«Forza, avanti piccola...»
Una ragazzina dai capelli lunghi e marroni con addosso solo una camicetta lunga fino alle ginocchia se ne stava seduta in una stanza semivuota: a parte una sedia e un tavolo non c'era niente.
Le pareti erano di un bianco immacolato come anche le mattonelle fredde del pavimento.
Nella parete di fronte a lei era presente un vetro nel quale ci si poteva specchiare, ma la piccola sapeva che oltre quel finto specchio c'erano delle persone che la stavano osservando e… valutando.
Sulla superficie liscia e grigia del tavolo vi era adagiata una bottiglietta d'acqua: Five sapeva esattamente cosa volevano che facesse, non era la prima volta.
Si concentrò su di essa guardandola intensamente. Tra l'incavo delle sopracciglia si gonfiò una vena.
L'acqua le schizzò sul viso quando la bottiglia di plastica si accartocciò su sé stessa davanti ai suoi occhi, schiacciata dal suo volere.
Si accorse di sanguinare dal naso solo quando il suo sguardo cadde sulla camicetta macchiata da quattro cerchietti rossi.
Nel frattempo un uomo sulla quarantina entrò nella stanza dove si trovava, «ben fatto, piccola!», esclamò applaudono e sorridendo.
Five non gli prestò attenzione, si portò la mano al naso e osservò i polpastrelli macchiati di sangue, non era la prima volta che sanguinava dopo una prova.
«stai tranquilla bambina mia», le accarezzò la testa, mostrava sempre un atteggiamento dolce nei suoi confronti. Ma la ragazzina per qualche ragione non si sentiva del tutto al sicuro, era il suo istinto a suggerirle che qualcosa non andava. Che non poteva fidarsi completamente di lui.
«non mi interessa del sangue», disse puntando gli occhi castani in quelli dell'uomo, «a questo ci sono abituata, papà».
Five si fece una doccia e le venne data una camicetta pulita. Subito dopo venne riportata nella sua stanza. La bambina però non la considerava tale, per lei era più una prigione. Aveva solo una piccola bambola di pezza a farle compagnia, l'aveva chiamata Annie. Ci parlava sempre, le raccontava quello che le facevano fare quando venivano a prelevarla o le chiedeva dei consigli, ma lei non rispondeva mai… non prima di quel giorno.
«Dovresti ucciderli e scappare».
Five sussultò e mollò la bambola a terra. Era spaventata. Sapeva che le bambole non potevano parlare, ma allora chi era stato?
«Lui non ti vuole bene e tu in fondo lo sai»
Five la raccolse dal pavimento, «Annie… sei… sei tu?», nessuna risposta. Possibile che si fosse immaginata tutto?
Provò fino a tarda notte a parlare con lei, tentò e ritentò fino a quando non riuscì più a tenere aperti gli occhi.
La mattina seguente venne svegliata da un forte dolore nella zona attorno all'ombellico, una fitta che colpiva anche la schiena. Si sollevò sui gomiti e guardò Annie accanto a lei. Un'altra fitta la colpì, era un dolore nuovo per lei, non lo aveva mai provato prima.
Spalancò gli occhi quando intravide grazie agli spiragli di luce che arrivavano da sotto alla porta una macchia sul letto. Sentì una strana sensazione di calore tra le cosce, si sentiva bagnata.
Era confusa.
Mise una mano tremante tra le gambe e improvvisamente qualcuno irruppe nella stanza spalancano completamente la porta alle sue spalle, così Five si ritrovò a guardare inorridita le sue dita sporche di sangue.
Si voltò lentamente trovandosi di fronte a suo padre, «papà… sto morendo?»
L'uomo non ci mise molto a capire cosa fosse accaduto così la rassicurò dicendole che non era successo nulla di brutto.
Qualche minuto dopo arrivò nella sua camera una donna dalla pelle scura. Non era la prima volta che la ragazzina la vedeva, era stata presente varie volte durante gli esperimenti. Le si avvicinò e cominciò a parlarle del ciclo mestruale delle donne e fu così che comprese che non stava per morire.
