II.

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Scostai agilmente Corinne De Montmatre e la ragazza che si era sascosta dietro di lei, un taglio, bastava un taglio, potevo farcela. Una frazione di secondo più tardi ero davanti al capotavola in corrispondenza del camino, afferrai un coltello, strinsi la stretta sul manico e con un gesto veloce e avventato mi riversai la lama sul polso. Sulle prime non sentii nulla, sorrisi: era davvero un sogno. Avvertii allora un pizzichio lieve in corrispondenza del punto in cui avevo scagliato il coltello, Corinne mi guardava  pallida e immobile e Azazel e Caelena si scambiavano uno sguardo d'intesa e, quando abbassare lo sguardo, vidi fiotti di sangue zampillare come acqua da una fontana e riversarsi sul pavimento e sulle scarpe e schizzare il contorno.

Faceva male.

<Stupida> Sputò acido Alexander Hellaway e gli scoccai un'occhiata di traverso che lui ignorò beatamente.

<Aspetta, usa questo, devi fermare la fuoriuscita o di questo passo sverrai.>
 
Chi era? Era un ragazzo sulla ventina d'anni dai capelli color caramello, mi si era avvicinato sorridendo, con le maniche della camicia bianca piegate a tre quarti e un fazzoletto bianco in mano.

Mi tolse il coltello dalle mani e, ancora sporco di sangue, lo riposò sulla tovaglia, dopodiché mi avvolse il lungo fazzoletto in lino attorno alla ferita.

<Non ho nulla per medicartela> sussurrò mentre il mormorio aveva ripreso a crescere per la stanza <temo che dovrai farti andar bene la fasciatura.> 

<É sangue.> Dissi, e non riuscii a dire altro. Il sangue continuava a fuoriuscire, inzuppava il fazzoletto, la ferita bruciava e io non mi svegliavo.

<È sangue> ripetei ancora una volta incapace di guardare al di là del mio avanbraccio. <Perché non mi sveglio se dal mio braccio continua ad uscire sangue?>

Caelana roteò gli occhi. <Mi pareva di averlo già chiarito, questa non è un'illusione, è tutto vero.>

"È tutto vero"
"È tutto vero"
"È tutto vero"

Quelle parole continuavano a comparirmi davanti vorticando e mischiandosi le une con le altre. Un attimo fa ero nello studio dello zio e ora mi ritrovavo nella Magione dei Chiaro di Luna, chissà dove, chissà quanto distante da Oak Tree's Hollow. La ragazza dietro Corinne scoppiò a piangere e come lei un altro paio di persone si accovacciarono ai lati della stanza, i coniugi De Montmatre si riunirono guardandosi intorno con aria di disgusto, il ragazzo che mi aveva soccorsa stava con lo sguardo fisso sulle figure inquisitrici di Azazel e Caelena che sembravano, per certi versi, la versioni inquietante di due perfetti camerieri e Alexander Hellaway si rigirava una moneta tra le mani.

Che razza di scherzo era quello?

Eravamo stati sequestrati e portati in un luogo ignoto, i miei genitori si sarebbero preoccupati a morte e io, io non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe accaduto. Per allora mi limitai semplicemente a starmene in piedi, sempre vicino a quel camino, con il braccio teso e la fasciatura insanguinata con lo sguardo fisso sul tappeto sopra il quale poggiano i piedi del tavolo. Avrei dato di tutto per tornare a quella stessa mattina, per fare in modo che nulla di tutto quello accadesse, per evitare qualsiasi cosa fosse accaduta mentre mi trovavo nello studio dello zio.

Azazel si schiarì la gola dal nulla.<In ogni caso> inspirò profondamente <esiste uno e un solo modo per andarvsene via.>

La mia testa scattò in avanti quasi in maniera meccanica. Davvero esisteva un modo per andarsene di lì?

<Avete capito bene, se volete andarvene sani e salvi, dovete vincere il Grande Gioco.>

<Cosa sarebbe questo Grande Gioco?> Sbottò Reginald De Montmatre impaziente.

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