Redenzione

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La vista le si stava nuovamente appannando, e ancora era pronta a cadere in un profondo sonno ristoratore. Erano due giorni che non faceva che dormire, eppure non era mai abbastanza. Il fisico debilitato non faceva che peggiorare le sue condizioni giorno dopo giorno. Sentiva il cuore pulsare in petto, così forte che sembrava volesse esplodere, creandole continui cali di pressione. L'ossigeno non era mai abbastanza e continuava a catturarne il più possibile, avida, con la gola che raschiava in continuazione. Si tirò su puntandosi su un braccio, tremante e affaticato e un conato di vomito le chiuse la gola in un istante, costringendola ad abbassarsi di nuovo, rovesciando sul pavimento quel poco che conteneva il suo stomaco. Tossì e cercò di pulirsi la bocca col torso della mano, sentendo faticoso ed estenuante qualsiasi genere di movimento. L'uomo steso accanto a sè, ormai morto, fece uscire dalla sua gola un verso, probabilmente causato dal un altro getto di sangue che era sgorgato, ma la ragazza ormai sotto shock interpretò quel suono in un'unica spaventosa maniera: "si è trasformato!" Si tirò su di colpo, afferrò il coltello dalla tasca dei suoi pantaloni e lo piantò con rapidità nella fronte del cadavere. E ancora. E ancora. Terrorizzata. Furiosa. Sfogando in quei colpi tutto il risentimento che covava dentro da tempo e che era esploso ancora una volta di fronte al pericolo.
Si fermò quando proprio non ce la fece più, quando ormai il cranio dell'uomo vicino a sè era spappolato a dovere. Cercò ancora avida l'ossigeno intorno a sè facendo respiri così profondi da farle girare la testa. Con una mano tremante andò ad aprire la fondina del cadavere accanto a sè e afferrò la pistola, stringendola tra le dita sporche. Lentamente si alzò dal letto, trovando la forza solo esclusivamente nella sua rabbia e la paura che ancora non voleva lasciarla andare. Inciampò nelle lenzuola e si poggiò al comodino, vicino al letto, in ginocchio. Versi uscivano dalla sua gola, versi colmi di dolore e ira, cercando in loro la determinazione per non lasciarsi andare proprio in quel momento. Digrignò i denti e con uno sforzo incredibile riuscì a rimettersi in piedi. Afferrò l'uomo per la caviglia e cominciò a trascinarlo puntando i piedi ben a terra, facendo forza su quelli, essendo ormai stremata. Con grande fatica, dolore e impiegando un sacco di tempo riuscì finalmente a portare il cadavere dove desiderava: nella stanza del bambino che aveva lasciato in vita, all'interno del suo box. Era ancora lì, che si dimenava attirato dai rumori. Trascinò il cadavere al centro della stanza e lo lasciò lì. Si avvicinò poi zoppicante al box e aprì lo sportellino che c'era a lato, senza spalancarlo, lasciando che fosse lui ad aprirlo con i suoi tempi, così avrebbe avuto modo prima di allontanarsi e uscire dalla stanza, evitando di diventare lei stessa la cena del piccolo zombie. Quando arrivò alla porta della stanza si voltò a guardare la scena dietro di sè. Il bambino era riuscito, come immaginava, ad aprire lo sportello semplicemente appoggiandosi accidentalmente ad esso. Spalancò la bocca verso la ragazza ma si voltò a guardare il corpo steso poco lontano da lui, ancora profumante di cibo, e più vicino e accessibile della ragazza in piedi alla porta.
Ocean guardò per un attimo, con gli occhi colmi di furia e soddisfazione, il piccolo muovere i passi verso la sua portata.
<< Ho vinto io. >> disse rauca prima di chiudere la porta con un tonfo. Non era contenta di quello che era successo, di quello che aveva fatto, ma l'uomo aveva ricevuto ciò che meritava e lei era ancora fottutamente viva! Nonostante tutto lei era ancora lì, e quel mostro che voleva vederla morta e sottomessa invece era diventato la portata principale di un piccolo carnivoro. Lui era morto. Lei ora lo guardava mentre finiva nel peggiore dei modi.
Ocean era ancora lì! Era ancora in piedi.
