Nuovo mese, nuovo anno scolastico: settembre 2011. Ancora non ero pronta psicologicamente per affrontare la seconda superiore, ma dovevo in qualche modo farmi forza. Per lo meno, ero fortunata a non dover prendere ogni mattina l’autobus che mi avrebbe portata dall’altra parte della città: mio padre lavorava vicino alla mia scuola, quindi mi accompagnava lui. Certo è che arrivavo sempre per prima in quel minuscolo giardino di cemento, dove ogni giorno le auto la facevano da padrone. Proprio là fuori, incontrai di nuovo i volti conosciuti dei miei compagni di classe e di altre sezioni, mentre altre facce mi erano nuove, sia di alunni che di insegnanti. In ogni caso, anche se non proprio contenta di tornare a svegliarmi presto ogni giorno, ero eccitata di cominciare qualcosa di nuovo, chissà poi cosa avrei imparato. Ecco, adoravo apprendere nuovi concetti, modi di pensare, o addirittura altre materie.
Salii le scale che portavano alla mia classe insieme ai miei compagni; per fortuna nostra era davanti alle macchinette, quindi un caffè, seppur annacquato, non ce lo toglieva nessuno la mattina. Eravamo abituati con la professoressa di spagnolo e quella di inglese a stare fuori dall’aula, i loro ritardi erano ormai ben conosciuti ai più, e noi ce la prendevamo comoda.
Ecco però uno di quei volti nuovi dirigersi verso di noi, intimandoci di entrare in classe e prendere posto. Io, da perfetta talpa, mi sedetti davanti o non avrei visto niente di quello che sarebbe stato scritto alla lavagna. Al mio fianco avevo una delle ragazze con cui avevo più legato, Marta, mentre dietro avevo l’altra mia amica, Ramona; stavo più che bene.
-Good morning, boys and girls, I’m your new English teacher! - esclamò la professoressa che ci aveva richiamati. Ecco, subito che cambiamo ritmo, dopo un anno passato in panciolle a non far nulla, ci toccava metterci sotto. Almeno io non avevo problemi con le lingue straniere, mi piacevano da sempre e non trovavo troppe difficoltà a studiarle. Il mio sogno, alla fine, era di andare a vivere in Scozia e sbizzarrirmi in campo creativo, che fosse la musica, o l’arte. Suonavo il basso e la chitarra fin da quando ero piccola, affiancata da mio zio, musicista di professione, ma amavo disegnare ritratti dei miei idoli, che fossero Billie Joe Armstrong, Hayley Williams o Andy Biersack, e mi rilassavo a colorare, cercando di ottenere sfumature sempre più simili alla realtà.
-Sono la professoressa Abanesi, e riprenderemo il programma da dove l’avete lasciato l’anno scorso. A proposito, l’anno scorso cos’avete fatto? -. Ci fu un silenzio di tomba: tra una pausa e l’altra con la scorsa prof, avevamo fatto gran poco, quasi nulla. Tutto quello che ricordavo era dalle medie.
-Nulla- rispose dopo più di qualche secondo il compagno che stava dietro di me, anche lui molto bravo in inglese, e con cui a volte facevo amichevolmente a gara per il voto più alto.
-Ma dai, come nulla? You must have done something, after all! -.
-Nulla proprio- risposi io, che in classe tendevo a partecipare più degli altri, con la voce che dava ancora segnali di stanchezza -solo ripassato presente, past simple e un paio di vocaboli durante lettorato, nient’altro di particolare-. Alla mia risposta, la Abanesi sospirò e abbassò lo sguardo.
Passammo il resto dell’ora a presentarci brevemente, e alla fine il tempo passò anche in fretta.
Alla seconda e terza ora rivedemmo la professoressa Bianco, di italiano, latino e storia. Lei era ottima come insegnante, molto esigente, certo, ma come spiegava lei nessuno: sapeva rendere interessanti pure le declinazioni di latino. Dato che già ci conoscevamo dall’anno scorso, passò le ore ad esporci i programmi delle sue materie: avremmo finito il programma di latino, cosa strana per lei poiché era il primo anno in cui a un linguistico si sarebbe fatto latino solo al biennio, e si notava la sua difficoltà nel far incastrare più argomenti in poco tempo. Un po’ mi dispiaceva per lei, si vedeva come era in difficoltà; sapevo, tuttavia, che avrebbe superato questo ostacolo.
