Qual giorno non avevo niente in programma.
Erano circa le 5 del pomeriggio del 30 Settembre. Ero appena tornata da un appuntamento dal dottore di famiglia, e mi ero prefissata di ricopiare gli appunti di filosofia come unico obiettivo.
Nella mia disordinatissima scrivania di mogano ero intenta a tradurre l'illeggibile scrittura di una mia compagna di classe, per poterlo ricopiare nel mio nuovissimo quaderno a tinta unica.Ero arrivata a stento nella seconda pagina, quando finalmente mi stufai.
Non mi ricordo come successe di preciso, ma cominciai a frugare nell'astuccio. Forse stavo cercando il bianchetto, o forse stavo riordinando il materiale sparso per la scrivania infilandoli nell'astuccio.Qualsiasi cosa io stessi facendo, mi ritrovai tra le mani la mia affilata e scintillosa lametta azzurra. Era quasi un anno, o forse due, che lo tenevo nell'astuccio. E sempre da una anno o due era rimasta lì senza mai uscire. Ingiustamente inutilizzata, come un oggetto di decoro per quella custodia.
Lo rigirai tra le mani come per studiarla. Era certamente molto acuminata, sottilissima, tagliente.
Mi ritornarono in mente i pensieri malsani che avevo fatto qualche ora prima, appena arrivata a casa da scuola.Stavo salendo gli ultimi gradini prima di poter entrare nel mio appartamento. Avevo tirato fuori le chiavi, ma non dovetti nemmeno sforzarmi di infilarle nella serratura, che mi aprì mia madre. La prima cosa che feci è stato guardare l'orario, le 13:19.
Ero in ritardo. Di quattro cazzo di minuti.
<Mi stai prendendo in giro? Cosa sono questi continui ritardi?!> mi attacca mia madre prima ancora che potessi entrare.
<Solo di qualche minuto mamma. Perché devi sempre fare così?> chiesi scioccata dal suo comportamento.
<Avevamo fatto un accordo, dovevi ritornare a casa entro le 15! Ci vogliono 5 minuti a tornare dal Sabin e tu ce ne hai messo venti!> Che troia.
<Vuoi che ti impedisca di andare a scuola?> Ecco che riparte con le minacce.
<L'altro giorno è stato tuo padre a impedirti di andarci. Pensi che non sia capace di farlo anche io?>
La stavo guardando incredula, con gli occhi sbarrati e lucidi. Evitai di risponderle, timorosa di non riuscire a mascherare la voce rotta.
<Se continui così butterò via tutti i tuoi libri di scuola e poi vedrai> e io le credetti. Col tempo imparai a non sottovalutare le sue parole. Col tempo appresi che esistono dei momenti in cui il tuo spirito ribelle deve cessare di ardere così insistentemente.
Volevo sbattere rumorosamente il portone di casa, ma evitai di farlo.
Mi diressi piangendo nella mia camera da letto. Le tapparelle erano ancora abbassate.Lasciai cadere per terra lo zaino dalle spalle. Mi tolsi la mascherina inzuppata di lacrime e mi sedetti stanca sul letto. Mantenni una faccia neutra, ma le lacrime erano una prova della mia sofferenza. Non la smettevano più di scendere copiose. Continuai così almeno per una decina di minuti. Ad un certo punto cominciai anche a singhiozzare, il viso si ruppe dal pianto. La mia tristezza si tramutò in ira. Riuscivo a sentire le lacrime salate nelle labbra e scendere fino alla gola.
Avevo voglia di tagliarmi. Non so di preciso come sia nato questo pensiero, ma avevo una voglia matta di andare in cucina e tagliarmi il palmo della mano. Avrei avuto anche la scusa perfetta, dicendo che mi ero procurata quella ferita mentre lavavo il coltello dopo averlo usato per tagliare la frutta.
Ma riuscì a tenere a bada quel pensiero malsano.
Feci una smorfia di ira e dolore, e altre lacrime velenose colarono lungo la guancia. Mi morsi le labbra sino ad arrossarle. Guardai la lametta, venerandola come se fosse la soluzione a tutti i miei problemi. Non ci pensai due volte prima di poggiarla nel braccio e tracciarci la prima linea...
Niente, non successe semplicemente niente. Un cazzo di cazzo.
Con gli occhi impossessati dalla collera mi voltai verso la finestra e vidi il cielo intento a tramontare, mi scappò un singhiozzo. Chiusi gli occhi, la nitidezza del mio dolore stava dominando la mia mente. Impugnai di nuovo la lametta e feci un taglio più profondo, passarono infiniti secondi prima che colasse la prima scia di sangue dal braccio. Ne feci un altro e un altro ancora. Era come se ogni ferita mi stesse incitando a farne un altro.
Il bruciore svuotò completamente la mia mente. Non avevo niente in testa se non la bellissima sensazione dell'eccessivo calore nella mia pelle. Ipnotizzata dalle mie stesse azioni, non più cosciente del mondo che mi sopprimeva, iniziai a trarre piacere in quell'atto così malato.
Ma non passò molto tempo prima che ricominciassi a piangere in modo incontrollato.
Che cavolo avevo fatto? I sensi di colpa iniziarono a impossessarsi di me. Il viso era ornato di lacrime, mi sentivo corrotta da satana.Passai così il resto della giornata, incurante delle ferite aperte o della manica della maglietta sporca di sangue, col respiro ansante, cercando di non fare rumore per non attirare l'attenzione di mia madre.
Fu così che divenni autolesionista.
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Sottomessa dalla vita
Historia CortaSottomissione completa alla vita e al dolore. Nessuna trama, nessun filo logico. Solo grida di lacrime sleali e ferite complici.