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"Bruciare lentamente...
la fiamma che consuma ,
logora, dissipa contorni
non definiti, pensieri
assassini, sguardi anonimi

La cenere ricopre i miei passi
la fiamma si non affievolisce
il calore pervade repentinamente
i bordi spezzati dell'animo che
ancor lacrimano dopo la tempesta

Bruciare
Cedere
Sparire
in particelle insulse
colme di male portate
via dal vento"







Aveva sempre amato la poesia, si trovava in affinità con quei grovigli di parole , nonostante ci fosse poco in lui che potesse esser definito poetico. D'altronde era solo un ragazzo con le dita incrostate da grasso e olio di motori, con le sue canotte da basket, le immancabili camice a scacchi: in poche parole un caso perso.
Nonostante ciò lui un po' ci sperava che qualcuno riuscisse a scovare in quel labirinto la scintilla che lo portava ad essere se stesso, non l'immagine stilizzata di lui che rifilava a chiunque incontrasse: il ragazzo forte, l'uomo di casa, il menefreghista, lo sciupa femmine...
Avrebbe voluto che qualcuno riuscisse ad andare oltre queste superficialità, ma infondo non poteva biasimare nessuno per non esser riuscito a metter insieme quei pezzi che lo componevano, perché alla fine era lui stesso che man mano li deformava e li riduceva a brandelli così piccoli da non riuscire nemmeno più a riconoscerli. In fondo era colpa sua se quell'alone di frivolezza appariva l'unica sua caratteristica, come se non ci fosse altro. Quindi si era rassegnato ad accontentarsi della finzione in cui viveva e che col passare del tempo andava a confondersi sempre di più con la realtà... il suo vero essere ogni giorno continuava a sbiadire.
Il vuoto lo accompagnava da sempre, ed era quasi una sensazione familiare che gli scaldava il petto, quando lo assaliva nel pieno della notte mentre fissava il soffitto. Non riusciva a capire perché si sentisse sempre svuotato, aveva la sensazione di esistere ma non di essere vivo; per questo credeva che se fosse morto non avrebbe fatto alcuna differenza, magari le sue ceneri avrebbero riempito quello stesso vuoto che gli dilaniava il cuore.
L'unica volta in cui quel dannato vuoto aveva iniziato a rimarginarsi, si era sentito sul tetto del mondo come se da quel momento sarebbe riuscito a risolvere tutti i suoi problemi e le sue insicurezze.
"Non ti lascio perché ti voglio bene" gli urlò Simone strattonandolo e guardandolo con quegli occhi, che nonostante fossero così scuri si riusciva a cogliere una fiamma particolare che li animava; lui quella scintilla non sapeva cosa fosse, nessuno lo aveva mai guardato in quel modo, ma era magnetica e sentiva che gli appartenesse.
Se fosse stato un altro momento si sarebbe maledetto per quei pensieri, ma in quell'istante tutto gli sembrava dannatamente giusto. Tutto era al suo posto quando si avvicinò e fece unire le loro labbra: poi quella scintilla era esplosa e si era sentito bruciare...eccola quella sensazione di pienezza che cercava da tutta la vita, la sua metà mancante.
Il problema dell'euforia e del sentirsi così in alto non è la sensazione di piacere e esaltamento che si prova all'inizio, ma l'impatto quando poi si cade.
E lui non voleva precipitare.
Si rese conto all'improvviso di avere paura delle altezze, e la completezza che provava era così estranea al suo corpo che si ritrovò ad accantonarla nei meandri più oscuri del suo cuore, sperando che il vuoto ritornasse al più presto, perché tutto ciò gli sembrava così estraneo che si sentiva messo in gabbia.
Si staccò da quel contatto e iniziò a camminare verso la festa e Simone continuava a fargli domande a cui non sapeva rispondere.
"Con te è diverso dai, hai capito no?" gli disse con indifferenza, senza rendersi conto delle speranze che l'altro avrebbe riposto in quella maledetta frase.











Tornato a casa si stese sul letto e prese a fissare il soffitto come suo solito, ma quella sera era diversa dalle altre; due bollenti lacrime iniziarono a contornargli il viso, seguite subito dopo da altre ma non le fermò. Lasciò che quelle gocce scivolassero indisturbate mentre continuava a fissare il soffitto sopra di lui: non singhiozzava, non era un pianto disperato, credeva fosse per malinconia o forse per sollievo.
Tutte quelle emozioni contrastanti gli affollavano il cervello e gli mozzavano il respiro. A fatica si alzò dal letto e si diresse verso la scrivania recuperando un taccuino nero consumato, si risedette sul letto e lo aprí prendendo una pagina pulita: all'inizio pensò a come dar vita a ciò che voleva esprimere, ma all'improvviso fu come se qualcosa si fosse impossessato di lui. Con le lacrime che bagnavano la pagina, fece scorrere accanitamente la penna sul quaderno: se qualcuno avesse potuto vederlo avrebbe creduto che fosse in preda alla follia più totale. Non si accorse nemmeno di ciò che stava scrivendo e ritornato in se si impose di non rileggere quelle parole amare che aveva sputato su quel foglio.
Chiuse il quaderno e prese il suo cellulare guardando l'orario: le 5:30. Decise di scendere in garage, tanto non avrebbe dormito ugualmente, l'unico posto in cui era in grado di mettere a posto qualcosa senza distruggerlo.
O almeno così credeva...








"TU PER ME MANCO ESISTI" gli aveva urlato quella mattina in garage, pentendosene subito alla vista di quegli occhi, che prima lo avevano guardato così intensamente da farlo sentire padrone del mondo, distruggersi cospargendo di lacrime il suo volto.
Era questo a cui pensava mentre Simone era disteso a terra con il sangue che gli deturpava il viso e con gli occhi chiusi.
In quel momento stava ripercorrendo tutti i momenti passati con lui e sentiva la sua stessa voce irrompere nel silenzio della notte, squarciando la tranquillità che regnava poco fa, quando era sdraiato con la testa sulle gambe di sua madre mentre lei gli accarezzava i capelli.
Era in uno stato di trance così profondo tanto che nemmeno si accorse dell'arrivo dell'ambulanza, delle braccia dei paramedici che lo allontanavano dal corpo del suo migliore amico, perché la sua mente continuava a riportarlo a quando gli aveva urlato quelle parole.

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