1. Il guardiano

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La storia che sto per raccontarvi è alquanto bizzarra, probabilmente non ne avete ancora sentite di simili, sicuramente di migliori e di peggiori sì, ma simili no.

Non so come funzioni negli altri libri che avete letto, ma in questo il narratore sono io e intendo presentarmi. In fondo vi accompagnerò per tutto il racconto, tanto vale fare conoscenza. E poi questa storia parla anche un po' di me, quindi non me la sento di rimanerne fuori.

Mi chiamo Edó, o meglio mi chiamano così da quando qualcuno una volta disse: "non possiedi molto eppure passi il tuo tempo a regalare quello che hai" e io risposi "non ho nulla e do".
Lo dissi un po' per gioco, un po' perché suonava bene, ma da allora tutti mi chiamano Edó, con l'accento sulla o.
È inutile che ti dica quale sia il mio vero nome, perché probabilmente l'hai già capito, ma lo voglio dire lo stesso: mi chiamo Edoardo.
È un appellativo che però non dice nulla di me, un mucchio di lettere, scelto fra altri, perché suonava bene, ma non mi definisce.

Vivo per strada, a contatto con le persone, lo smog e quando va bene incontro la gentilezza.
Non chiedo l'elemosina.
Mi piace raccontare storie seduto su una panchina: mi trovate in Piazza Castello o in Piazza Vittorio, altrimenti ai giardini reali mentre do da mangiare ai piccioni, ma in quel caso preferisco non essere disturbato.
Una volta mi è capitato di notare una piuma rosa in mezzo a quei pennuti: solo madre natura sa che effetti abbia avuto lo smog su quegli animali diventati ormai immortali e onnipresenti.
A volte penso che se è vero che Dio si nasconde in mezzo a noi e ci scruta ovunque andiamo, sicuramente è un piccione. Ma queste forse sono parole troppo forti per un credente, e non vorrei urtare la sua sensibilità, anche se devo dire che più volte mi è capitato di essere ferito, proprio da loro, per quella che è la mia natura più intima.
Quindi quando mi trovate intento a dar da mangiare piccioni, in realtà sono in contatto con Dio. Li nutro con le mie briciole, faccio quello che posso con quello che ho, ma non posso certo privarmi del pranzo per assicurarmi la loro benevolenza. Diffidate da quelli che vi dicono "ho rinunciato al pesce il venerdì, per Dio" oppure "preghiamo prima di mangiare, grazie per questo pasto caldo" o ancora "la domenica è il giorno del Signore e quindi si va a messa". Non dovete credere a chi rinuncia alla sua essenza, il suo vero essere, e assume comportamenti che non rientrerebbero nella spontaneità della sua vita, per non fare indispettire una qualche entità pronta a scagliare la sua ira su di lui. Loro non amano Dio, lo temono.
Preferisco avere un dialogo, un confronto, e se Dio mi ama mi accetterà per quello che sono, altrimenti non mi merita.
Non mi è mai capitato che uno di quei volatili grigi mi lanciasse un regalino dall'alto, quindi credo fermamente di star procedendo nel modo giusto. È un segno.
Per ora credo di aver detto abbastanza a riguardo, spero di non aver offeso nessuno, in ogni caso il messaggio è chiaro: se sono circondato da piccioni silenzio assoluto.

Quando invece sono in giro per la città, a diffondere le mie storie, siete i benvenuti.

Lascio il mio cappello a testa in giù, perché non disdegno qualche contributo per la mia arte, me lo merito, e le persone sono felici di darmelo, si sentono subito meglio.
In una domenica pomeriggio, tornano a casa col cuore leggero, sapendo di aver fatto un buon piccolo gesto. Certo, molti guidano il SUV e inquinano l'ambiente, però quella moneta che non sapevano in che tasca mettere, il resto scomodo di un caffè e un pacco di sigarette, finalmente trova un posto insieme alle altre nel mio cappello.
Questo li fa sentire sollevati. Come se avessero salvato una parte di mondo con un semplice piccolo pezzo di metallo.

Ma guai a incrociarli in una giornata storta, una di quelle in cui anziché andare a passeggio a fare compere, si ritrovano a dover guidare nel traffico, oppure correre per prendere l'autobus e arrivare in tempo in ufficio.
Un lunedì ad esempio.
I lunedì sono i giorni peggiori per incontrarli.
È un po' come essere in compagnia di un lupo mannaro in una notte di luna piena. Pensi che sia una persona normale, tranquilla, ed ecco la trasformazione non appena la luce della luna incrocia il suo sguardo. Non ti resta che correre a gambe levate.

È questo che fanno i lunedì ai lavoratori: li trasformano e rivelano la loro vera natura.
Di chiedere l'elemosina il primo giorno della settimana non se ne parla. Nemmeno si può pensare di avere delle indicazioni stradali se ti sei perso, di scambiare due chiacchiere, fare un complimento o dire buongiorno.
Sia chiaro, io so esattamente dove mi trovo, non mi perdo mai, ma mi è capitato di vedere che anche tra di loro si evitassero, un po' come fanno con noi quando ci incontrano per strada.

