ITALIA-GERMANIA OVEST 3-1

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Me la ricordo come la notte più lunga di tutte le estati.

11 luglio 1982 Ore 20-10 anni

Alle 19.30 tutte le mamme d'Italia avevano scosso le tovaglie dai balconi: niente chiacchiere sul terrazzo dopo cena.

Divani spostati, amici, birre gelate e pacchetti di sigarette pieni, posati in terra, di fianco alla scatolina dei cerini.

C'era quel silenzio particolare, simile in tutto e per tutto a quello che si ode prima di un boato.

Io me ne stavo a piedi nudi, seduto, con le gambe giù nel vuoto e le manine strette alla ringhiera. Avevo strappato una fogliolina dal geranio e, disteso il braccio, l'avevo lasciata cadere: volevo contare in quanto tempo avrebbe toccato terra.

Mi sembrava che qualcosa dovesse cambiare per sempre, quella sera lunghissima. Il sole era rimasto fermo in quel punto preciso, sopra l'orizzonte. O, almeno, io me lo ricordo così.

Quel giorno compresi cosa significasse la parola stereo. Da ogni finestra, balcone, garage, bar, ristorante, fuorusciva la stessa voce e quel brusio. Credo di esserci nato con quel rumore nelle orecchie.

Dirimpetto il mio amichetto. Molto più coraggioso di me comunque. Lui amava il rischio e la ringhiera del suo balcone si prestava ai suoi giochi spericolati.

Gli sguardi assenti dei genitori, quelle situazioni che ti fanno dire oggi che sei un miracolato.

Il primo tempo è trascorso. Forse quell'Italia non era decollata al meglio, però lo sapevamo tutti che l'Italia, se parte male, poi vince. O forse lo so oggi, che sono passati anni.

Eravamo scesi, in mezzo al profumo delle angurie tagliate e all'odore di sigarette che bruciavano, ancora accese, nei posaceneri.

Avevamo camminato e disceso la scaletta del lungomare. I piedini scalzi saltellavano da uno scoglio all'altro. Mare immobile, come seta verde. Quei tempi in cui ti scappava il bagno in mutande, bastava uno specchio d'acqua. Quelli in cui le luci si spegnevano presto e si stava fermi a pensare, seduti, al buio, davanti ai portoni di casa. Eravamo saliti sugli scogli e stavamo zitti zitti. Cominciare un gioco è una cosa impegnativa. I bambini sono ingegneri di perfezione. Un'intesa muta per scendere in cortile, il parlottio basso nel decidere il gioco e poi l'esplosione del divertimento, così, improvvisa.

Il secondo tempo, lontani dalla televisione, la telecronaca che giungeva da ogni finestra. L'Italia conflagra, in un unico lampo. La diresti una cosa impossibile. L'esaltazione e la calma prende la forma più vera della gioia.

C'è sempre un momento in cui l'aria si ferma prima del cambiamento, ci avete mai fatto caso?

Rossi, 59°! Avevamo fatto il primo tuffo, dall'alto, nella distesa che ora si era fatta scura e paurosa.

E di nuovo risalivamo gli scogli e di nuovo ci gettavamo, urlando, sospesi nell'aria, Rossi! Rompevamo di nuovo il rumore del mare e dell'attesa.

Tardelli, 68°! Sentivo l'elettricità nella pelle.

Eravamo risaliti sul lungomare, sospeso come il ponte di una nave. Se non guardavi giù ti potevi immaginare di solcare oceani sconosciuti. Due bambini, in mutandine, che camminano scalzi per le vie del paese. Niente salvietta. Capelli che sgocciolano. Si affacciano alla finestra e chiedono, appoggiati al davanzale: "Scusi, a quanto siamo?"

Altobelli, 80°. Avevamo desiderato quel momento, le urla in coro, come bombardate, nell'aria. Era quel momento perfetto. Quello in cui potevi far uscire l'aria dai polmoni e gridare al cielo, alla terra, al mare qualsiasi cosa. Il fracasso, il volume alto avrebbero nascosto le confidenze. Il momento di buttare fuori. Qualcuno aveva lanciato in cielo un ti amo come un coriandolo. Io avevo lasciato scivolare fuori tutto ciò che non ero in grado di spiegare, in quell'attimo perfetto di gioia e libertà assoluta. Nessuno avrebbe ascoltato.

Avevo vinto.   

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