Capitolo 1

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Il vento che pareva essersi levato dai monti Aragoniti, sfilava e serpeggiava tra le strade affollate delle Terre Centrali. Le tende dei chioschi nelle piazze svolazzavano e sbattevano, provocando piccoli scoppi. Per le strade, trasportato anche dal vento, vi si diffondeva un profumo di mele caramellate, pasticci di castagne e crostate di frutta. Il Karnival era una delle feste più attese a Koshyk; le strade si riempivano di turisti provenienti da terre e isole vicine, degli stessi cittadini e dei reali, che scendevano a piazza Desro per assistere agli pettacoli canori, circensi e a sontuosi banchetti. Sul piccolo palco sopraelevato, sedute sopra le quattro poltrone disposte a semicerchio, avvolte in un fruscio di seta, merletti e gioielli, le quattro figlie di Sua Altezza Heike guardavano rapite lo spettacolo dei mangiatori di fuoco e dei giocolieri.
« Ogni anno la stessa storia. Questi tizi non sanno fare nulla di diverso da quello che potrei fare io. » Disse una voce. « I Fenek del fuoco si sono ridotti a questo? » Mormorò un altro. A parte le quattro donne, i bambini e poche altre persone, nessun altro era interessato a vedere lo spettacolo. Tutti attendevano la presentazione del principino nato poche settimane prima.
Si levò poi, una folla di applausi appena l'ambasciatore si fece largo tra i circensi. La giacca rossa seguiva i movimenti dell'uomo basso e baffuto; salì con un po' dì fatica i dieci scalini e, con il fiatone, fece quattro piccoli inchini rivolti alle quattro donne. Srotolò il rotolo di pergamena ingiallito e si schiarì la voce.
« Ai signori cittadini, il principino Iain Heike verrà presentato al sorgere della luna, nei giardini reali. Chiunque è invitato ad assistere al lieto evento. » Finito l'annuncio, arrotolò la pergamena, fece nuovamente quattro inchini e scese gli scalini con buffi saltelli, sparendo tra la folla.
Nascosto nell'ombra al lato del palco, nella sua posa marmorea, Eric aveva lo sguardo fisso davanti a sè senza però soffermarsi su qualcosa o qualcuno in particolare. I lunghi capelli neri ricadevano lisci e morbidi in due ciocche ai lati del viso, morbidamente sulle spalle e infine legati in una treccia che terminava sul fondoschiena.
La divisa era indossata alla perfezione, la giacca e i pantaloni blu scuro con manapasseria e intarsi in oro, come bottoni, catenella e sigillo cucito sulla schiena: una grossa farfalla dalle ali decorate da intrecci preziosi.
Il suo portamento era quasi statuario. Nonostante il fracasso, i bambini che gli correvano intorno e sfioravano i due pugnali attaccati alla cintura, lui non si era mai scomposto di un millimetro. Se lo si guardava bene, pareva non battesse neanche le palpebre, che non respirasse addirittura.
« Eric. »
La flebile voce della donna, che si era avvicinata a lui per farsi sentire, gli aveva scosso leggermente il corpo con un lieve fremito. « Si, mia Signora? » Rispose senza spostare nè lo sguardo nè il viso. « Mia sorella Rose ed io vorremmo tornare al castello, ci scorteresti? »
Eric annuì, si scambiò una breve parola con le altre guardie e creò un varco tra la folla sotto il palco, così da permettere alle due donne di scendere.
Erano gemelle perfettamente identiche, con i capelli castani e gli occhi azzurri. Rose, che si era ancorata al suo braccio destro, indossava un abito azzurro pastello, con merletti bianchi e dettagli in oro. Al collo, una collana con un pendente a farfalla, identico a quello della gemella Marge, che però aveva un vestito rosa pastello ed era attaccata al suo braccio sinistro.
Camminava in mezzo a loro, avanzando lentamente per adeguarsi ai loro passetti aggraziati.
Entrambe squittivano e parlavano del nuovo arrivo, a giorni, dei nobili di Abàlos, che sarebbero venuti a conoscere il principino, ed entrambe si aspettavano che tra loro vi fosse un giovane principe o duca che le avrebbe chieste in moglie.
Trovava enormemente noiosi quei discorsi.
"Ancora pochi metri. Ancora pochi metri." Si ripeteva, mentre passo dopo passo arrivava sempre più vicino al cancello.
Giunti ai giardini, entrambe mollarono la presa su di lui e corsero verso l'interno del castello, scortate da altre guardie.
voltò sui tacchi e ripercorse la strada a ritroso, bloccandosi poi nel sentire la voce tuonante di suo padre.
Bernard, capitano delle guardie reali, perfetto nella sua divisa bianca da ufficiale. « Padre. »
L'uomo fece un passo verso di lui e dovette sollevare di poco il viso per guardare suo figlio negli occhi, azzurri e lipidi, rispetto a quelli scuri di Eric. « Va a casa a cambiarti, sua altezza ci ha invitati alla cerimonia di presentazione. Vuole parlarti di persona. »
Annuì e riprese a camminare verso la villa a pochi metri dal castello. Una dimora che, da secoli, spettava al capitano delle guardie e alla sua famiglia.
A detta di suo padre, sicuramente sarebbe toccata a lui. Aveva già scritto e deciso il suo futuro. Non che a lui non stesse bene diventare capitano, ma voleva farlo per meriti e non per sangue.
Di sicuro sua madre ne sarebbe stata felice. Si era perfettamente adeguata alla vita di corte. Organizzava spesso balli, cene e ricevimenti con i vari nobili di Heike. Amava il lusso e lo sfarzo.
Fu lei ad aprire la porta ed accoglierlo. Le sue narici vennero invase dal profumo dei fiori di loto, lo sguardo dal luccichio dei fermagli e dai brillantini sugli occhi a mandorla che seguivano la linea perfetta del trucco.
« Bentornato! Ho sentito che Sua Altezza vuole parlarti. Ti ho fatto preparare la divisa da cerimonia, va a sistemarti. Sento profumo di promozione o...» fece una pausa, fissandolo con un sorriso ampio. « Matrimonio.» Storse le labbra, mentre sua madre pareva più raggiante che mai. Imparentarsi con gli Heike era una cosa da Abàlos, era sempre stato così, da secoli. Non avrebbero mai permesso ad una semplice guardia, come era lui, di "sporcare" la linea di sangue. Ma era anche vero che suo padre aveva reso un servizio egregio alla corte. Era forse il loro modo di ringraziarlo? Sperava vivamente di no.
Senza troppe cerimonie, si congedò e si chiuse nella sua stanza. Il camino era acceso, il letto perfettamente rifatto, i libri dove li aveva lasciati. Unico elemento nuovo: la divisa nera perfettamente stirata e messa a lucido e gli stivali di pelle al lato del letto.
Si sfilò quella che aveva addosso e la sistemò sulla poltrona accanto al camino, mosse qualche passo ed entrò nel suo bagno privato. Era piccolo ma decisamente comodo. C'erano una vasca, un lavandino con uno specchio e un gabinetto. Riempì la vasca e vi si immerse, sentendo subito i muscoli rilassarsi.
Ancora ripensava alle parole di sua madre e suo padre. Sua Altezza voleva parlargli. Sperava fosse una cosa poco importante, di poco conto e, non una promozione o un assurdo ed improbabile matrimonio.
Detestava la vita di corte e ancora meno sopportava le figlie di Sua Altezza. Le trovava frivole, piccole ed "insipide", non ricordava un loro discorso che non virasse intorno a vestiti, gioielli e principi.
Sciolse la treccia, ormai bagnata e sporca di schiuma, e vi passò dentro le lunghe dita, mentre la mente vagava.
Qualunque fosse stata la proposta di Sua Altezza, non poteva in alcun modo rifiutare.

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