Il lunedì, tutti sono nemici di tutti. Queste sono le regole del gioco.
L'unica cosa che li rende uniti è sapere che qualcosa di brutto capiterà ad ognuno di loro e se non capita bisogna farla capitare e lamentarsene insieme, oppure stare in silenzio e gioire di quella sventura scampata, perché la settimana prossima non si sa a chi potrebbe toccare.

Una volta ho visto un signore scendere dal tram in tutta fretta, con una valigetta in mano. Teneva i guanti sotto il braccio, mentre prendeva il telefono e digitava un numero.
Siccome era in ritardo e stava correndo, un guanto gli era caduto a terra.
Ancora non conoscevo l'usanza del lunedì, quella di impegnarsi per far andare storte le cose, così mi precipitai a raccoglierlo e lo rincorsi per restituirglielo.
Non appena l'uomo vide che lo stavo inseguendo, mi guardò furibondo, gridando che non aveva intenzione di perdere tempo per comprare le mie cianfrusaglie o darmi qualche spiccio.
A parte il fatto che non vendo oggettistica di alcun tipo, volevo solo fare un gesto carino e disinteressato.
Certo, fossero caduti entrambi i guanti probabilmente li avrei tenuti: era un periodo in cui faceva davvero molto freddo. Ma di un guanto solo non sapevo bene cosa farmene, specialmente visto che era per la mano destra e ne avevo già uno. A me serviva quello per la sinistra.

Fatto sta che da quel giorno mi guardai bene dal fare buone azioni il lunedì e ancora oggi, se vedo che qualcuno è particolarmente arrabbiato, evito di restituirgli sciarpe e cappelli caduti per terra. Li tengo per me e quando ne ho in più li distribuisco ai miei amici.
In fondo se li hanno persi e perché non ci tenevano abbastanza da custodirli con cura.

Ma torniamo a noi.
Come dicevo sono un artista, e per esibirmi ho dei posti fissi, in cui le persone affezionate sanno dove trovarmi, visto che non possiedo un computer o un telefono per poterle invitare e ricordare loro quando si terrà il mio prossimo racconto. I migliori spettatori comunque non ne hanno bisogno, mi hanno sempre rintracciato.

Mi piace scegliere con cura la mia postazione, a seconda della storia che andrò a raccontare. Questa volta però si tratta di una storia speciale, che non ha bisogno di un luogo specifico, perché comprende tutti gli angoli di Torino. Angoli in cui spesso si trovano i miei colleghi e amici.
A dir la verità "amici" è una parola grossa, con alcuni di loro non ho mai parlato, molti sono riservati e preferiscono mantenere il proprio spazio senza che qualcuno vada a dargli fastidio.
Quella distanza può essere accorciata solo da Leonardo, un giovane ragazzo molto simpatico, che si preoccupa di vedere se abbiamo freddo o se abbiamo bisogno di una bevanda calda.
Diversamente quel perimetro non può essere superato.
Personalmente trovo strana questa regola, preferisco esibirmi ed essere ascoltato, chiacchierare con chiunque passi davanti a me, che sia un giorno di pioggia o un giorno di sole. Anche se non è sempre stato così.
Comunque non posso lamentarmi, ho il mio discreto pubblico.
Però capisco bene chi preferisce mantenere la propria intimità.
Non siamo tutti uguali.

Dicevamo che mi chiamo Edoardo.
La cosa buffa è che quando avevo un telefono ho voluto cercare la spiegazione di questo nome. Mi ero un po' perso per strada, quella della vita, non sapevo bene chi fossi, credevo che leggendo il significato di "Edoardo" tutto mi sarebbe stato più chiaro.
Se anche non avesse rispecchiato quello che pensavo di essere, almeno avrei avuto un'idea da dove partire per ricominciare.
Come se ci fosse qualcuno che distribuisse le carte, ognuna con un ruolo scritto sopra, e i partecipanti a questo strano gioco della vita, non devono far altro che accettare quella caratteristica e quell'obiettivo che gli sono stati dati.
Non bisogna poi sforzarsi più di tanto, semplicemente rassegnarsi e prendere atto del proprio destino.

Se ripenso a quello che ho letto e a quello che sono ora si potrebbe dire che c'è dell'ironia in tutto questo.

Edoardo è un nome maschile italiano, di origine anglosassone, che significa curatore della proprietà, guardiano dei beni.

Ebbene, probabilmente il nome più appropriato per me sarebbe stato Francesco, come il Santo che si spogliò dei suoi averi.
Per quel che mi riguarda, non sono il guardiano di nessun bene, se non di quelli perduti e dimenticati, come sciarpe e cappelli.
Ma se in senso ampio vogliamo considerare "bene" anche il patrimonio narrativo che conservo e diffondo, allora sì, posso definirmi un guardiano.

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