Prologo | Ti piace la casa, tesoro?

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Walter aveva smesso di cercare una casa, ormai.

Al liceo gli avevano sempre detto che era un tipo brillante, che aveva un grande futuro. Avrebbe fatto strada nella vita. Invece tutto quello che voleva fare, adesso, era trovare un piccolo buco dove nascondersi. Aveva lasciato il lavoro dei suoi sogni, aveva lasciato lo Stato, aveva lasciato ogni cosa. Ma non bastava mai. Perché sapeva che prima o poi Lei sarebbe venuta a prenderlo.

Arraffò le chiavi dal bancone del motel e a passi rapidi proseguì lungo il corridoio, in cerca della stanza numero 7. Le luci sulla sua testa sfarfallarono. Bastò quello per fargli accapponare la pelle: i capelli scuri gli si rizzarono sulla nuca e fece fatica a far entrare la chiave nella toppa, perché la mano iniziò a tremare in violenti spasmi. Si afferrò il polso con la sinistra, tenendo ferme le dita in modo da poter girare la serratura e aprire la porta.

Prima di arrischiarsi all'interno della stanza, però, accese la torcia del cellulare. Sentì il cuore accelerare, mentre il fascio luminoso veniva puntato verso la tenebrosa camera da letto. Apparentemente sembrava sgombra. Corse all'interno tastando la parete come un pazzo alla ricerca dell'interruttore della luce e, quando finalmente i paralumi anni settanta gettarono i loro freddi bagliori dentro la stanza, la morsa del panico si allentò un poco. Era un tipo massiccio, Walter, eppure aveva imparato a muoversi senza fare rumore, quasi trattenendo il respiro.

In apnea, lasciando per sicurezza la porta aperta, andò a controllare verso il letto. Il suo braccio si mosse molto lentamente verso la coperta che ne copriva la parte inferiore. Le unghie afferrarono i lembi di stoffa, esitando per un secondo che apparve infinito. Quindi, la tirò via con un guizzo rapidissimo, con la stessa violenza con cui si strappa un cerotto che porta via la crosta.

Niente.

Là sotto c'era solo il pavimento vuoto. Poi, all'improvviso, lo sentì: un tonfo dall'armadio a muro. Sgranando gli occhi, paralizzato sul posto, mosse le pupille verso la fonte del rumore.

Doveva andare a controllare? Doveva scappare? Doveva urlare?

Gli venne da piangere, eppure scelse la prima opzione. Chi gli avrebbe mai creduto? Chi avrebbe mai creduto che un'indicibile mostruosità lo aspettasse nel buio ogni ora, di ogni giorno, di ogni mese? Strizzò le palpebre, prese un profondo respiro e camminò quasi in punta di piedi verso l'armadio. Ora o mai più.

Spalancò le ante.

Rischiò l'infarto quando un topolino gli strisciò fra le scarpe e scappò nel corridoio dalla porta lasciata aperta. Solo un topolino. Il sollievo che lo inondò fu così forte che gli venne la nausea. Sospirò, stropicciandosi gli occhi fra indice e pollice. Per ultimo verificò il bagno: ripeté maniacalmente l'operazione di controllo con la torcia del cellulare e rifece la maratona verso la luce. Per fortuna, la striminzita stanzetta beige era sicura.

Quando ogni anfratto fu esaminato, andò a chiudere la porta con una doppia mandata. Poi girò la manopola della doccia e si rincantucciò sotto il getto ghiacciato, sulla griglia di scarico, tutto vestito e con le ginocchia al petto. Sembrava un bambinetto spaventato mentre piangeva disperatamente, consapevole che nemmeno l'acqua gelata lavasse via la paura, il senso di colpa e i ricordi.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per dimenticare tutto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare dalla testa quel terribile, disumano, osceno sguardo.

Ed ecco che Walter commise l'errore che gli fu fatale. Ripensò a quegli occhi. Senza alcun preavviso, la luce del bagno cominciò a crepitare in una bassa, lenta, cupa vibrazione. Come un sinistro ronzio. Come un ringhio. 

Piccoli occhi | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora