.> è l'unica cosa che riesce a dire prima di allentare la presa e lasciarla alle sue spalle, così, senza neanche una risposta che potesse soddisfarla.

➵𝓞𝓾𝓽 𝓸𝓯 𝓬𝓸𝓷𝓽𝓻𝓸𝓵 ²𓆙Où les histoires vivent. Découvrez maintenant