Night Call [bonus 2014 ]

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[NdA - questo  breve capitolo è un bonus: senza leggerlo la storia scorre lo stesso. E' solo un inserto, un divertimento, perché ho una passione per il personaggio di Tsukki e il suo fastidiosissimo carattere. Non vogliatemene se trovate che spezzi il ritmo.]

A Tobio piace correre. E' il momento in cui riesce a pensare meglio. E' come se il movimento del corpo favorisse quello dei pensieri, come se tutta una serie di barriere e impedimenti, di circoli viziosi, di ripensamenti e incertezze se li portasse via l'aria fredda che gli arriva sulla faccia. A ogni respiro, a ogni tocco ritmato sull'asfalto, si sente un po' più leggero e un po' più libero.

Questo succede di solito. Ma oggi no. Sta correndo, ma non si sente né leggero, né libero.

Boke se ne va.

Ogni tanto Tobio se lo ripete. E tutte le volte ci rimane male.

Quando Shoyou glielo ha detto, un paio di settimane prima, ha reagito bene. Hanno reagito bene entrambi, tutto sommato.

Però qualcosa è cambiato da quel momento. Per l'esattezza, qualcosa si è bloccato. Come se le parole che si sono scambiati fossero rimaste impilate sugli scaffali del magazzino insieme a loro due. E ora sembra proprio che non riescano a muoversi da lì, a decidersi a vivere il tempo che resta prima di separarsi. A fare qualche progetto. A impegnarsi. Come se vivessero imballati nel polistirolo, in attesa che sia ora di andare all'aeroporto.

Da quel giorno, a ogni alzata, Tobio non può fare a meno di scalare un'unità dal totale immaginario di quelle che restano, un numero che diminuisce inesorabilmente, anche se tenta di ingannarlo, alzando per Shoyuou più spesso. Troppo spesso.

Ma è più forte di lui. Fino ad allora, l'idea era che quel totale fosse illimitato. Un infinito numero di alzate di Kageyama per Hinata, dalla palestra del Karasuno, dagli stadi di provincia, fino al professionismo, fino al podio olimpico. E oltre. Fino alla vecchiaia. Fino a per sempre.

Invece no. Gli hanno rubato due anni. E se gli hanno rubato due anni, vuol dire che il totale non è infinito. Che le alzate di Kageyama per Hinata si possono contare. E se si possono contare...

Tobio rallenta, prende fiato.

Chissà se anche Shoyou si è arenato su un pensiero simile. Non ne hanno parlato. Non riescono a parlarne. Se ne parlassero, dovrebbero parlare anche delle altre cose che sono successe quel giorno, o stavano per succedere, o volevano che succedessero. E fra il fatto che succeda una cosa e il volerne parlare (o riuscire a farlo) c'è un abisso chissà quanto profondo e pieno di non si sa bene cosa. Tobio non ci tiene a scoprirlo.

Quindi, semplicemente, non ne parlano. Fanno finta di niente. E dall'esterno, forse, sembra tutto normale. Salvo perdere tre a zero contro il Dateko nell'ultima amichevole.

Tre a zero. Tobio ancora non ci crede.

Ma ormai l'incredibile è diventato ordinario. Giusto ieri notte, dopo ore di palleggi contro il muro, Tobio ha fatto un'altra cosa davvero incredibile: ha telefonato a Tsukishima. Erano le undici passate, ma tanto Tsukishima va a dormire sempre tardissimo (il che spiega perché sia così moscio).

Tobio non sapeva cosa dirgli di preciso. Alla fine gli ha chiesto dove fosse il Brasile.

Tsukishima è rimasto zitto per una decina di secondi, il tempo minimo per ingoiare un paio di quintali di sarcasmo. E poi ha risposto: «In sudamerica. Praticamente... sotto gli stati uniti, verso est. Nell'altro emisfero, dopo l'equatore.»

«E' lontano.»

«Molto.»

Quanto lontano, non serve ripeterlo.

«Fa caldo lì?»

«Abbastanza, credo. Le stagioni sono invertite.»

