Il mese dopo.

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«pá sono su un letto di ospedale e mi annoio, voglio guardare serie tv non studiare le lezioni che sto perdendo»
«beh male non ti farebbe eh»

Simone alzò gli occhi al cielo, con il collare era l'unico movimento che poteva fare. Con la mano destra prese il telecomando del letto e tirò su lo schienale, erano 5 giorni che era lì e, se tutto fosse continuato come doveva, sarebbe potuto uscire nei due giorni successivi.

«c'è una persona che ti ha portato gli appunti presi però, la posso far entrare?»
«chi è?»

Dante non rispose e sistemò qualcosa dentro l'armadietto in cui aveva messo le cose del figlio, Simone sbuffò ma se ne pentí subito dopo per il dolore alle costole.

«non lo voglio vedere già te l'ho detto»
«è lui che ti ha soccorso per primo, se lo merita no?»
«no, tu non lo sai che mi ha fatto»
«e allora magari te lo meriti tu, non lasciare le cose a metà»

Simone per la seconda volta in due minuti alzò di nuovo gli occhi al cielo.

«va bene»

Dante annuì sorridendo e si avviò verso la porta della stanza, appena uscì trovò Manuel che faceva avanti e indietro per il corridoio.

«ha detto di no anche oggi?»

Erano cinque giorni che continuava ad andare lì in ospedale ed erano 5 giorni che Simone si rifiutava di farlo entrare, Manuel ogni volta moriva un po' dentro ma non riusciva a fare a meno di pensare che se lo meritasse.

«entra ti sta aspettando»

Manuel si aprì in un sorriso, prese lo zaino da una delle sedie in corridoio e si avvicinò a passo svelto alla porta.
Aprì la porta ed entrò con passo delicato come se Simone stesse dormendo, ma in realtà era lì a guardarlo con uno sguardo truce.
A Manuel venne un po' da ridere perché sapeva che non avrebbe potuto mai far del male a qualcuno, men che meno in quelle condizioni.

«come stai?»

Poggiò lo zaino su una sedia e si avvicinò ai piedi del letto, Simone lo notò e spostò le gambe da un lato per farlo sedere.

«bene»

Manuel annuì sedendosi e iniziando a torturarsi una pellicina con l'unghia.

«ti ho portato gli appunti»
«la cosa sconvolgente è che tu abbia preso appunti»

Il più grande ridacchiò e rimasero un po' in silenzio, Simone decisamente non aveva le forze di fare una sceneggiata e Manuel non sapeva in che modo iniziare una conversazione che non facesse arrabbiare l'altro.

«quando abbiamo sentito il botto stavo parlando con mamma di te»

Simone ringraziò di non essere attaccato a quel macchinario con la frequenza cardiaca perché i suoi battiti erano aumentati decisamente troppo e la figura di merda sarebbe stata inevitabile.

«di cosa?»
«non di quello che è successo al tuo compleanno, tranquillo, le stavo dicendo di averti perso ed era solo colpa mia. Non puoi nemmeno immaginare che infarto m'è preso quando t'ho visto Simò, in quel momento ho davvero pensato di averti perso e se davvero fosse successo non me lo sarei mai perdonato. Come facevo a lasciarti andare senza chiederti scusa per tutta quella merda che avevo detto?»

Manuel allungò una mano e con i suo indice raggiunse quello della mano di Simone che spuntava dal gesso, seguì con gli occhi quel gesto come se a farlo non fosse lui. Fu un contatto leggero, un po' perché non sapeva se gli facesse male e un po' perché non voleva azzardare troppo.

«Qualche minuto in più e glielo avrei detto a mamma quello che era successo e quello che t'avevo detto, avevo bisogno di sentire cosa ne pensava e avevo bisogno di rassicurazioni sul fatto che saresti tornato, pure se non me lo meritavo.
Mi dispiace Simò, mi dispiace averti detto quella parola orribile un'altra volta, mi dispiace averti detto che per me non esisti perché è una grandissima cazzata, esisti e sei una delle poche persone importanti»

il mese dopo. | Simone x ManuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora