XI.

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La mia vita si era trasformata in un loop temporale senza un apparente fine. Ogni giorno, ogni ora, era uguale alla precedente e, di conseguenza, alla successiva. 

E la collana, che ero solita chiamare collare, che portavo al collo non faceva che ricordarmi la spessa e lucente gabbia di metallo invisibile in cui ero stata rinchiusa per la seconda volta.

Era a girocollo, probabilmente d'argento, con un semplice punto luce che rifletteva qualsiasi fascio di luce e brillava perennemente, ad ogni ora. A volte mi sembrava di vederla brillare anche durante la notte, mentre mi giravo e rigiravo tra le coperte che non riuscivano a scaldare il freddo che mi strisciava dentro.

Me l'aveva data Dantalian. Me l'aveva allacciata al collo come, anni prima, aveva allacciato quella a forma di cuore, splendente e bella allo stesso modo. Lo aveva fatto davanti ad Honey, in camera mia, e io non avevo avuto la forza mentale di oppormi perché sapevo che sarebbe stato inutile. Lei mi aveva mostrato la sua, appena Dantalian aveva lasciato la camera, e aveva detto, con un sospiro, che ogni coppia aveva un proprio simbolo ed esso veniva sempre portato al collo dalla partner. Un segno di possessione, utile a ricordare che noi appartenevamo già a qualcun altro. 

Questo non mi aveva impedito di ignorarlo però, e a lui non aveva dato chissà quale fastidio, rammentandomi più e più volte che l'importante era che smettessi di creare casini. Avevo smesso di comportarmi troppo male, ma semplicemente perché andavo contro alle regole di nascosto. 

Per esempio, era da giorni che mi rifiutavo di farmi la doccia, sapendo che Dantalian avrebbe dovuto sorvegliarmi nel frattempo, e mi lavavo il corpo a pezzi con una spugna che aveva rubato Honey sul lavandino del bagno privato della camera. Aveva detto che non c'era problema perché un'altra partner era ribelle come me e faceva lo stesso, quindi non era la prima volta che rubava degli oggetti.

A mensa non mi facevo mai trovare se non a colazione, poiché quel pasto per gli Élite veniva portato direttamente in camera dalle proprie partner e per questo ero libera di sedermi dove volessi. Ovviamente io non portavo nessuna colazione a Dantalian, ma lui non se ne era mai lamentato e ci pensava da solo. 

L'amicizia con Kyran era continuata, seppur in modo lento e strano. Ero una partner e per questo non potevamo farci vedere in giro insieme con troppa frequenza, ma lui aveva escogitato dei modi molto teneri per essere sempre presente. Ovunque andassi, sapevo sempre che voltando la testa avrei intravisto un cappuccio nero alle mie spalle, o alla fine del corridoio, o nascosto tra gli scaffali della libreria. A volte alzavo lo sguardo e sapevo di trovare il suo, nero come la pece, seguito da un ghigno divertito. 

Mi parlava attraverso dei bigliettini lasciati in giro per l'orfanotrofio, in particolare nei miei libri, e così avevo scoperto che quel biglietto che avevo trovato dopo aver parlato con Nivek era stato fatto da lui. Sui pezzi di carta scriveva sempre qualche citazione poetica con la sua calligrafia molto elegante. Al momento del pranzo e della cena era sempre lui a portarmi qualcosa da mangiare di nascosto, anche se mi chiedevo sempre come facesse a non essere mai beccato.

In sostanza la fortuna mi aveva assistito, o almeno così credevo, fino a quel momento. 

Durante il pomeriggio, mentre tutti i ragazzi dovevano essere in palestra, le ragazze a cui toccava preparare da mangiare oggi in cucina e il resto ovunque volessero, dei pugni iniziarono a sbattere con violenza sulla porta della mia camera. 

«È aperta, Xim!». A volte chiudevo la porta a chiave mentre eseguivo delle azioni che andavano contro le regole, ma oggi non avrei avuto motivo di farlo. Erano tutti impegnati.

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