Finalmente arrivò ricreazione, io, Marta e Ramona ci tuffammo in corridoio per sgranchirci le gambe. Superata la massa di gente accalcata ai distributori, scendemmo per andare in giardino. L’aria era ancora calda, si stava bene in maniche corte. Mangiammo mentre parlavamo, io avevo una crostatina, e pian piano iniziai a rosicchiare l’esterno, per poi gustarmi l’interno di marmellata.
-Ma quindi tu sei riuscita a fare tutti i compiti? -.
-Sì, tranne le letture, sai che mi annoiano- ascoltavo, intanto, i discorsi delle mie due amiche. Io avevo letto molto, sia i libri consigliati, sia altro: adoravo le fanfiction, e ne scrivevo qualcuna, ogni tanto, per passare il tempo. Capitava spesso di stare oltre la mezzanotte a fissare il documento sul computer alla ricerca delle parole migliori per descrivere le situazioni che volevo narrare, per buona parte si trattava di storie romantiche e primi baci tra alcuni dei musicisti che mi piacevano.
Il suono della campana mi risvegliò dai pensieri che stavo facendo, e tutte e tre tornammo il più velocemente possibile in classe.
Francese, stavolta, altro volto nuovo. La professoressa aveva una voce acida, non mi piaceva, e l’accento francese che avrebbe dovuto avere era inesistente. Sarebbe stato un anno orribile per il francese, pensai, ma almeno io vivevo ancora di rendita dalle medie. Ci presentammo anche con lei, e devo dire che il suo cognome, Rastro, mi suonava tanto antipatico quanto il suo accento e i suoi capelli neri palesemente poco curati, portati con un caschetto mosso.
Dopo di lei, finalmente tornammo a casa. Salutai Marta e Ramona, loro avevano i genitori ad attenderle in auto; io tirai fuori l’mp3, misi le cuffie e subito la musica mi rilassò. Peccato, non avevo neanche la mia migliore amica storica, Serena, a farmi compagnia: lei era in un’altra sezione, e non avevamo lo stesso orario di uscita.
Il viaggio, nonostante fosse durato quasi un’ora, sembrò molto più breve: ogni volta rimanevo incuriosita dalla gente che saliva e scendeva dal pullman, mi chiedevo dove andasse, a cosa pensasse, o come avrebbe impiegato la giornata. Io avrei studiato italiano, o meglio, fatto degli esercizi sul metodo di studio. Erano noiosi, ma sapevo che mi sarebbero stati utili per tutta la vita, e mi concentravo allora nel farli al meglio. In italiano e storia, purtroppo, non andavo così bene: non avevo mai imparato a studiare seriamente, non sapevo come fare, oltre a ciò che già facevo, ma alla fine riuscivo sempre ad arrivare alla sufficienza. Sapevo che sarebbe stato un lungo percorso, ne ero leggermente spaventata, ma non dovevo e non potevo permettermi di farmi abbattere.
In men che non si dica arrivò sera, dopo cena mi rintanai in camera, davanti al pc. Ogni giorno chattavo con delle ragazze da tutta Italia, avevamo creato un nostro forum dove facevamo una sorta di gioco di ruolo in cui ognuna impersonava una celebrità, e tra tutte le conobbi Dora. Lei era la Taylor Momsen del gioco, ci sentivamo spesso anche tramite messaggi, o skype. Passavamo i pomeriggi in videochiamata a raccontarci quello che ci succedeva, ci confidavamo, restavamo in silenzio. Tutto di lei mi sembrava stupendo. Aveva la mia età, precisamente era nata dieci giorni dopo di me, e mi trovavo sempre bene a confidarmi con lei. La sua Taylor, nel gioco, si era fidanzata col mio personaggio, una ragazza inventata completamente, dato che a me non piaceva impersonare qualcuno di reale.
Dopo aver passato un paio di orette al computer, spensi tutto e andai a letto: non volevo addormentarmi troppo tardi, o ne avrei sentito le conseguenze l’indomani.
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Life in black, white and blue
RomanceL'adolescenza è un periodo burrascoso per tutti, specialmente per una ragazza. Cosa farà lei, quando si accorgerà di provare dei sentimenti per qualcuno di cui non si dovrebbe minimamente preoccupare? Come si troverà a vivere il periodo del liceo, i...