Ancora Una [2012]

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Nella luce gialla del lampione, gli occhi di Hinata sono fuoco liquido.

Da quando schiaccia la veloce tenendoli aperti, alzare per lui è una droga. Tobio sente il richiamo del suo desiderio di schiacciare mentre lo guarda sottosopra, passando all'indietro, mentre tutta la squadra corre in avanti, mentre gli avversari annaspano cercando di murare a caso. Ogni volta deve resistere alla tentazione di ignorare il gioco e servire lui, soddisfare il suo bisogno.

Servire. Soddisfare. Decisamente, non i verbi di un re.

Chissenefrega.

Chinarsi, distendersi, valutare la tensione, la torsione, la forza, la spinta. Imbrigliare il talento, piegare l'istinto alla traiettoria perfetta, perché la palla si fermi all'apice della sua parabola, esattamente di fronte a Hinata, in linea con la proiezione della mano destra in movimento. E regalargli un istante di onnipotenza. Sospendere il tempo per lui.

Servire.

In partita, Kageyama Tobio alza solo per chi può fare punto, alza per la vittoria. Ma nel parco, quando sono soli, lo fa sempre e soltanto per Hinata Shoyo.

Hanno iniziato ad andare lì in primavera, quando all'ora di chiusura della palestra della scuola, erano gli unici ad avere ancora troppa voglia di giocare. Succedeva ogni tanto. Poi ogni tanto è diventato spesso e spesso è diventato sempre, ogni giorno, con ogni tempo, in ogni stagione. Tranne quel mese, in cui non si sono mai rivolti la parola. E sembra tanto indietro nel passato da non avere più alcun senso.

«Ancora una!»

Ancora una. Ancora mille.

Ancora.

Il buio ha iniziato ad arrivare presto; folate di vento gelido trasportano stormi di foglie secche vorticanti. Hinata si confonde nei loro colori e si libra in volo con lo stesso impeto, la stessa capacità di vincere la gravità, di prendere le correnti, la stessa invincibile leggerezza.

La palla percuote l'acrilico con un suono sordo, a velocità impressionante. Perfetta.

Shoyo atterra a fianco al suo alzatore, con un sorriso ammirato. Divide sempre il trionfo in parti diseguali, e prende per sé la minore. Crede che sia di Kageyama, il merito di quei miracoli.

«Ancora una!»

Sono quasi le uniche parole che si rivolgono, insieme a una manciata di aggettivi e a qualche insulto occasionale. Sono avari di parole, più che altro perché non ne hanno alcun bisogno. Basta guardarsi.

Tobio alza di nuovo e, come sempre, cerca di leggergli la mente: parallela o diagonale? Lunga o cortissima? Rigida come un rebound o o morbida come un pallonetto? Riesce a indovinare meno di quanto vorrebbe, ma sempre più spesso.

Se potesse, entrerebbe di forza in quella stupida testa arancione, per guardarci dentro, svelare tutti i segreti, conoscere tutti i pensieri, tutti i desideri. Anche quelli meschini, quelli crudeli, quelli sconci. Non gli importa di dare giudizi, va bene tutto. Pur di essere lì, di essere all'interno.

Hinata colpisce. Diagonale, lunga, dura, stile Bokuto Kutarou, esattamente sulla linea di fondo. Perfetta, anche questa.

L'atterraggio non è perfetto, però, e Shoyo si ritrova in ginocchio, a cercare l'equilibrio agitando freneticamente le braccia.

«Stai attento, Boke! Se ti giochi una caviglia prima dei nazionali ti ammazzo.»

«Stai calmo! Sono solo scivolato, è tutto a posto» risponde Shoyo, rialzandosi; si batte le mani contro i pantaloni, si sistema addosso la felpa.

E' orrida, come tutto quello che indossa. Abiti chiassosi, infantili, troppo colorati. Eppure, su Tobio hanno l'effetto di un faro d'automobile contro un animale notturno: impossibile distogliere lo sguardo. Solo quando lo vede cambiarsi, nello spogliatoio, storna subito gli occhi dalle spalle ossute, dalla carne troppo bianca, dai muscoli sottili del dorso che guizzano sottopelle. Meglio vestito.

Ancora una, invoca silenziosamente. Non lo dice, però, perché dev'essere Shoyo a dirlo. Senza un motivo. Funziona così e basta. Hinata supplica, il Re concede.

Hinata ordina, il Re obbedisce.

Ma Shoyo sta fissando in silenzio il cielo notturno, biancastro di nuvole dense che hanno cancellato la luna. Il suo profilo adolescente si staglia netto sotto il lampione, illuminato esattamente a metà.

Apre la mano, come se dal cielo cadessero doni. Ed è così.

«Nevica!» sussurra, trepidante di gioia infantile.

Tobio si guarda intorno: controluce si vedono fiocchi radi che volteggiano. «Che palle! Così dobbiamo andarcene» grugnisce, contrariato.

«Hai mai fatto una partita sotto la neve?» chiede Shoyo, senza smettere di fissare il cielo. I fiocchi gli colpiscono gli zigomi, la fronte, le labbra e si sciolgono a contatto col suo calore, lasciando tracce umide, che rifletttono la luce.

Tobio chiude gli occhi. «Ma quanto sei stupido? No! Ti pare possibile giocare a pallavolo in esterno con la neve?»

«Facciamolo!» esclama Shoyo, per tutta risposta, rosso in viso, eccitato.

Le fiamme gli danzano negli occhi, tutto in lui è sorriso.

E' irresistibile. Letteralmente. Le idee più balzane, espresse come desideri, caricate di aspettativa, vibranti di energia, diventano attuabili solo perché soddisfano le sue voglie.

Servire. Soddisfare. Tobio si chiede chi sia il re.

Sospira, brontola, lo guarda male. «E' una cosa idiota» commenta. Ma sa già che lo farà.

Anche Shoyo lo sa. «Sì, lo è. Ma non l'ho mai fatta. E tu nemmeno. Dai, facciamolo! Ancora una!»

Saltella, guarda in alto, si sfrega le mani. Sorride. Soprattutto, sorride.

«Allora muoviti, Boke! Non stare lì impalato a faccia in su. E guai a te se ti azzardi a prenderti una polmonite o a romperti qualcosa! Ti gonfio.»

Tobio fa roteare la palla fra le dita e offre il suo sorriso al buio, guardando il terreno spolverato dal primo strato di fiocchi ghiacciati.

Giocare a pallavolo con la neve è l'ennesima idiozia che faranno insieme.

Perché è quello che lui vuole. E Tobio desidera i suoi desideri.

Lancia in aria la palla. Aspetta l'attimo del distacco di Hinata dal suolo, calcola i tempi, si riempie gli occhi dell'arco del suo corpo avvolto dal turbinio della neve che cade. E alza per lui.

Ancora una.

Neve (#KageHina)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora