Posai la tazza di cioccolata calda sul tavolino e mi avvicinai alla finestra. Scostai la tenda per osservare meglio l'esterno: il villaggio degli elfi in lontananza era calato in un'oscurità innaturale. A quella vista, spalancai gli occhi e la bocca. Malgrado il fuoco crepitasse nel camino, il freddo mi si insinuò nelle ossa. Un rumore catturò la mia attenzione, quindi afferrai il cappotto e lo indossai sulla soglia di casa.
La tormenta di neve si era placata da un'ora e il cielo era nero e privo di stelle. Mi incamminai, consapevole che quella notte non avrei dormito in un letto comodo e caldo. Potevo sentire il gelo avvolgere i miei piedi attraverso gli stivali. Un'ombra scivolò rapida sul manto innevato e mi sorpassò. Non fui in grado di distinguerne i contorni. Presi la torcia tascabile dai pantaloni e la puntai in ogni direzione.
"Chi sei?" domandai con voce rauca. Diedi un colpo di tosse per schiarirmi la gola. "Ho capito, vi siete messi d'accordo per farmi uno scherzo."
Nessuno mi rispose.
Scoppiai a ridere per il nervosismo. "Ora venite fuori."
Sconsolato, mi addentrai in un bosco per raggiungere prima il loro paese. Le chiome degli alberi danzavano in sincronia con il vento gelido. Mi strinsi nel giaccone e ricacciai indietro le lacrime. Quel gioco mi aveva stancato.
L'ombra si mise a correre tra gli alberi in modo irregolare.
"Se non la smettete subito, vi licenzio."
Udii soltanto l'eco della mia voce, che appariva severa in quel silenzio crudele. Sperai che i miei aiutanti, ligi al dovere, uscissero allo scoperto e si scusassero.
"Di cosa parli?" chiese una voce senza anima.
Sussultai.
"Sei solo," continuò.
Non badai a quello che aveva detto e ripresi il cammino. Una volta uscito dal bosco, raggiunsi la radura imbiancata dalla quale intravidi lo steccato che delimitava l'entrata del villaggio. Non serviva che mi avvicinassi per constatare che le piccole e graziose case di legno dei miei amici erano sparite, il paese era stato spazzato via.
La macchia scura e informe mi si accostò. Era come se fissasse lo scenario che si prospettava davanti a noi, eppure non aveva occhi. E non aveva neanche una bocca per emettere suoni. Ovunque mi girassi, c'era soltanto desolazione.
"Dove sono gli elfi?" le domandai tra il terrore e la tristezza.
"Te l'ho già detto, non c'è nessuno qui."
"È... è i... impossibile," balbettai.
Si mise a ridere, impertinente. "Sei sempre stato solo. Tutto ciò in cui hai sempre creduto è frutto della tua immaginazione. Per questo non esiste alcun villaggio ed è inutile che tu chiami delle creature inesistenti."
Caddi sulle ginocchia, incurante della neve che infradiciava i miei pantaloni. Ne raccolsi un pugno a mani nude, che lanciai nel vuoto con fare malinconico e nostalgico.
"Dove sono i miei aiutanti? E le renne? Dimmelo, per favore."
"Te lo ripeto." Sembrava seccata, malgrado l'inflessione fosse la stessa. "Tu sei solo, Babbo Natale. Anzi, dovrei chiamarti Niente perché è quello che sei. Il Natale è una tua invenzione. Devi fartene una ragione. Io sono arrivata per aiutarti a guardare in faccia la realtà prima che sia troppo tardi."
Le lacrime scivolarono sulle mie guance fredde. I sorrisi dei bambini che avevo reso felici in tanti anni comparvero nella mia mente, uno dietro l'altro, impressi nella mia memoria come i fotogrammi su una pellicola ormai vicina al deterioramento. Uno di loro correva nel giardino insieme a un elicottero telecomandato, un altro si divertiva con la pista dei treni. Le bambine invece pettinavano le bambole che avevano ricevuto in dono.
STAI LEGGENDO
L'ombra di Babbo Natale #Wattys2022
Ficción GeneralUna sera, Babbo Natale non riesce più a scorgere le luci del villaggio degli elfi in lontananza. Preoccupato, decide di uscire per raggiungerlo. Mentre si incammina, viene seguito da un'ombra. Chi è? E cosa vuole da lui? Racconto breve natalizio. De...