La piccola Giovanna aveva da poco compiuto tre anni ed era sgattaiolata fuori casa mentre la madre e la sorella erano intente a preparare una zuppa di rape e cipolle.
Trovò cascato nel giardino un uccellino, che se ne stava immoto in guisa che da lungi l'avreste creduto la figurina di un angelo. Non trattenne la curiosità e gli si appropinquò: i vermi famelici lo divoravano con avidità.
Pensò di raccoglierlo e di rimuovere ogni singolo vermiciattolo. S'immaginò che, come per miracolo, la ferita dell'animaletto si sarebbe chiusa e che avrebbe potuto riprendere a volare.
Invece però si fece torbida di ribrezzo e paura allorquando avvicinò le manine. Lo stomaco le si ritorse e fuggì, per poi stare a lacrimare ché non lo avea salvato.
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«Perché piangi, Giovanna?» Isabelle si appropinquò alla figliola, che sola nella sua stanza – perché Catherine se ne stava fuori a giocare – , con la testa bassa fra le mani, nemmeno si era accorta del suo avvicinamento. «Che cosa ti ha preso?»
«Perché muoiono le creature di Dio, mamma?» La tristezza tracimava dagli occhi della piccola, che li aveva sgranati alzando la testa. «In Paradiso non moriva nessuno. È tutto colpa del serpente?»
«È tutta colpa nostra, Giovanna.» Rimase immobile per un attimo e poi le si sedette accanto sul letto. «È colpa del veleno che si annida nei nostri cuori. Ma perché da un momento all'altro mi domandi queste cose?»
Un vuoto profondo seppellì i pensieri della bimba. Ma tosto le tornò in mente l'immagine dell'uccellino divorato dai vermi.
«Ho trovato morto un animaletto. Volevo salvargli la vita, risuscitarlo. Ma non ce l'ho fatta.»
«Non soltanto tu. Nessuno, tranne Dio, può risuscitare una creatura morta.»
«Nemmeno i santi?»
«Non sono loro a farlo, bensì Iddio attraverso di loro.»
Anch'io vorrei essere santa, ma non lo disse a sua madre. Invece, scoppiò in singhiozzi. Isabelle l'abbracciò.
Giovanna allora vide affastellate, simili a scarti di macelleria, decine e decine di creature morte. Ma non erano uccellini. Erano uomini, che furono in fretta sommersi da vermi.
Tuttavia, invece di terrorizzarsi e di incrementare il pianto, fermò lo sguardo, con un senso di fiera serenità molto peculiare per una ragazzina della sua età. Dal cielo discese una luce a forma di ghirlanda e i vermi e le salme sparirono. Al loro posto eravi un prato erboso sul quale camminavano dei fanciulli alati. Ne riconobbe i volti: erano le medesime carni morte, divenute sfavillanti.
«Giovanna?» la richiamò Isabelle. Si era accorta che la sua attenzione era altrove.
«Sì, mamma?» Riprese a guardare sua madre. La visione era svanita.
«Ti senti bene?»
«Forse adesso mi sento meglio.»
La madre non le credette. Allora, allo scopo di consolarla, decise di raccontarle una storiella esemplare che aveva sentito da un pellegrino: «Tanto tempo fa, un uccellino che conosciamo col nome di cincia fu catturato dalla trappola di un contadino. E quando il contadino lo afferrò, gli disse che lo avrebbe mangiato.»
«Ma poverino...»
«Eppure la cincia rispose che, se l'avesse mangiata, non si sarebbe saziato, perché era troppo piccolina. In compenso, se l'avesse liberata, gli avrebbe dato tre preziosi consigli che sarebbero stati molto più utili. Allora il contadino, convinto, la liberò e ascoltò con attenzione i tre consigli: ciò che hai nelle mani, non buttarlo ai tuoi piedi; non credere a tutto quello che senti; non portarti sulle spalle un gran lutto per qualcosa che non potrai mai avere né ritrovare.»
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Vita e Tentazione di Giovanna d'Arco
Historical Fiction**** IN REVISIONE ***** Questa è la storia di Giovanna d'Arco, dalla sua infanzia fino alla morte nel rogo, narrata da un vecchio monaco vissuto negli ultimi anni del Quattrocento, figlio di un balestriere della Repubblica di Genova e di una conta...