Fine della fine

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Entro in bagno e mi siedo a terra, sentendo il pavimento gelido, a tratti scaldato dalla caldaie che ci passano sotto. Apro il cassetto bianco, un colore vuoto, vuoto come me. Quando fisso il vuoto io in realtà sto guardando me stessa ed il buco che si trova nel mio cuore; niente e nessuno può riempirlo, solo da sola posso... e non so come. È possibile che io non riesca ad immaginarmi nel futuro?
Io sono vuota come un vaso d'oro messo all'asta per stupire gli acquirenti. E un ricco di turno lo compra per posizionarlo al centro del tavolo, al centro del salotto, la stanza centrale della casa, la quale si trova al centro del quartiere, che è quello centrale nella città. Eppure, quando invita i suoi amici a casa e mostra loro il vaso d'oro, tutti sono felici tranne il vaso: essere amato diventa noioso.
"È magnifico, chissà quanto ne vai fiero". "Splendido... lo vorrei io!". "Hai proprio ragione, è un vaso perfetto".
Il vaso però non sa più cos'è la perfezione, nonostante fosse ciò a cui aspirava da tutta la vita. Che se ne fa ora il vaso della perfezione che, intesa come lui la percepisce, ha già raggiunto? Cosa si fa? Si ambisce a qualcos'altro? Ma a cosa ambire quando hai realizzato tutto? Ormai niente ti rende felice perché hai già versato felicità abbondantemente. I complimenti non ti rendono felice perché li ricevi ogni giorno. I tuoi traguardi già li hai raggiunti ed hai compiuto l'impossibile. Cosa dovresti fare ora? Rilegarti nel mondo mediocre che ti circonda? No.
Io non sono passiva, e neanche il vaso. E come lui decide di cadere e frantumarsi, per far sentire in colpa tutti coloro che hanno dato la sua bellezza per scontata e per evolversi in una dimensione superiore, io apro il cassetto delle medicine in bagno. Il coltello è accanto a me, mi basterebbe muovere la mano, ma non ho abbastanza forza di volontà. Non ho neanche il coraggio di soffrire un po', di agonizzare per quei 20 secondi in cui il sangue mi sgorgherà dalle arterie, abbandonando la sua dimora. E allora prendo una Tachipirina per alleviare il dolore. 500 grammi: una, poi due, poi tre, poi sette. Ora lo sciroppo: un bicchierino, due, quattro, sei, nove, tredici, diciassette. E intanto mi si appanna la vista. Non cado perché ero già a terra, ma i miei pensieri barcollano come dovrebbero fare le mie gambe.
Come quando le lacrime mi solcavano le guance passando dalle ciglia, vedo tutto sfocato e a macchie, e mi ricordo di quando il pianto serviva a convincere mamma per farmi rimanere a dormire da nonna...
L'infanzia. Quando mai ce la siamo goduta. I compiti, le attività pomeridiane per non essere in cattiva salute, i corsi extra scolastici per non farci rimanere indietro con le avanguardie. Neanche i bambini hanno tempo di fermarsi e odorare il profumo della spensieratezza che spensieratezza non è, perché di pensieri ce ne sono eccome. Ci sono problemi che i bambini non dovrebbero affrontare, eppure devono; come giocare sereni quando il giorno dopo la maestra ti chiederà i compiti? Come giocare quando hai la cameretta in disordine e tua nonna continua a ricordarti che le persone disordinate non faranno mai nulla nella vita? Non si può. E allora cresciamo in fretta, e il vento frigido dell'infanzia corre via sui binari delle locomotive, sferragliando e fumando per il troppo poco tempo concesso.
Quando la mia testa cede spazio ai pensieri trascendentali, il mio corpo ha ceduto spazio a UN corpo, un corpo non mio, inerte, che non è mai stato amato dalla proprietaria. Da piccola piangevo per le mie ginocchia, ora per le mie cosce. Da piccola non ero soddisfatta del mio sorriso, ora del mio naso quando rido. Da piccola odiavo i miei capelli, ora mi piacciono. Da piccola però non odiavo me stessa, ora mi odio.
Mi odio per essermi odiata, perché io mi amavo. Ho odiato una persona che mi ama, e sono arrabbiata con chi me l'ha fatta odiare: io.
Io.
Io.
"Io", però, non esiste più dal momento in cui afferro il coltellino e affondo le lamette sotto la fine del palmo. Ed ecco che man mano, ad ogni sempre meno forte battito del cuore, io mi abbandono a una dimensione idilliaca, che nessuno ha affidato a noi umani, perché saremmo stati capaci di distruggerla come l'abbiamo fatto con l'infanzia e tutto ciò che ci circonda.

AVRÒ SEMPRE 13 ANNIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora