Capitolo 3

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«Papà, tu credi che gli alieni esistano?»

«Non lo so pulcina, come mai questa domanda?»

«Perché oggi la mia amica immaginaria, Gwen, mi ha detto che il suo migliore amico viene da un paese molto lontano dal nostro un paese in cu ci sono tantissime caramelle. Io voglio tante caramelle, volevo chiedere a Gwen di portarmi dal suo amico con una navicella.»

«Sono sicuro che se chiederai a Gwen di portarti, lei lo farà.»

«Evviva! Ora andiamo a fare un giro sull'altalena? Per favore papà?»

«Io dovrei portarti a casa...»

«Ti prego papà.»

«Chi la sente poi tua madre se facciamo ritardo? Lo sai che odia i ritardatari.»

«Ti prego papà. Ti prometto che poi faccio la brava.»

«E va bene pulcina, ma è l'ultimo, che poi dobbiamo andare.»

La bambina corre verso l'altalena e rimprovera suo padre perché è troppo lento.

Il padre sorride, è felice. Quando vede sua figlia, ha nello sguardo uno strano luccichio, come se la sua piccola Kate fosse la sua ragione di vita. È fiero della bambina che è e sa che sarà sempre fiero anche della donna che diventerà.

Da quel giorno sono passati tredici anni, sono cambiate molte cose e altrettante sono successe anche se non erano previste, ma una cosa non è mutata, di una cosa Omar è sicuro. Sua figlia sarà sempre il suo più grande vanto, il suo puto fermo, sarà sempre fiero di lei e della ragazza in cui si è trasformata.

****

I giorni passano, lei cresce, io invecchio, le persone vivono e io le guardo.

Perché da quando lei è morta, io non faccio altro che guardare gli altri che vanno avanti con le loro vite e mi chiedo come facciano. So che non dovrei fermare la mia vita a causa del dolore, eppure l'ho fatto.

Ho fallito nell'unica promessa che lei mi abbia mai realmente chiesto.

Dovevo prendermi cura dell'unica testimonianza del nostro amore ormai morto, invece non sono riuscito a proteggerla, ero troppo sopraffatto dal dolore che mi stava, e mi sta, mangiando dentro.

Non m sono reso conto di quello che stava succedendo attorno a me, e quando l'ho fatto era troppo tardi. Lei era già stata distrutta dallo stesso dolore che io dovevo evitarle.

Spero non mi odi. Spero che in fondo, mi voglia ancora bene. Perché è mia figlia ed è l'unico motivo che mi tiene in vita, senza lei sarei già impazzito.

Lei che nonostante tutto è la copia di sua madre. Lei che nonostante tutto si è sempre presa cura di me, anche se avrei dovuto farlo io, perché mia figlia.

Kate non sa, e si rende conto, quanto sia importante per me, quante volte il suo solo ricordo mi abbia mantenuto lucido abbastanza per non impazzire.

Perché non importa quanto io possa affogare nel dolore, ci sarà sempre una parte di anima che vorrà bene alla mia pulcina.

****

Per una volta, non sono andata in spieggia, sentivo una strana sensazione che mi spingeva a venir qui, in questo parco, così eccomi qui.

Questo è un latro dei posti a cui sono molto legata, c veniva da piccina ogni giorno con mio papà, prima che tutto accadesse, quando eravamo ancora felici.

Ma nonostante tutto, questo rimarrà una dei pochi posti in cui abbia dei bei ricordi, che voglio custodire gelosamente.

In particolare, ho sempre amato l'altalena. Passavo interi pomeriggi a farmi spingere da mio padre il più in alto possibile, speravo di poter toccare le stelle, un po' come tutti i bambini che vanno sull'altalena.

Ora sono seduta proprio su una di quelle e guardo in alto, oggi come anni fa vorrei poter toccare le stelle con un dito.

«Ciao.»

Mi giro spaventata e vedo una ragazza. Avrà sì e no la mia età. Credo di averla già vista da qualche parte.

Si avvicina a me, scendo dalla penombra che la copriva, e si siede sull'altra altalena, mettendosi a guardare le stelle e, senza sposare il suo sguardo, ricomincia a parlare:

«Scusa, non volevo spaventarti. Vieni spesso qui?»

«Non ha quest'ora.»

«Effettivamente, ci sono molte persone normali che frequentano questo posto quando è un po' più illuminato e un po' meno inquietante.»

La ragazza sposta il suo sguardo dalle stelle e mi guarda. Ora che la vedo meglio posso capire il color dei suoi capelli, un semplice marrone, e dei suoi occhi.

Sono proprio quest'ultimi a colpirmi particolarmente.

La luce della luna li risalta, li illumina. La ragazza mi sorride, ma non noto la stessa felicità espressa dalla sua bocca, riflessa nel suo sorriso.

«Eppure, io in queste condizioni lo preferisco. C'è silenzio e ci si può rilassare. Solitamente, vengo qui per pensare o per staccare la spina dalle troppe paranoie. Pensavo di essere l'unica a farlo.»

«Solitamente, non frequento questo posto. Preferisco altri luoghi per pensare, però oggi non avevo vogli di stare al solito posto.»

La ragazza torna a guardare le stelle e sembra perdersi totalmente nei suoi pensieri.

«Credi agli alieni?»

«Da bambina sì, anzi, ero pure convinta che mi sarebbero venuti a prendere.»

«Poi? Perché hai smesso di crederci?»

«Perché ho smesso di fantasticare su finti pianeti di caramelle.»

«Io, invece, credo che gli alieni esistano. Noi siamo esseri totalmente insignificanti rispetto alla vastità dell'universo. Non posso credere di essere realmente l'unica forma vivente in tutto lo spazio.»

Mi metto a guardare le stelle anch'io.

Non so se questa stramba ragazza abbia ragione o meno. Io nelle stelle ci vedo solo le anime delle persone. Ci vedo dei sogni, alcuni realizzati, altri infanti. Ci vedo delle promesse, eterne o temporanee non ha importanza.

Ma sicuramente, se le guardo non penso agli alieni.

Essendo particolarmente stanca, decido di smetterla di interrogarmi sui punti di domanda cosmici e di tornare a casa.

Così, mi alzo dall'altalena e mi avvio all'uscita, ma una voce mi ferma:

«Non mi hai detto il tuo nome.»

«Non è importante.»

«Io sono Meredith.»

Faccio un piccolo sorriso che lei ricambia.

«Ciao Meredith.»

«Ciao ragazza dell'altalena.»


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