𝙀𝙪𝙥𝙝𝙤𝙧𝙞𝙖; Draco Malfoy

9.

Ravina

Passammo la notte e il giorno dopo in un motel, non era tanto popolato, qualche macchina qui e lì nel parcheggio ma sembrava che fosse completamente isolato. Avevamo preso due stanze, con la sera saremmo andati in giro a cercare Kayle, se avessimo avuto fortuna, potevamo trovarlo e riprenderci i soldi. Non avevamo più parlato di John o degli uomini del Ministero, anche perché non sapevamo con sicurezza se le due cose fossero collegate. Avevamo solo le nostre intuizioni, il che non erano un granché. Arrivati nelle nostre stanze, ci preparammo per uscire, aveva da poco iniziato a piovere e non si riusciva a vedere l'esterno.

«Da dove cominciamo?» chiesi io seduta sulla poltrona della loro stanza, le mura di essa erano sfoglie, vecchie e fatiscenti, una sensazione mi portò a rabbrividire pensando a ciò che potesse essere accaduto lì dentro.

«Non ne ho idea.» disse esasperato Draoco, era appoggiato contro il muro e si passò una mano sul viso. «Diventa sempre più difficile.» mormorò tirando via le mani dal viso e incrociandole al petto. «Se solo tuo padre ci avesse dato qualche informazione in più.» il tono sprezzante con cui lo disse mi fece girare la testa di scatto nella sua direzione, assottigliai gli occhi.

«Pensa dove saresti se fossi partito da solo.» dissi con tono tagliante, dubitando delle sue capacità. «Probabilmente saresti scappato via davvero.» alzai le spalle e prima di voltarmi gli lanciai un'occhiataccia velenosa. Mio padre avrebbe potuto darci più dritte su dove trovare quegli uomini? Forse, ma ciò non gli dava il diritto di parlare così.

«Cambia tono.» la voce di Draco mi fece assottigliare le labbra, lo feci per impedirmi di dare di matto. «Ricorda grazie a chi non sei ancora sposata.» avevo quasi dimenticato quella bugia che gli avevo raccontato il primo giorno, lui credeva di aiutarmi, di impedire il matrimonio con un uomo più vecchio di me, e quasi mi venne da ridere vedendo il suo volto impassibile.

«Oh, mio salvatore.» lo beffeggiai mettendomi le mani sul petto. Blaise era nella stanza con noi, ma sembrava che non ci fosse assolutamente, se ne stava zitto a subirsi i nostri battibecchi come un genitore fa con i suoi figli adolescenti. «Ti sarò debitrice a vita per questa pietà nei miei confronti.» continuai a fingere, lo guardai con gli occhi dolci, lui schioccò la lingua e girò la testa dall'altro lato.

«Complimenti, comportamento davvero maturo da parte tua.» bisbigliò il biondo alzando un sopracciglio senza guardarmi, mi alzai dal divano e mi fermai a qualche passo da lui.

«E allora smetti di fingere che tu mi stia salvando.» non riconobbi la mia voce: gelida, fredda, tagliente. «Sei qui per il tuo cazzo di lavoro, portalo a termine e sta' lontano da me.»sussurrai avvicinandomi. «Non ho bisogno di te, sei un pezzente con il vizio del gioco d'azzardo.»ad ogni passo la mia voce diventava più velenosa, assunsi un'espressione di disgusto mentre lui non voltava ancora la testa verso di me. «È colpa tua se sei qui, stronzo. Non ti permetto di parlarmi da superiore, tanto meno devi aspettarti gratitudine da me.» finii non appena arrivai davanti a lui, ad un palmo di distanza, l'aria intorno a noi divenne carica di tensione mentre aspettavo che si voltasse a guardarmi. E lo fece. Mi guardò con sguardo vuoto, serio, indecifrabile, come se non avesse udito le mie parole, o almeno, come se non l'avessero scalfito in alcun modo.

«Ti credevo migliore.» disse solo quelle parole, non aggiunse altro, continuammo a guardarci e sentivo il fuoco della rabbia ardere in me, odiavo non ricevere una risposta alle mie provocazioni, odiavo l'indifferenza che emanava quando avrei potuto distruggerlo con le parole. Neanche il suo sguardo che nascondeva un bagliore di rabbia mi fece indietreggiare, anzi, mi caricò di più.