3. Leah

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Mi sento come se avessi i fuochi di artificio nel petto. Non sono pazza, non me lo sono immaginato. Axel si era accorto di me, dei miei brividi, e mi ha lasciato la sua felpa. La sfilo, ancora su di giri, e la porto al naso per riempirmi ancora una volta i polmoni con il suo profumo.

Sì, ma in fondo, non significa nulla.

Devo smetterla di ossessionarmi così, questo dimostra semplicemente che per lui sono come una sorella.
Una sorella piccola da proteggere.
Si è comportato come avrebbe fatto anche Ricky, null'altro.

Guardo la cicatrice poco più su del mio polso.
Se non fosse stato per lui, a quest'ora non sarei neanche qui a pensarci. Quella piccola lineetta bianca quasi perfettamente verticale sembra essere un promemoria, a ricordarmi a gran voce che la vita deve essere vissuta, non osservata mentre scorre.

Senza rifletterci nemmeno, mi infilo una maglietta qualsiasi e i miei piedi ci conducono fuori la porta di Axel come se avessero il pilota automatico. Il rumore delle mie nocche contro legno si accorda perfettamente al battito accelerato del mio cuore, che sembra pulsarmi nelle orecchie.

Dopo pochi secondi, mi apre, stropicciandosi gli occhi che si erano abituati al buio della sua stanza. Indossa solo un pantaloncino di cotone leggero, e alla vista del tatuaggio che si dirama dalla sua anca, mi sento trasalire. Un intrico di segni, simili a delle onde, si contorce lungo tutto il lato sinistro del busto, arrampicandosi sul fianco partendo da un punto indefinito dentro i suoi boxer, fino a risalire i dossi delle costole.

«Ehi, tutto okay?» mi scruta facendo trasparire un velo di preoccupazione dalla voce roca. Roca e seducente.

«Volevo restituirti questa.» gli porgo la felpa.

«Dovresti tenerla tu, sta molto meglio a te che a me.» mormora, e i nostri sguardi si incrociano per un millesimo di secondo, prima che il mio si abbassi sulle sue labbra estraniandomi completamente dal mondo.
«E comunque ne avrei fatto a meno fino a domani, sai?» scocca in alto un sopracciglio e piega la testa su un lato come fa spesso quando è sinceramente stupito di qualcosa.

«Senti, mi chiedevo... ti va di venire fuori, in giardino? Quei due di là fanno un bel po' di rumore e magari il bicchiere della staffa potrebbe conciliarmi il sonno, chissà.» azzardo.

Fa quel suo sorriso sghembo, una delle cose di lui che ancora non so decifrare, e alza le braccia per infilarsi la felpa che gli ho appena consegnato, tendendo i muscoli sotto la pelle. Senza rispondere alla mia domanda, mi oltrepassa e pochi secondi dopo torna dal salottino con una bottiglia di limoncello e due bicchierini.

«La casa offre solo questa roba indecente, domani dobbiamo assolutamente andare a fare scorte.» borbotta mentre mi precede oltre la porta finestra.

Non accendiamo le luci, probabilmente entrambi preferiamo avere accesa solo la luna su di noi. A quel chiarore, ho come la sensazione che tutto sia possibile.
Ci sediamo sui lettini uno di fronte all'altra, e Axel versa da bere. Adesso che siamo soli, praticamente al buio, sento il vuoto nello stomaco e la gola serrata.
Lui alza il bicchierino verso di me, e ne fa un unico sorso. Provo a imitarlo ma ha un sapore così orribile che inizio a tossire convulsamente, provocando la sua risata.

Dio. Quanto è bello sentirlo ridere.

Nonostante lo conosca da tanto, non è successo spesso vederlo ridere di gusto. Ed è un peccato perché ha una risata coinvolgente e bellissima.

Inizia a incartare un piccolo spinello, sottile come quello che abbiamo fumato insieme mentre eravamo in sosta in autogrill.

«Questo è un "messicano", una cannetta piccola e sottile» la sistema con le dita e la porta alla bocca per leccare la cartina. Mi rendo conto che lo sto fissando, ma come al solito non riesco a farne a meno, gli occhi non ubbidiscono al cervello. Quando sento il calore che sale dalla pancia avvamparmi le guance, ringrazio il buio che mi avvolge e continuo a seguire la sua seducente lezione facendo finta di niente. «È piccola così perché è studiata per una persona sola, ma come forse avrai notato è già la seconda che divido con te, contravvenendo a questa "regola".» mi punta gli occhi addosso, come se avesse la precisa volontà di esaminare la mia reazione alle sue parole.

«Oh. Mi dispiace...» sussurro.

«Leah, Leah... sempre a scusarti con le persone, sempre convinta di far fastidio. Non devi dispiacerti, stavo solo cercando di dirti che è una cosa che in genere faccio solo per me, ma che oggi invece ho condiviso con te, per ben due volte.»

Mi appoggia il piccolo spinello sulle labbra e aspiro una boccata direttamente dalle sue dita.

«Ricordi la tua prima volta?»

Sgrano gli occhi. L'erba rende le mie reazioni estremamente sincere e mi sento un libro aperto davanti ad Axel. Si guarda i piedi ed è probabilmente la mia esitazione a spingerlo a precisare: «Parlo della prima volta che hai fumato. La ricordi?»

Non lasciandomi scappare neanche un sospiro, rispondo di getto, strascinando leggermente le parole. «Oh, certo, lo avevo capito. Come potrei non ricordare, in fondo non è stato così tanto tempo fa.» Mantiene la testa bassa, ma alza lo sguardo verso di me. Mi sembra quasi di veder luccicare i suoi occhi di giada.

E poi è stato uno dei giorni in cui ho riso di più in vita mia, vorrei aggiungere. Ma taccio.

«Sono stato io.» un angolo della bocca gli si piega verso l'alto, in un'espressione compiaciuta. «È stata con me la tua prima volta.»

Il suo tono basso, quasi mi ipnotizza, sembra massaggiarmi il cervello.
«Già. C'ero anche io, lo so.» Sfodero un pizzico di sarcasmo per alleggerire la tensione, ma lui sembra proprio intenzionato a istigarmi.

«E sei contenta che sia stato io, il primo?» Avvicina il suo viso al mio, lentamente, al punto che sento il suo respiro mescolarsi alla mia bocca.
Le gambe diventano così molli e non riesco a muovermi. E forse è meglio così, perché siamo pericolosamente vicini e ho i freni inibitori al minimo storico.

Poi, la vibrazione del mio cellulare interrompe il momento.

Cazzo.

Con un riflesso automatico, Axel gira il viso, si stringe il labbro inferiore tra i denti, ma non sembra a disagio. Come se quello che stava per succedere fosse solo un grosso equivoco.

Mi osserva inespressivo mentre estraggo il telefono dalla tasca dei pantaloncini del pigiama e leggo lo schermo.

È Fede che mi ha mandato la foto che mi ha scattato stasera. Ci sono io, appoggiata al muretto con lo sguardo verso il mare. In quel momento stavo pensando ad Axel, al fatto che fosse andato via con Serena senza avermi neanche avvisata. E quella specie di malinconia nei miei occhi rende la foto davvero bellissima, vivida nonostante sia in bianco e nero.

Pensavo che dovessi vederla.

Grazie è davvero bellissima.

No. Tu lo sei. Notte.
Mi risponde immediatamente.

Salto nel Vuoto, vieni con me?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora