capitolo 1

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La parte peggiore era il viaggio dalla libreria  verso casa. Lì fuori mi sentivo indifeso,troppo piccolo e impotente per quel mondo.
In giro i ragazzi mi guardavano nello stesso modo in cui si guarda qualcosa di davvero ridicolo,mi guardavano e scoppiavano a ridere: una risata non troppo silenziosa,forse per farmi capire che mi stavano prendendo per il culo e quindi per farmi sentire una merda... La cosa bella è che ci riuscivano.
Io cercavo di ignorarli e di rimandare giù quella forte voglia di picchiarli che mi veniva dallo stomaco e che mi faceva stringere i pugni tanto da farmi sentire dolore; il semplice modo per reprimere questa voglia era pensare al fatto che se avessi provato ad alzare le mani su di loro nelle mie condizioni mi sarei rirovato in meno di dieci minuti al pronto soccorso.
Mi strinsi nel caldo cappotto che la zia mi aveva regalato a Natale e nascosi il naso arrossato e la bocca nella pesante sciarpa di lana di Grifondoro. Con le mani infreddolite sfilai le cuffiette dalla tasca del cappotto e, una volta collegate al cellulare iniziai ad ascoltare la musica della mia playlist; non era solo per il gusto di farlo, ma lo consideravo un altro modo per estraniarmi da tutto e per ignorare più facilmente le persone che mi erano intorno. Ci volevano cinque canzoni per tornare a casa e sentivo quasi sempre quelle dei Coldplay,The Fray, di James Blunt e di James Morrison. Le adoravo. Non so spiegare il motivo per cui mi piacessero tanto,sentivo che le loro parole dalle orecchie arrivavano al cuore e pensavo che fosse buffo come a volte, anzi quasi sempre, le canzoni e i libri riuscissero ad aiutare più delle persone,ma imparai a non stupirmene più.
Presto la musica e i libri entrarono a far parte della lista delle cose di cui avevo un estremo bisogno, già ne facevano parte le Serie TV e la cioccolata.
Mentre ascoltavo 'Please don't stop the rain' di James Morrison,pensavo al libro che avevo letto in biblioteca e non vedevo l'ora di tornarci per leggerne il seguito.

<< Please don't stop the rain! Let it fall,let it fall,let it fall...>> Interruppi la canzone: ero tornato a casa e dovetti così tornare definitivamente a quello schifo di vita reale da cui non c'era una vera via di fuga.
Mi avvicinai alla porta d'ingresso e sentii le urla dei miei che probabilmente non avevano smesso di litigare da quando ero uscito. Smisero di urlare appena aprii la porta ed entrai e forse - pensai - era meglio se rimanevo fuori con quell'aria tagliente che era comunque più sopportabile di quella che si respirava in casa.
Mamma e papà erano all'ingresso, le facce arrossate,i respiri affannosi.
Mamma cercava di nascondere le lacrime e papà si tratteneva a fatica dall'urlarle nuovamente in faccia.
<< Andrew,sei tornato>> probabilmente neanche si erano accorti della mia assenza << Bene,vai un momento sopra... Io e papà dobbiamo parlare un attimino... Facciamo subito>>
Nessun 'come stai?' o semplicemente 'dove sei stato?' non le importava nulla, le importava solo sbarazzarsi di me per ricominciare a litigare con papà.
Parlò a denti stretti forzando un sorriso,come se ce l'avesse con me, come se fossi io la causa di tutte le loro litigate,e chi sa, forse lo ero.