Si lasciò alle spalle la stanza che ora si riempiva di suoni poco gradevoli di carne lacerata, versi gutturali, famelici, colmi di soddisfazione, e si diresse verso il bagno poggiandosi al muro per trovare sostegno. Nella mano destra stringeva ancora la pistola, e nella sinistra, quella che si poggiava alla parete, il coltello. Sperava di non usarle per un po' entrambe. Non sapeva perchè aveva preso la pistola, non amava quel genere di arma, troppo rumorosa e lei troppo imprecisa, ma al momento stringerla tra le dita le dava forza e sicurezza. Si poggiò al lavandino del bagno dopo essersi chiusa la porta alle spalle, forma di precauzione nel caso qualche zombie fosse rimasto in casa a circolare, e si lavò via il sangue di dosso. L'acqua fredda al contatto con la pelle la faceva tremare e a tratti le faceva male, ma vedere il sangue correre via fin dentro la tubatura era come una purificazione. Doveva togliersi di dosso quella merda. Notò aveva tratti di pelle violacea che al tocco la facevano gemere. Era piena di lividi. Si guardò allo specchio crinato: la guancia era rossa e si stava gonfiando. Aveva tagli in più punti, causati dalla battaglia del giorno prima e da quella di quella sera. Ferite che si mischiavano a ferite, che si riaprivano, che si aggiungevano rovinando sempre più il suo corpo, segnandolo e marchiandolo. Si sfiorò la spalla sinistra, quella dove era stata sparata: il fazzoletto avvolto era pregno di sangue. Aprì lo stipetto del bagno dove c'era qualche medicina, qualche garza e vari flaconcini. Li scosse per sentire se c'era qualcosa dentro: molti erano vuoti, e li fece cadere dentro il lavandino. Gli antidolorifici erano finiti, ma per fortuna trovò un antibiotico con ancora ancora qualche pasticca dentro. Ne buttò giù una e posò le altre sullo specchio, fissandosi mentalmente il promemoria di portarselo dietro. Si tolse la fasciatura dalla spalla facendola rigurgitare un po', prese delle bende sterilizzate, ancora chiuse nella confezione e si rifece la fasciatura, aiutandosi con i denti, stringendo il più possibile per tentare di fermare l'emoragia. Si lavò con cura le ferite, tentando di coprire le più grandi con della carta e altre bende. Mancavano cerotti e acqua ossigenata, non poteva che arrangiarsi come poteva. Si sciacquò infine la bocca, prese gli antibiotici e le armi e uscì nuovamente dal bagno, zoppicando, barcollando, reggendosi in continuazione a ciò che trovava attorno a sè. Tornò in camera, prese i suoi pantaloni e se li rinfilò cercando di strofinare il meno possibile contro i graffi e le sbucciature che aveva sparse per le gambe. Rimase al piano di sopra qualche minuto, in cima alla rampa di scale, affidandosi solo al suo udito, cercando di capire come fosse la situazione al piano di sotto. Il silenzio suggeriva che era tutto tranquillo, ma il buio non le dava la giusta sicurezza a scendere. Tossì e tentò di attenuare il rumore con una mano, serrando le labbra. Si poggiò una mano alla testa che pulsava a ogni battito del cuore e decise di rimandare la sua visita al piano di sotto. Tornò nella stanza dove aveva rischiato di morire, chiuse la porta alle sue spalle e con grande sforzo riuscì a bloccarla con il comò, spostandoglielo davanti. Lanciò un ulteriore sguardo alla stanza, assicurandosi fosse tranquillo e che lo zombie morto ai piedi del letto fosse veramente morto. Non si muoveva, non reagiva ai rumori ma lei non riusciva a sentirsi tranquilla. La paura ancora l'attanagliava. Aveva rischiato troppo. Lo afferrò e sollevandolo appena, data la sua stanchezza, riuscì a trascinarlo fino all'armadio. Lo infilò all'interno, chiuse lo sportello e lo bloccò con la corda che l'uomo aveva usato per legare le sue caviglie. Nel caso si fosse risvegliato non sarebbe uscito di là tanto facilmente. Poi si lasciò cadere con pesantezza sul letto, e tenendo ancora stretta tra le dita pistola e coltello, si lasciò cadere in un profondo sonno, sperando questa volta sarebbe stato finalmente ristoratore e senza incubi.

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