13. Il legame

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Durante la giornata la tempesta era scemata e ora c'era solo una lieve pioggerella a insinuarsi tra le fronde, a scivolare dagli aghi di pino e di larice. Cinque era rimasta da sola al confine senza muoversi per tutto il giorno, schiava dei suoi pensieri tormentati.

Quando, il pomeriggio prima, aveva fatto scappare Garrett poi era subito tornata alla sua postazione ed era certa che nessuno li avesse scorti. Come aveva promesso, Tre si era presa la colpa della fuga, dicendo a Madre che Garrett l'aveva ingannata e si era fatto dare una pozione con cui poi era scappato. Cinque non l'avrebbe mai detto, ma la sorella maggiore era davvero brava a mentire. Non era riuscita a parlare da sola con lei per ringraziarla ed era probabile non lo avrebbe mai fatto, anche perché da quando il mezzo elfo era sparito ovunque si respirava un'aria di tensione davvero pesante. Cinque era tornata a Casa solo di notte per mangiare qualcosa e dormire, quando altre sorelle avevano preso il suo posto di vedetta anche se era ovvio che mai gli uomini avrebbero attaccato col buio. Nei brevi momenti in cui aveva incrociato lo sguardo delle altre aveva percepito una sorta di paura, qualcosa di non detto.

Uno l'aveva fulminata senza rivolgerle la parola, Madre non l'aveva neanche voluta guardare.

Che sospettassero qualcosa? E come?

La vita stava diventando troppo complicata e Cinque, giunta a Casa dopo l'inutile giornata di guardia, si limitò a prendere un paio di ortaggi dal cesto della cena e si dileguò verso il suo nido, gli occhi delle altre sorelle sedute a cerchio per mangiare fissi su di lei. Le lucciole svolazzavano ovunque e rendevano ancora più evidente la cosa, facendola sentire pesante: per la prima volta, Cinque desiderò che quegli insetti si levassero di torno per poter godere delle tenebre e passare inosservata.

Sospirò giungendo all'albero del suo nido e si bloccò la carota sopra un orecchio, tenendo la patata tra i denti per poter avere le mani libere di arrampicarsi. Giunta al sicuro tra gli accoglienti rami del suo piccolo rifugio, Cinque si accovacciò con le gambe piegate verso la pancia e mangiò con lentezza. Anche se provò a isolarsi, non poteva non udire i sussurri delle sorelle poco lontane; cogliere le loro parole era impossibile.

Per quanto sarebbe perdurata quella situazione terribile? Cinque era destinata a venir esclusa per sempre? E quanto sarebbe durato quel sempre, se Garrett avesse fallito? Magari proprio in quel momento lui se ne stava su un cavallo a galoppare lontano da lì, lontano dai problemi e da lei.

Era libero, in fondo... che garanzie aveva Cinque che lui le avrebbe salvate? Perché avrebbe dovuto, visto com'era stato trattato?

Finì gli ortaggi e si chiuse di più su sé stessa, poggiando la testa sulle ginocchia.

Era stata così sicura quando l'aveva lasciato andare, così certa che lui ce l'avrebbe fatta... eppure le ore erano passate con lentezza e quella sicurezza la stava via via abbandonando così come la tempesta avrebbe presto dato spazio al sereno.

Cinque si assopì nel tormento e a risvegliarla fu un suono singolare, come di qualcosa che batteva sull'esterno curvo del suo nido. Non poteva essere la pioggia perché quella produceva ritmi regolari... alzò le spalle, forse era solo caduta una pigna smossa dal vento. Richiuse gli occhi, ma proprio in quel momento un altro tonfo s'abbatté sulla superficie esterna e Cinque allungò gli arti, uscendo dalla posizione fetale che assumeva per dormire. A carponi mise la testa fuori dal nido e si guardò intorno nel tentativo di capire cosa la stesse importunando.

Non pioveva più e sopra alla radura di Casa si potevano scorgere le stelle tra le nubi; gli insetti luminosi rendevano evidente che non c'era più nessuno di sveglio a girovagare per gli ambienti comuni. Un suono sibilante attirò i suoi sensi verso il basso e il cuore perse un battito quando la ninfa si rese conto di cosa l'aveva provocato: proprio lì, nascosto per metà dietro a un tronco, c'era Garrett.

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