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Cara Suzanne, ieri c'è stata la prima alluvione.

ci credi un alluvione nel ben mezzo del caldo dello Yellowstone. Nel pomeriggio sono uscito e ho visitato il bosco con degli amici di vecchia data, sai ogni cosa è cambiata, la natura sembrava uno stupore continuo.

oggi ho visto due scoiattoli che si rincorrevano, ovunque c'erano tracce di animale e le mie.

abbiamo deciso di fare un escursione costiera, intorno a noi c'erano alberi di pino e frutteto, e una grande distesa di verde. Erano i primi anni, ma avevamo pini di grandi dimensioni, il cielo era straordinariamente chiaro, e la luna piena vegliava su tutto. Alle prime luci del mattino, un'aquila si era mostrato e comparso quasi subito.

il mare faceva da specchio a parallelepipedo moltiplicavano gli effetti di quella meraviglia, una volta tornati agli alloggi, subito t'imbatti in rapide e mutevoli scogliere di teste, il moto ondoso diventa più collettivo e profondo a ogni mutazione.

sai cosa mancava?

tu.

Seppur ero in compagnia non lo ero davvero, perchè le persone ritornano, a modo loro. In pochi ammettono che si erano recati in questo posto in cui arde il fuoco. Pochissimo ammettono di esservi venuti apposta, creano delle false scuse per la loro presenza.

La verità era che la maggior parte di loro tornava a far pace con se stessi, con l'autoconsapevolezza che il vaso quando si spezza non ritorna lo stesso, seppur cerchi di incollare i pezzi. Come sappiamo la nostra resina non è così salda da tenere i pezzi, verrà il momento che farà crollare di nuovo i pezzi, fino alla riproduzione di una resina più resistente.

sai, uno mi aveva persino aggredito con: 'non ho tempo da perdere'

E allora perché è qui? gli chiesi.

nemmeno lui lo sapeva, dai movimenti scoordinati. Lo si vedeva.

cercai di consolarlo, e non ci mise molto a rovesciare tutto che celava nel suo cuore addosso.

alcuni nemmeno un misero " grazie" avevano la decenza di dire. erano così eclissati su loro stessi, che facevo finta di non darci peso.

Ora sono qui, sulla stessa roccia dove tutto ebbe inizio, eri così restia a voler vedere l'alba.

ti avevo seguito, e ci sedemmo su una roccia. Rimanemmo per svariate ore, era una giornata particolarmente fredda, e dopo l'ennesima corrente. Mi abbracciai così intensamente.

« sei il mio nido di ragno»

scoppiai a ridere,

«come mai ?» dissi.

Ti avevo stretta a me con ancora più vigore. Ti eri rintanata nel tuo silenzio, e io avevo capito che non mi avresti rivelato il motivo di quell'appellativo.

Rimanemmo così per tutto il giorno a guardare l'infinito orizzonte. La notte stava calando, era il mio momento ideale, il sipario si intercalava e tutto cadde nel silenzio.

avrei voluto rimanere ancora, ma dovetti rinunciare all'idea, i ragazzi mi stavano aspettando per fare ritorno all'alloggio, ma questo non mi impedì di stare in disparte, mentre stavo ammirando la fattoria che ci aveva ospitato sotto un'altra prospettiva, sembrava che i pilastri di legno si muovessero e parlassero sole. Gli altri erano esausti, chi si lamentava dei crampi per la scalata, chi non vedeva l'ora di mangiare, cose del quotidiano, invece a me aveva attratto un luogo che volevo prima visitare.

c'era una piccola stalla. Tra la paglia, il nitrire dei cavalli, e le nubi di fiato leggero che usciva. Mi fece ricordare il mio sogno da bambino, aprire una fattoria per animali.

come ho fatto a dimenticarmene? era anche il sogno di Suzanne.

distratto dai miei pensieri, ero entrato per caso a curiosare colpito da un vociare ovattato che giungeva da quella direzione, mi trovai davanti ad una mucca, doveva aver partorito da poco. Accanto a sé, si trovava una piccola creatura con gli occhi socchiusi- chissà se stesse sognando un mondo felice- la mucca sembra essersene accorta di me, e con un colpo di coda e drizzo di orecchie, io avevo capito di essere subentrato in territorio nemico. Era come mi stesse dicendo guarda, ma sta lontano. Non toccare. Seppur leccava il vitellino, i suoi occhi mi osservavano come delle lame di un chirurgo.

