I.

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Vi siete mai sentiti di appartenere ad uno stato di trance? La sensazione di essere costantemente in bilico tra la veglia e il sonno, tra il buio e la luce.

Essere avvolti nel torpore del sonno dava una sensazione ipnotica, meravigliosa e terribile allo stesso tempo. Sembrava quasi di essere chiusi in una stanza spoglia, vuota, buia, e non si vedeva nulla, non si percepiva niente. Eppure sapevo di essere cosciente. Continuavo a pensare, a dubitare, a pormi una domanda dopo l'altra, oppressa dalla consapevolezza di essere nel vuoto.

Non saprei dire con esattezza cosa accadde di preciso quand'ero in balia di quel torpore, ma ricordo discretamente che mi tornò in mente una scena di quello strano sogno che facevo solitamente da bambina. Nel ricordo ero in una stanza non delineata dai contorni e dalle luci indefinite, ciò che era vivido era soltanto un particolare: una casa delle bambole.

La casa delle bambole era davvero ben costruita, era in legno di cedro con tanto di rifinitura delle tegole scarlatte e una canna fumaria scura e alta. All'interno si potevano contare ben otto stanze: la cucina, in cui brillavano minuscole stoviglie nei cassetti e piccole pentole sui fornelli; il salotto, adorno di quadri grandi quanto un unghia curati in maniera magistrale, alcuni ritraevano della frutta altri dei paesaggi. In ultimo vi erano cinque stanze e un bagno con una vasca in calce bianca. Avevo sempre pensato che una casa delle bambole così bella non fosse mai stata costruita.

Quando finalmente riuscii ad aprire gli occhi, la sensazione del torpore iniziò a mano a mano a svanire, e svanì allo stesso modo anche il ricordo del sogno per lasciar spazio ad una luce giallastra particolarmente fioca. Dovevo essermi addormentata di nuovo nello studio dello zio e avevo il pessimo presentimento che se non mi fossi sbrigata tornare a casa mia madre questa voltami avrebbe davvero ammazzata: dopotutto era la vigilia di Natale. Riacquisii lucidità è mi tirai su ancora un po' fatica. Perché mi sentivo così pesante? 

<Oh finalmente! Si è svegliata!> mormorò una voce sconosciuta.

Mi strofinai gli occhi per allontanare i residui di stanchezza con la bocca ancora impastata di saliva. Osservai il pavimento, mi voltai a destra e a sinistra e scorsi almeno una decina di estranei, mi posai una mano sulla fronte sperando di rinvenire, magari avevo qualche allucinazione a causa della troppa stanchezza, fatto stava che quello non sembrava affatto lo studio dello zio né qualsiasi altro posto che avessi mai conosciuto.
Magari stavo ancora sognando, e avevo inconsciamente sognato di svegliarmi in questo posto.

Mi ero svegliata con la schiena appoggiata ad un camino spento ancira caldo e pieno di fuliggine che dava sbocco su un'enorme sala da pranzo in stile ottocentesco. Qualcosa puzzava di fumo, e con tutta probabilità potevano essere io. Chiusi ripetutamente gli occhi un paio di volte prima di abituarmi alla luce della stanza, sbadigliai, staccai la schiena dal camino e a causa dello scatto mi girò la testa. Presi un respiro profondo e tentai di concentrarmi: al centro della stanza, sopra un tappeto rosso sangue, poggiava i piedi un delicato tavolo in legno d'ebano ricoperto da una tovaglia verde scuro, sulla quale, esattamente al centro, spiccava un vaso in argento ricolmo di crisantemi, e le sedie che lo circondavano erano intarsiate finemente lungo i bordi con motivi floreali. Parallelamente ad esso, in alto, vi era un enorme lampadario in cristallo del tutto singolare e maestoso: aveva quattro braccia ricolme di gocce di cristallo, che nelle giornate di luce avrebbero dovuto riflettere ogni colore, in cima alle quali, posavano candele gialle lunghe e spesse in contrasto con la delicatezza del cristallo. Alle pareti erano affissi quadri di natura morta o ritraenti paesaggi malinconici, che si concentravano per lo più su una parete racchiusa tra due ampie finestre nascoste da tende color cremisi. Tutta quella stanza era un vorticare continuo di rosso, verde e nero, colori tetri e sinistri, che caratterizzavano un'atmosfera tesa e opprimente.

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