Vi è mai capitato di credere che la notte potesse brillare a giorno?
Io sì, ho creduto che fosse possibile. L'ho visto con i miei occhi.*
Mi chiamo Lucia Bianchi, e ho quindici anni. Mia mamma mi chiama Lux, significa luce, ed è buffo perché quando sono nata erano quasi le sette del mattino e pioveva a dirotto, di una pioggia incessante e minacciosa. Quel giorno a mio padre si ruppe addirittura la macchina; raggiunse l'ospedale in autobus, con mio fratello Emanuele che piombò in sala travaglio di corsa, assonnato e fradicio. Ma a lui non importava, era felice di conoscermi.
Oggi è un quattro agosto qualsiasi di una notte senza luce e senza speranza, fuori l'afa corrode le strade di un paese anonimo e in cielo non brilla neanche una stella. Mio fratello se ne è andato in una notte come questa, lasciando sogni e vita sull'asfalto.
Mi chiamo Lucia Bianchi, e so cosa si prova quando il destino decide di oscurarti il sole.
Salgo in auto e allaccio bene la cintura, non so perché proprio stasera i miei hanno deciso di portarmi a cena fuori, non c'è nessun motivo per festeggiare. Stasera è una sera anonima come il paesino arroccato sulla scogliera che pian piano ci lasciamo alle spalle, stasera neppure le stelle ci fanno da spettatrici.
Io però ti penso, ti penso intensamente, e ti penso perché la via del ristorante dove papà ha deciso che andremo a mangiare porta lo stesso nome di quella dove tu ti sei spento per sempre.
Chissà se se ne sono accorti. Chissà se adesso anche loro ti pensano come ti penso io, così tanto, così intensamente.Stasera è il quattro agosto e non ci sono stelle, eppure io ti sento passarmi tra le mani, dentro al naso, sotto pelle. Questa cosa della via non può essere una coincidenza, mi puzza, mi fa contorcere lo stomaco, è come se mi fosse giunto all'orecchio un avvertimento.
Ma non è come sempre, no. Non martella nella testa senza sosta, non è insistente, non mi mette in allerta: avvisa soltanto che questa sera sarà diversa, che sarò diversa io.
Ora che ci siamo allontanati dalla costa per inoltrarci nella campagna, le luci dei lampioni sono praticamente assenti. Si vedono le stelle, lontano dal paese, sembrano milioni di speranze appuntate a un immenso soffitto che ci unisce anche a chilometri di distanza. Sei un po' più vicino pure tu, stasera.Arrivati a destinazione scopro che non abbiamo neanche prenotato.
Mamma accusa subito papà. «Come? Credevo che avessi chiamato tu!»
Lui si giustifica. «Ma se non ho nemmeno il numero del ristorante!»
Sembrano due bambini che bisticciano perché hanno appena rotto il giocattolo nuovo, la colpa gli rimbalza addosso a turni. Certi giorni mi diverto a fare previsioni su chi avrà la meglio, altri non ce la faccio proprio e mi chiudo a chiave in camera. Da quando Ema se ne è andato non fanno altro che litigare, lo fanno dal primo giorno; è colpa tua che lo hai fatto guidare, non sarebbe successo se non gli avessi detto di tornare a casa così presto.
Vero. Se Emanuele fosse rimasto a casa, quella sera, a quest'ora sarebbe ancora con noi. Ma è successo. Ha preso il motorino, è uscito con gli amici e ha rispettato il coprifuoco. Solo che nel frattempo una macchina ha fatto inversione a U sulla doppia striscia continua, e quello che è accaduto dopo lui non ha potuto evitarlo. La scusa è stata che non lo ha visto.
Se io. Se lui. Se anche fosse. Non cambia niente. Ema non c'è più, e non è colpa di papà che gli ha permesso di uscire in motorino o di mamma che gli ha imposto di tornare entro mezzanotte.
Io ci ho provato, a dare la colpa a quello che gli ha tagliato la strada, ma mi fa stare solo peggio. Mi ricorda tutti i giorni che qualcuno è arrivato e mi ha spento la luce, così, senza chiedere il permesso. Di colpo sono rimasta al buio.
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Fino in fondo - Ci sei anche tu
Short Story☆ COMPLETA ☆ Una storia di dolore, rinascita e speranza. Lucia Bianchi, quindici anni, è costretta a vivere con un grande dolore: la morte del fratello Emanuele. Da quel giorno, la sua luce si è spenta; ma proprio quando tutto sembra essere irrimedi...