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"Crollare non è l'atto di un istante
una pausa finale
I processi di sgretolamento
sono rovine predeterminate-
Dapprima è una tela di ragno sull'anima
come un velo di polvere
un tarlo nell'asse
ruggine di elementi-
La rovina è formale -il lavoro del diavololo
ininterrotto e lento-
cadere in un istante nessuno poté mai-
Scivolare- è la legge del crollo"
-Emily Dickinson





Erano passati 5 giorni dall'incidente, 5 giorni da quando i medici avevano detto che Simone aveva provato ad uccidersi. Dopo quella scoperta non riuscì più a restare in ospedale come aveva fatto la notte dell'incidente dormendo sulle sedie; si sentiva così tremendamente in colpa da non riuscire a posare lo sguardo sugli occhi distrutti di Dante. Tutto quel dolore l'aveva provocato lui, e non sapeva come porre rimedio. Si impegnò quindi nei giorni a venire a restare chiuso nella sua stanza a scrivere pagine su pagine sul suo taccuino per riuscire in qualche modo ad esternare ciò che stava provando, resistendo all'impulso di tornare in ospedale a chiedere notizie di Simone.
Scrivere in quel periodo era diventato il suo luogo sicuro, più di quanto già lo fosse : sua madre cercava di riscuoterlo da quel buco nero in cui era caduto, ma lui la allontanava così bruscamente che ogni volta si ritrovava in lacrime e si domandava sul perché si comportava da stronzo con le persone che lo amavano. Perché non riusciva ad appigliarsi all'aiuto di sua madre, nonostante volesse più che mai essere salvato? Perché marcava sul suo quaderno richieste di aiuto continue, ma quando gli si presentavano davanti non riusciva a coglierle? Forse era per orgoglio o forse era semplicemente una persona spezzata, d'altronde se ci pensava lo era sempre stato.
E aveva infranto anche Simone in mille pezzi, man mano aveva contribuito alla sua autodistruzione.
Per questo quando quella mattina Dante lo chiamò per informarlo che Simone si era svegliato, e che poteva venirlo a trovare, rispose con un flebile "okay" e riattaccò subito il telefono.
Non poteva rischiare di compromettere il processo di guarigione di Simone, non poteva trascinarlo ancor di più nel baratro con lui, perché non meritava una persona come Simone che si spingesse oltre ogni limite per lui venendo ripagato con rabbia e distacco; e non meritava nemmeno sua madre santa donna che lo aveva cresciuto come poteva e amandolo più di qualsiasi altra cosa, e ricevendo in cambio un figlio scapestrato e ingrato.
Si sentiva ignobile, sporco e soprattutto codardo.
Codardo perché sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare Simone; codardo perché si ostinava a pensare che il suo allontanamento potesse giovare al suo "migliore amico". Tutto perché nonostante desiderasse essere se stesso, accettare le mani che gli venivano tese e i suoi sentimenti per Simone, c'era la paura che lo bloccava... aveva sempre preferito ignorare tutto e restare nella sua confort zone che affrontare i suoi desideri più nascosti, per timore di ciò che quella scelta glia crebbe riservato.
Aveva sbagliato tutto in pratica.
Una sensazione di nausea lo assalì e si diresse in bagno, fissando la superficie del water davanti a se, prima di venir scosso da un conato di vomito improvviso. Aveva la fronte imperlata di sudore e la stanza intorno a lui iniziò a girare velocemente finché non vide solo buio.










Quando si risvegliò si trovava sul pavimento del bagno e ringraziò non sa quale santo che sua madre non fosse in casa, sennò le sarebbe venuto un coccolone. Provò ad alzarsi tenendosi alla tazza, aveva le gambe deboli e molli; fu un'impresa ma alla fine riuscì a raggiungere il lavandino, e fece per sciacquarsi il viso quando alzò lo sguardo e vide il suo riflesso: i capelli unti gli ricadevano sulla fronte sudata per lo sforzo di rialzarsi, il viso così pallido da far invidia ad un vampiro, gli occhi scavati da due occhiaie profonde violacee. Abbassó lo sguardo e notò come le sue clavicole fossero più sporgenti del solito tanto che si intravedevano dalla maglia bianca che indossava.
Definire lo stato in cui si trovava pietoso era un eufemismo.
Sospirò continuando a guardare il proprio riflesso e a pensare a quanto fosse miserabile.
Si impose di buttarsi sotto la doccia, anche perché aveva bisogno che l'acqua si confondesse con le lacrime che già avevano iniziato a compiere quello che era il loro solito corso da un mese a questa parte. Perché alla fine in quest'ultimo periodo Manuel ferro compiva le stesse azioni tutti i giorni: piangeva, scriveva, piangeva, scriveva, piangeva, scriveva.
Era un loop infinito, tanto che aveva smesso perfino di andare in garage, perché aveva capito che anche in quel luogo era riuscito a rompere qualcosa e non ad aggiustarlo e migliorarlo.
Uscito dalla doccia si asciugò e si rivestì.
Tornò in camera sua e prese il cellulare che dopo la chiamata di Dante era stato abbandonato sul pavimento cosparso di cartacce e buste di cibo spazzatura.
Appena accese il display rimase di stucco dinanzi alla notifica che risaliva a 10 minuti fa: una notifica di Simone.
Si sentì mancare la terra sotto i piedi e dovette sedersi sul letto per evitare di svenire di nuovo.
Prese un profondo respiro prima di inserire il pin per sbloccare il cellulare e aprire whatsapp. Cliccò sulla chat di Simone e lesse il messaggio che recitava semplicemente: "ma che ce ne frega della legge morale"











Mentre Manuel raccattava tutto il necessario per correre da Simone, quest'ultimo seduto nel suo letto d'ospedale fissava il messaggio che aveva inviato intensamente, ma non aveva alcun ripensamento.
Subito dopo essersi risvegliato dal coma suo padre l'aveva raggiunto, avevano parlato, iniziando a ricucire quel rapporto che sapeva avrebbe richiesto tempo per far sì che sbocciasse, ma a lui stava bene così.
Parlare con suo padre di Jacopo gli aveva fatto bene, e nonostante provasse ancora quel profondo dolore con cui avrebbe dovuto convivere ancora per molto, la sua anima era più tranquilla e soprattutto determinata a vivere anche per suo fratello.
Ed è proprio su questa convinzione che aveva deciso di cogliere l'attimo e chiarire una volta per tutte con Manuel, aveva bisogno di parlargli, di vederlo, aveva bisogno di sapere che infondo per lui il fatto di essere sopravvissuto facesse un minimo di differenza.
Perciò era ritornato a quella sera sul bordo della piscina di casa sua, mentre si smezzavano una canna parlando di Kant, e la leggerezza che aveva provato lo travolse, tanto che riusciva ancora a sentire l'odore dell'erba e il calore del corpo di Manuel affianco al suo.
I suoi pensieri furono interrotti dal cigolio di una porta che si apriva e da una voce che conosceva fin troppo bene.
<<Ciao Simo>>

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