Su quel dettaglio climatico è calato un lungo silenzio. Tsukishima è odioso, ma una cosa bisogna di dire di lui: è uno sveglio. Capisce tutto al volo. Le cose di scuola, le tattiche in partita, ma anche le persone. Non le rispetta, il più delle volte, e non gli importa niente di loro, ma le capisce.

«Vuole andare lì?» ha domandato Tsukishima.

Non c'è stato bisogno di specificare di chi si parlava.

«Sì.»

«Ti ha spiegato perché?»

«Ha detto un mare di cazzate.»

«Niente di nuovo...»

Tobio si è sentito combattuto fra l'istinto di difendere Shoyou appiccicando al muro Tsukishima e quello di dargli ragione. Soprattutto, non si ricordava più perché aveva pensato che fosse una buona idea parlare di quell'argomento con uno degli esseri umani più antipatici del pianeta.

«Il punto secondo me è un altro» ha continuato Tsukishima. «Cosa fa, se resta qui? Pensi che qualche università lo vorrebbe, con i voti che ha?»

«Ma che università! Deve giocare.»

«E dove? Con chi?»

Ogni volta che Tobio pensa a tutti quelli che farebbero carte false per giocare con Shoyou, si sente ribollire il sangue.

«Con me. Da professionista. E in nazionale» ha replicato, rancoroso.

Tsukishima ha tirato fuori quella sua risatina odiosa e stridula, che fa saltare i nervi. «Dammi retta, sua maestà: l'unico contatto che Hinata avrà con una maglia della nazionale giapponese, sarà infilarsi la tua, se glielo permetti. O magari quella di Miya Atsumu.»

«Vai a farti fottere, Tsukishima!»

«Magari! Sono un fascio di nervi.»

Ecco, Tobio si è ricordato all'improvviso perché ha chiamato proprio Tsukishima.

«Come fai?» ha esitato Tobio.

«A fare cosa?»

«Rapporto a distanza» ha balbettato Tobio, in una specie di grugnito imbarazzato. Parlare di certe cose è molto più faticoso di una maratona di venti chilometri.

Il ghigno di Tsukishima è passato attraverso la linea telefonica «Oddio, Kageyama-kun, vuoi che parta dall'ape e dal fiore? Alla tua età dovresti saperlo come si fa da soli...»

«Parlo sul serio.»

«E' una domanda idiota. Come vuoi che si faccia? Un sacco di espedienti. Un sacco di telefonate. Un sacco di frustrazione, sia fisica che mentale. E un sacco di progetti, per mantenere tutto in prospettiva. Ci si abitua, se ne vale la pena. Ma penso che la mia risposta tutto sommato non valga niente: tre ore di treno non sono trenta ore di volo.»

Trenta. Ore. Di volo.

Sentirlo ripetere non aiuta. E' una distanza incomprensibile e dolorosa.

«Senti, Kageyama, adesso è tardi, mi hai seccato. Se tu non capisci cosa c'è nella testa di Hinata, considerando che siete in simbiosi, non posso spiegartelo io. Però vacci a parlare e vedete di chiarirvi. Altrimenti Yama non troverà pace e continuerà a rompere le palle a me.»

«Che cazzo è simbiosi

«Lui mangia troppo e tu scorreggi. Lui inciampa e tu zoppichi. Lui vola in Brasile e tu ti rodi il fegato. Chiaro?»

Chiarissimo, ma Tobio è rimasto zitto.

«Vacci a parlare» ha ripetuto Tsukishima, subito prima di chiudere la telefonata. «Trovate il modo di gestire questa cosa senza che danneggi la squadra. Voglio vincere i nazionali prima di diplomarmi.»

Tsukishima che vuole vincere, Kageyama e Hinata che danneggiano la squadra: un universo sovvertito. Forse è vero che qualcosa non va.

E poi parlare e chiarirsi, cose per le quali Tobio sa di essere negato.

Adesso, però, ha il fiato pesante, il cuore che gli martella nel petto, la maglietta bagnata sulla schiena e sta correndo in salita sulla provinciale, di domenica mattina all'alba. Per andare a chiarirsi.

Neve (#KageHina)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora