Capitolo 9: Baciami ancora

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In preda alla rabbia ma più ancora accecato da una follia mai balenata prima nella mia mente, rientro a casa. Tutto deve tornare come prima. Il prezzo pagato per essermi concesso un momento di debolezza è stato troppo alto e la cosa che più non sopporto è che a pagarlo non sono stato io ma l'essere che amo più della mia stessa vita. Chiuso nella mia tana, mi lecco le ferite. Il sangue è ancora bollente ma le vene...no, le vene no! Piano piano il ghiaccio prende forma e inizia a ricoprire ogni cosa. La mia mente geme mentre i suoi tessuti si rapprendono. Il cuore pulsa sempre più debolmente. Tutto si gela e lentamente recupero la freddezza necessaria per pensare. Con la mente ripercorro gli ultimi giorni. Rivedo le mie ansie, le mie paure ma anche i miei fremiti per dei successi che ora reputo stupidi. Fregato dall'amore, stregato da una donna, mi sono lasciato andare troppo e ho perso Bulut. Un senso di colpa profondo, unito ad un dolore sordo dritto al petto mi sfianca senza tregua. Non mi perdonerò mai. Mi conosco e so che se c'è qualcuno a cui devo far pagare qualcosa, lo faccio fino in fondo. Ancor più se quel qualcuno sono io. La perfezione di Ferit Aslan in fondo si è plasmata proprio con questo. Col tempo ho imparato che ogni causa ha un effetto e ogni azione una reazione. Tutto tende simmetricamente all'equilibrio e cos'altro è quest'ultimo se non il rapporto commisurato anche tra delitto e pena? Ecco...un delitto quello compiuto da Demet e Hakan. Un delitto perpetrato contro di me ma sulla pelle di un bimbo. E io? Io complice di questo delitto. La pena prima che a loro, dunque, spetta a me. Loro, infatti, hanno addirittura un attenuante...ma io no! Rivedo quelle lacrime, risento quelle urla, stringo ancora quella mano. L'idea di veder crescere Bulut lontano da me mi rende pazzo. Ho sempre pensato a lui, a quando grande si sarebbe preso le prime sbronze, si sarebbe innamorato, avrebbe guidato la prima macchina. Sapere che mi perderò tutto questo e molto altro mi toglie il fiato. Se solo potessi urlare o piangere! Ma niente...ormai il ghiaccio ha bloccato ogni accesso e in fondo le lacrime come cristalli appuntiti restano ben piazzate negli occhi, pungono e feriscono come non mai. Chissà cosa starà facendo il mio leoncino? Si sarà calmato? Che cosa penserà di me? Di sicuro che l'ho tradito e che l'ho fatto nel modo più stupido. Per amore di una donna...Nazli. È colpa sua se ho perso. Lei mi ha irretito e come tutte le altre donne mi ha fatto capitolare. Con la sua finta ingenuità mi ha sedotto. Ma come ho fatto a cadere nella trappola?! Il desiderio, i sensi hanno preso il sopravvento e io li ho lasciati correre. Ma ormai nulla più resterà di questi ultimi giorni. Deve stare lontana da me. Devo tenerla lontana da me. Il solito delirio di onnipotenza torna a farsi vivo, ma questa volta è diverso. Mentre cerco di convincermi della colpevolezza di Nazli, mentre provo a tirarla in ballo per attenuare le mie colpe e darne forse una seppur debole giustificazione, una fitta al cuore. Come il punteruolo che dritto si conficca nella parte più interna del ghiaccio, così quel nome si insinua nel mio cuore. Riconosco il calore che sprigiona e fremo già non di dolore ma di piacere. Una fiamma che dilaga e che non vuol dare tregua al ghiaccio che avanza. Il petto si squarcia sotto il carico dei colpi e in pieno delirio evoca la sua nemica. Un'evocazione che diventa prima sensazione e poi certezza. C'è la luna piena anche stasera. Nazli arriva avvolta dall'oscurità. La osservo. I suoi occhi, la sua bocca tradiscono la sua emozione. La pelle candida è tesa e riesco a scorgere sotto di essa quelle vie segrete del piacere che il suo sangue disegna e il mio legge. Due anime uguali le nostre! Due lupi. Avanza con passo ferino. Incede e ogni piede poggiato sull'erba del giardino è un colpo assestato alla mia sicurezza. Vuole parlarmi. Ma di cosa? Cosa importa ormai di noi due? Quello che è stato non conta più. Lei è come tutte le altre donne. Riesco persino a dirglielo. Con durezza e strafottenza le rivelo la mia reale concezione delle donne, tutte abili calcolatrici, bugiarde fino all'inverosimile per accaparrarsi un uomo, soprattutto se ricco. Lei non è diversa dalle altre. Sorride come loro, fa le fusa come loro e tradisce come loro. La mia mente pensa, ma la mia bocca dice altro. Cattivo come non mai, disposto a fargliela pagare, le rifilo le mie elucubrazioni come le confessioni di un alcolizzato. Sono addirittura fiero di me e della mia sfrontatezza. È la dimostrazione che un uomo può recuperare terreno e credibilità quando e come vuole. Ferit, sei sulla strada giusta. Nazli deve capire che la debolezza non è tua veste e, soprattutto, che non sei l'uomo che cade alle prime moine. Mentre parlo, ingoio l'alcol e stranamente più bevo e più recupero lucidità. Cosa sto dicendo? Cosa sto facendo? Ho perso Bulut solo per colpa mia. Una guerra si scatena dentro di me nel momento in cui mi riscopro essere così vile e infame