La stessa mattina fu portata di nuovo nella stanza con la parete vetrata, solo che quella volta sopra al tavolo non vi era una bottiglietta di acqua, ma una gabbietta con all'interno un coniglio impaurito.
Five non ne aveva mai visto uno dal vivo prima di quel momento. Ebbe un brutto presentimento.
«Forza piccola. Lo sai cosa voglio», le fatidiche parole di suo padre non tardarono ad arrivare. Fredde. Decise.
La ragazzina scrutò la bestiola all'interno della gabbia che cominciava ad agitarsi e guardò in direzione del vetro scuotendo la testa.
«Five, fai quello che devi», la voce dell'uomo risultò dura.
Gli occhi del povero animale erano fissi su di lei. Entrambi tremavano, il coniglio per paura, lei perché non voleva fargli del male. Questa volta non avrebbe ubbidito.
«no», disse decisa, «non lo farò… non voglio farlo».
In pochi istanti irruppero nella stanza due uomini che la presero per le braccia e la trascinarono via. Five sapeva dove la stavano portando. Era una stanza buia e fredda senza letto, senza nessun spiraglio di luce. Era lì che la portavano ogni volta che non si sforzata abbastanza per fare quello che suo padre le diceva di fare. C'era solo una differenza questa volta non farlo era stata una sua scelta. Non avrebbe ucciso quella creatura solo per dimostrare a suo padre che lei poteva riuscirci, perché questo lo sapeva già.
«Lasciatemi stare!», la ragazzina scalciava come un'ossessa, «lasciatemi!», strillò.
I due uomini la spinsero nella stanza buia. Five cadde facendo un tonfo sul pavimento gelido. Uno dei due provò a chiudere la porta senza successo, sembrava bloccata da qualcosa.
«togliti… ci penso io», disse l'altro provando a spostarla con tutta la forza che aveva nella braccia, ma non ci riuscì neanche lui, «Ma che diavolo…?»
La ragazzina si alzò, aveva uno sguardo minaccioso, «Questa volta non mi chiuderete qui dentro...», mormorò.
«Che cosa dici, mocciosa?»
Five sentiva la rabbia scorrerle nelle vene fino a raggiungerle il cervello, non si era mai sentita così. Non potevano trattarla in quel modo. Quei bastarti avrebbero dovuto avere paura di lei.
Si concentrò prima su uno dei due spingendolo contro il muro. L'uomo non riusciva a muoversi, ma l'espressione inorridita che aveva sulla faccia diceva già tutto. Si bagnò anche i pantaloni.
L'altro spaventato provò a scappare ma la ragazzina si concentrò sulla caviglia di quel bastardo e fece su di essa quello che aveva fatto tante volte con quelle maledette bottigliette di plastica.
Improvvisamente si sentì male. Cominciò a vedere doppio mentre il sangue le colava dal naso colpendo a piccole gocce il pavimento freddo e immacolato del corridoio.
Suo padre era davanti a lei ma non riuscì a fargli del male prima di perdere i sensi cadendo pesantemente sul pavimento.
Quando riaprì gli occhi non era nel suo letto. Ci mise poco a rammentare quello che era accaduto. L'uomo con i capelli grigi, suo padre, le si avvicinò. La ragazzina faticava a concentrarsi, le faceva male la testa. Provò a guardarsi intorno ma delle fitte atroci la colpirono. Sentiva un odore forte di alcol come quello che si sente negli ospedali.
«Abbiamo dovuto rasarti i capelli, tesoro», l'uomo le prese la mano, «Hai subito un intervento alla testa», sembrava dispiaciuto dal tono di voce, «abbiamo dovuto impiantarti nella testa un minuscolo dispositivo che useremo per farti saltare la testa nel caso ti venisse in mente, un giorno, di usare i tuoi poteri su di me, tesoro».
Five non era perfettamente lucida in quel momento, ma capì quello che l'uomo le aveva detto. Lo capì perfettamente.
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Awesome mix vol 1 - Peter Quill
FanficFive non è una bambina come tutte le altre. Nata e cresciuta in un laboratorio non conosce altro che le mura della sua stanza e le facce di quelli che l'hanno tenuta prigioniera fingendo di volerle bene. Il giorno del suo venticinquesimo compleanno...