In quello spazio angusto, eravamo solo noi tre. Io, la mucca e il vitellino.

era un ambiente caldo, e quel caldo mi faceva andare indietro con gli anni. Era un tepore sbiadito, voleva dire casa.

voleva dire dono, cura e amore. Voleva dire domande mai fatte, e risposte mai date.

In quei giorni, tornai alla vecchia vita della metropoli, raggiungendo la scialuppa di quei miei fantomatici amici di vecchia data. Quel giorno era un evento scritto nel carnet, nessuno osava non presentarsi.

Io in compagnia di mia moglie, invece Steve lo stesso ruffiano di sempre stava adocchiando qualche bella donzella, entrati nel solito locale sfarzoso, la mia buona moglie accarezzava tutti, distribuiva baci e abbracci. E con l'alcol nessuno la metteva a bada, nemmeno io.

Ammonivo di non darle da bere, lei non mi dava ascolto. E nemmeno i nostri ospiti.

Quando nessuno di noi si buttava nella mischia, lei li guardava: ma come siamo già vecchi e stanchi? e allora lì veramente nessuno poteva placarla.

tirava sempre con la forza la povera Bridgette.

I più giovani ci stanno osservando, diamo l'esempio diceva e si buttava a capofitto. Aveva un modo di vedere le cose, del tutto inusuale, era tutto una sfida e competizione. Sembrava un drogato all'incerca dell'ennesima droga per sedarlo. E lei era semplicemente così

prima obbiettavo con dove andate? state qui buone insieme a noi.

Ora, non più. Non aveva senso.

quel giorno qualcosa d'inusuale accadde, accanto alle nostre poltrone sentì

«Jack,Jack. tutto bene?»

chi era? quella figura non la riconoscevo, un uomo sulla cinquantina che mi urlava dal fondo della sala, per sapere come sto? che bizzarro.

«E i processi? come stanno andando?»

in questi casi, che si poteva mai fare? niente, si produceva e si sfornava una maschera adatta a costui.

sorridevo, facevo cenni con il capo e assecondavo. Finché lo sconosciuto che scoprì di essere un certo McGregor, non ha esaurito le batterie. E si è ammutolito.

In quei giorni, avevo frequentato le feste di John Flix, il damerino della famiglia Flix. Quella sera avevo adocchiato la Soave con Steven.

Salutai il mio amico, gli offrì uno scotch e dissi: «recupero l'ultima volta che avevo da fare Steve, spero non ti dispiaccia?»

«Amico, era ora. Stavo aspettando di creare i titoli della tua serie di avventure con la nostra Soave, e metterla in dominio pubblico.»

«La soave e il titano seconda serie: chi sopravvivrà?»

«che ne dici?» rivolse la sua attenzione sulla nostra Soave, che presa in contropiede non seppe cosa dire.

misi il braccio della soave sul mio, e fece l'occhiolino al mio amico e sparì.

Lo sentivo dietro di noi urlarci. Fatemi sapere com'è andata, Jack conto su di te e cose del genere.

Io mi voltai verso la segretaria, e la guardai con occhi illusori.

«Amore,Oh amore.... andiamo!»

e la Soave non se lo fece ripetere due volte, e con quei calzoni così neri e aderenti,

la mia giornata avrebbe avuto fine.

Insieme a Suzanne, mia moglie e tutto il resto.







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