da accusare un'altra persona di una colpa che è solo mia. Davvero complimenti, Ferit Aslan! Non ti basta aver ceduto al piacere, cerchi anche l'attenuante? Una freddezza improvvisa si sprigiona da me e raggiunge Nazli seduta poco distante. Deve aver percepito la mia amarezza, perché improvvisamente tace e spegne ogni sorriso. Un silenzio che ha lo stesso effetto dello stridore delle anime dannate nei gironi infernali. Poi i suoi occhi si gonfiano di lacrime e il suo viso si lascia solcare da esse. Quelle lacrime parlano e raccontano la storia di un'anima che si è lasciata coinvolgere suo malgrado in una danza dei sensi che neppure immaginava. Le sue mani tremano e il modo in cui serra le gambe tradisce l'agitazione di chi avverte il senso di colpa per quanto è accaduto. La osservo mentre il dolore prende forma in lei. La tenerezza che emana quel suo viso candido disarma. Non una donna qualsiasi. Nazli è davanti a me. L'idea di vederla soffrire mi fa trasalire. Non posso permetterlo. E in un attimo sparisce tutto ciò che avevo progettato nelle ore precedenti. Confesso a me stesso la mia debolezza. Urlo a Dio il mio desiderio di lei. Sono attimi quelli dei suoi occhi nei miei ma così intensi da spazzare via tutto. E cado di nuovo ai suoi piedi. Stretta nelle sue spalle, sprofonda tra i cuscini del divano. La vedo spegnersi, venir meno. Ho paura che sia addirittura un fantasma che inconsistente sfugge tra le mani della mia anima. Possibile che il desiderio di lei si sia spinto a tal punto da materializzarsi e diventare carne viva? Forse ho bevuto troppo...o forse anche a questo c'è una spiegazione. In fondo è risaputo che la materia arriva in ritardo rispetto allo spirito. Le nostre anime corrono e i nostri corpi si affaticano invano a raggiungerle. Questa è la verità. Nazli è mia e io sono suo e il nostro ritrovarci qua è solo lo spostamento materiale dei nostri corpi dietro le nostre anime che non si sono mai spostate da questo divano. Come la desidero. Come ho potuto pensare anche solo per un attimo che lei fosse come le altre? Il terrore mi assale nel momento in cui ripenso ai progetti di allontanamento da lei poco prima appuntati. Non riuscirei a vivere senza di lei. Questa è la verità. La afferrerei ora e la terrei stretta, ma, al solito, la dea ha fretta di tornare in cielo e ancora una volta lascia il povero pastore sedotto e abbandonato nella grotta della solitudine. Eppure...questa volta, il passo di Nazli nell'andare via non è il solito. È indecisa. Ritorna così indietro nel tentativo di dirmi qualcosa ma...non ci sono parole per spiegare quello che in fondo al cuore di entrambi è nascosto da sempre. Pochi attimi e lei è sotto la mia ombra. Afferro la sua mano, mentre con l'altra sfioro il suo viso. Come su un velluto, così la sua pelle sotto il solco delle mie dita. Le sue guance diventano improvvisamente calde. Sentire il suo sangue ribollire sotto le mie mani mi fa tremare di piacere. Con sempre maggiore pressione affondo le dita sulla sua carne. Ora anche il braccio mi appartiene. Lo percorro in attesa di arrivare dove solo il piacere di lei può condurmi. I suoi occhi nei miei. Le sue labbra che accennano una debole frase di scusa e le mie che invece, decise, si aprono per dirle che a lei tutto è concesso. Il sacrificio si compie e il coniglio lunare finalmente viene divorato dalla sua dea. Come una guerriera disposta a prendersi la sua parte di bottino, sento il suo corpo sbattere contro il mio, mentre le sue mani mi afferrano le braccia. Affonda le unghia la mia leonessa e la mia pelle si sfilaccia al piacere immenso di vedersi finalmente dilaniata da lei. Non è un semplice afferrare il suo. Ingabbia le mie braccia, dirige le mie mani, le indirizza come e dove vuole lei. Afferro i suoi fianchi in quello stacco naturale che ti pone davanti a un bivio. La stringo e sento che le piace. Ma voglio molto di più. La sua mente, il suo cuore...questo voglio! Così le afferro il viso e finalmente i nostri respiri si fondono. Un mordersi, un cercarsi, un fare incursione continuamente che avvolge ogni senso e abbatte ogni moralità. C'è in quel bacio la tenerezza di una creatura che si schiude all'amore per la prima volta, la voracità di un lupo avvezzo alle azzannate, la curiosità di spingersi oltre l'ingenuità, la prepotenza di insegnare l'arte del piacere. Un piacere immenso nel vedere il modo in cui lei cerca le mie labbra portando avanti il gioco che io ho iniziato. Sento la sua femminilità esplodere tra le braccia. Anche in questo la mia signora non abbassa la cresta. Vuole dominare e lo fa con una forza che mi lascia sbalordito. È una fiamma che incenerisce per poi riaccendersi al minimo ciuffo d'erba spuntato. Piccola...la sento dominarmi come un gigante. Mi è addosso e niente e nessuno potrà mai strapparla via da me. Come due bambini, stremati dal gioco, si abbandonano l'uno sull'altro, così la notte ci accoglie. Una sensazione di pace. Una sorta di panacea dell'anima in un momento così terribile.

Sotto la pelle di Aslan n.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora