Bianca
Una volta qualcuno l'ha chiamato bella senz'anima questo quartiere. L'ha associato a una canzone che canta di disprezzo e di rabbia, di rancore e dolore. Gli è bastato venirci una volta sola per capire che qui ci muori.
È un posto strano: chi ci nasce si illude di potercisi tirare fuori e chi ci finisce ci si rassegna. Non è che uno lo fa perché lo vuole davvero, lo fa perché pensa di non avercela una scelta. Che scelte puoi avere in un posto dove non c'era neanche un supermercato fino a tredici anni fa? Dove l'asfalto si sbriciola a ogni passo, l'aria è piena di polvere e i bambini hanno dovuto imparare a giocare?
Qui le case somigliano a delle navi, ma non vanno da nessuna parte. Ti lasciano fermo, sospeso tra quattro pareti sporche che a malapena stanno in piedi, e di acqua pulita non ce n'è. E anche io, che senz'anima mi ci sono sentita spesso, non lo so se una scelta ce l'ho mai avuta. Voglio sperare di sì.
Voglio salire su una nave vera e andare via. Solo che ci si nasce con certe condanne e io la mia ce l'ho addosso come un marchio. Mi sento intrappolata in questo posto, in questa vita, e anche se forse non riuscirei a cambiare niente, le catene che stridono a ogni movimento che provo a fare mi fanno credere di doverci almeno provare.
In certi quartieri ci nasci e ci muori, la polvere delle strade ti si appiccica ai vestiti e l'odore del pregiudizio ti resta addosso. A certi sguardi e all'indifferenza ti ci abitui, ma non lo so se per una vita uno se lo può fare bastare. Io a diciassette anni non so già più che farmene.
Mentre afferro la spugna e la strofino addosso ad Aurora, appoggiandomi al bordo della vasca, la fisso negli occhi e mi lascio scappare dalle labbra quello che sento.
«Ma te, te lo immagini se là fuori c'è qualcosa di diverso anche per noi?».
Lei mi guarda con la fronte corrucciata e gli occhi azzurri curiosi, come se capisse quello che sto dicendo, e per un attimo mi sento anche compresa. Però che ne sa lei del dolore dei grandi, delle paure di una donna? Che ne so io della vita di un bambino, invece?
«Credo di no, che non te lo immagini» sussurro.
Sto cercando di fare il possibile per tirarci fuori da qui e non è tanto il posto, uno ai luoghi ci si abitua e casomai se ci sta male, quando l'aria si fa pesante, scappa.
Si tratta del circolo vizioso di errori e scelte sbagliate, quelle che ti ci cacciano in certi posti e poi davvero non ti ci tirano fuori più. Ci sto provando, ma inizio a pensare che io qua ci muoio, nei miei sbagli e nelle mie paure.
E Aurora ride, una fossetta le solca la guancia e per un attimo mi dimentico di quanto io mi senta soffocare qua dentro.
«Ce la facciamo, io e te» bisbiglio, come se capisse.
Ma che ne sa delle donne che devono arrangiarsi da sole?
Vorrei poterle dire che suo padre verrà a cercarla un giorno, che è una brava persona e che la ama, ma la verità è che non credo che succederà mai. Chi si tira fuori da questa merda non ci torna, nemmeno per vedere cosa si è lasciato indietro.
Ma oltre il vetro crepato della finestra il cielo si sta colorando e i miei occhi ci si impigliano in mezzo. Mi sono sempre chiesta cosa si aspetta il cielo all'alba, quando resta a osservare i tuoi occhi che nei suoi colori ci si perdono. Cosa ci viva tra sue pieghe stanche, tra le sue nuvole bianche e tra i raggi che la mia pelle non l'hanno mai toccata. Mi sembra di poterlo sfiorare il suo centro, solo allungando una mano.
Mi resta addosso, i suoi colori mi sporcano la pelle quasi fossi una tela da colorare, un foglio bianco da cui ricominciare. È il momento della giornata che preferisco, l'unico in cui mi concedo di chiedermi di che colore sia il cielo sopra di lui. Respirare mi viene facile, la rabbia se ne va e ci morirei anche qui. Questo cielo è l'unico specchio nel quale io mi sia mai riconosciuta davvero.
Quando passi una vita a non saperli nemmeno pronunciare i nomi di certi colori, poi non riesci a lavarteli via di dosso quando li trovi. Quando ci passi una vita sotto lo stesso cielo poi finisce che anche se ne vorresti vedere di nuovi, quello resta l'unico che ti appartiene. Non ho mai capito perché qualcosa che poi non ho mai potuto toccare davvero mi sia entrato fin dentro le ossa, ma so che mi tiene qui senza impazzire. Ci nascondo tutte le speranze che mi fanno male e i desideri che rinchiusi nel petto iniziano a pulsare.
Devo lasciarlo andare e smettere di aspettarlo, perché lo so che non tornerà.
È che mi è rimasto addosso, come tutto quello a cui non ho mai saputo dare davvero un nome. Mi chiedo solo se ci sia ancora una parte di me che non abbia sporcato e cosa ci si nasconda lì.
Firenze si risveglia intimidita dal suo cielo, anche il mio angolo di città la segue mentre io mi chiedo cosa ci sia di davvero mio là fuori, cosa ci sia davvero di mio poi in me. Se davvero ci morirò qui, se lui tornerà mai a prendermi mentre lo sto ancora aspettando. E alla fine me lo chiedo cosa mi abbia lasciato addosso anche questa alba, io che i colori non li ho mai saputi usare.
Io che Bianca ci sono nata, che del bianco porto il nome, il vuoto e il pallore di una pelle che non ho chiesto di avere. Io che Bianca lo sono sempre stata, non lo so se basta lasciarsi baciare da un cielo per smettere di esserlo. Non so nemmeno più se mi basta lasciarmi baciare da te.
***
Note:
Ecco a voi il prologo! So che è un po' enigmatico e che non si capisce ancora niente, ma ho voluto introdurre la personalità di Bianca con un prologo riflessivo. Lei è una giovane donna che ha tanto da raccontare, volevo che si capisse fin da subito. Dal prossimo capitolo, però, li conoscerete. 💘
Cosa vi aspettate da Bianca? Commentate e votate 💘
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Senza fare rumore
DragosteLe Piagge, Firenze. Bianca ha diciassette anni, una madre instabile e un lavoro in una gelateria del centro grazie al quale cresce la sua bambina di un anno. È una serata piovosa quando, diretta verso il suo appartamento di periferia, si accorge che...