Venni a conoscenza della loro crisi qualche mese prima.
L'atmosfera si faceva sempre più pesante fino a diventare davvero insostenibile. Si capiva che c'era qualcosa di storto,ma loro facevano finta di niente,o almeno ci provavano... i loro sguardi,i loro troppo prolungati silenzi dicevano più di mille parole. Li sentii parlare in cucina una notte in cui non ero riuscito ad addormentarmi ed ero andato lì per una tazza di camomilla. Quale ragazzo si sognerebbe di andare in cucina una notte e scoprire che i propri genitori sono in crisi matrimoniale? Parlavano di un tale e dicevano fosse un esperto in terapia di coppie e insieme decisero di prendere un appuntamento. Li ci vollero dieci minuti per rendersi conto che io ero sulla soglia della porta a bocca aperta ,con gli occhi gonfi di lacrime e con un insopportabile nodo alla gola che però loro non potevano vedere. La mamma aveva già pianto,vedevo le tracce di lacrime sul viso arrossato e dal fazzoletto tutto accartocciato che stringeva in una mano. Dal suo sguardo capivo che avrebbe volentieri ricominciato a farlo,ma si sforzava di mantenere un'espressione seria e priva di alcun emozione,cosa che non le riusciva tanto bene. Anche papà era serio,ma lui non aveva pianto,non piangeva mai. Dopo essersi accorti di me si guardarono un'altra volta come per cercare negli occhi dell'altro le parole adatte da dirmi. Mi fecero sedere accanto a loro e mi dissero ogni cosa; cercarono di rassicurarmi e la mamma ogni tanto passava delicatamente la mano senza fazzoletto sulla mia guancia,guardandomi con un sorriso compassionevole,nello stesso modo in cui si guarda un povero cucciolo ferito. Papà non era bravo con le parole,così si limitava a confermare ciò che diceva la mamma,facendo sì con la testa o dicendo cose come la mamma ha ragione o ascoltala e le poche volte che si era sforzato di dire qualcosa rivolgeva un veloce sguardo alla moglie per chiedere aiuto. A dire il vero non ascoltai bene quello che dissero,in mente avevo un solo pensiero fisso: MAMMA E PAPA' STANNO DIVORZIANDO. Poi,dopo una buona mezz'ora,mi rimandarono in camera augurandomi la buonanotte. Ma quella non fu affatto una buonanotte.

Nei giorni a seguire,per quanto sia brutto da dire,iniziai a sperare che accadesse davvero,era comunque meglio che assistere a continue litigate.

Non c'era stato veramente un qualcosa a rovinare il loro rapporto. Lo sentivo sfasciarsi nello stesso modo in cui si scioglie una candela. Era una guerra continua e io rimanevo sempre in disparte ad osservare la scena,temendo che la rabbia si ripercuotesse anche su di me e che,da un momento all'altro,cacciassero in ballo anche me.

Obbedii immediatamente,anche se avrei fatto di tutto pur di far cessare la guerra.

Mi rinchiusi in camera.
Sdraiato sul letto riuscivo a sentire la litigata di mamma e papà e ogni loro urlo era un forte colpo allo stomaco di cui non riuscivo più a sopportare il dolore. Ricominciai a sentire la musica sperando di nascondere le urla del piano di sotto, anche se ormai rimbombavano insistenti nella mia testa. Presi un'agenda dal mio comodino e la aprii nel punto in cui avevo lasciato la penna; le due pagine erano coperte dalla scritta "odio la mia famiglia" e ripresi ad incidere con rabbia quella scritta.
La punta della penna graffiava quella carta che andava a sporcarsi di un inchiostro indelebile troppo marcato. Finito di scrivere, venni assalito da tremendi sensi di colpa, come se avessi rivolto quelle parole direttamente ai miei genitori e preso da un folle e irrefrenabile desiderio, allontanai la penna dal foglio, la puntai sul mio polso destro,chiusi gli occhi e, con una violenza di cui mi stupii anche io, la trascinai lungo tutto il braccio.

Aprii gli occhi e con una piacevole delusione vidi che quel gesto insensato non aveva lasciato alcuna ferita, se non un lieve bruciore e una lunga linea nera sulla pelle.
"No,non potrei mai farlo davvero." Pensai.
Tornai in me e rimasi a guardare quel segno per alcuni istanti, poi mi lasciai andare ad un pianto silenzioso

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