Convergenza evolutiva

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<< Prendila tu, Daryl! >> urlavano i suoi sogni, fumo che andava disperdendosi nella silenziosa notte.
<< Andate!! >> echi in lontananza, che tornavano, flebili, ma chiari nel loro tentativo di schiacciare chi era presente.
<< Andate! >>
<< No, aspetta. >>
<< Andrà tutto bene, Molly. >>
Sogni su sogni, echi che scacciavano i precedenti, che tornavano, rimbalzavano, si allontanavano e poi colpivano senza sosta quella nera figura seduta a terra, raggomitolata tra le radici sporgenti di un albero, schiacciata a esso, sentendosi un coniglio incapace di tornare nella sua tana. Incapace di tornare a casa sua. Solo nel suo pericolo.
Le braccia tese coprivano, quasi schiacciavano, il viso, nascondendolo e proteggendolo. Aveva freddo. Aveva paura.
Ed era irrimediabilmente sola.
<< Max! >> un altro urlo, disperato in tutta la sua forza, risvegliò altri sogni, ricordi, paure.

<< Prendila tu, Daryl! >> aveva implorato Ocean quella mattina, cercando di porgere la bambina a Daryl, compagno di quel piccolo viaggio che, incredibilmente, l'aveva reso il più grande dopo così tanto tempo. Il resto era stato tutto così rapido che nessuno dei due era riuscito a quantificare il tempo e a decifrare bene le azioni svolte, in pochi attimi Ocean si era liberata di Molly, lasciandola a Daryl, e lui era fuggito via senza voltarsi. Senza tornare indietro. Ed era stata la cosa più giusta che potesse scegliere di fare.
Ocean aveva sfoderato la spada nell'istante in cui li aveva incitati a correre via e si era buttata a capofitto in quell'onda violenta, uno tsunami che aveva fronteggiato con forza e coraggio, richiamando energie che neanche sapeva di possedere. Non si era voltata indietro, non si era assicurata che Daryl avesse seguito il suo suggerimento, ma sapeva che l'aveva fatto. Aveva una bambina da proteggere. Gli zombie erano più numerosi di quello che aveva calcolato inizialmente, probabilmente i rumori della battaglia ne stavano attirando altri che fino ad allora erano rimasti nel bosco a vagare e mangiare scoiattoli che non sempre riuscivano a fuggire. Tagliò la testa al primo, afferrando il corpo prima che cadesse al suolo e lo lanciò contro chi aveva di fronte. Non voleva ucciderli tutti, non ne sarebbe stata capace, doveva solo riuscire a passare e portare via il suo amico. Era più facile scappare. Con un colpo di spada dal basso verso l'alto aprì il ventre di un altro di quei Putridi che la stavano circondando, questo ovviamente non lo uccise, ma il colpo inferto lo fece cadere all'indetro e guadagnare altro tempo. Corse. Uno davanti a lei era già pronto, fauci spalancate, per riceverla e addentarla, incurante dello sguardo ben fermo e deciso della ragazza mentre gli correva incontro. Sapeva che non erano il top della resistenza, avevano un equilibrio precario e bastava poco a piegarli, tutto causato dalle loro ossa e muscoli ormai in putrefazione e marci. E su quel principio si basò quando gli arrivò addosso con una spalla, ben china su se stessa, scaraventandolo a terra e rotolando lei stessa poco più lontano. Era riuscita così a crearsi un varco tra di loro, arrivando al suo obiettivo, anche se nella caduta, non seppe bene come, lo zombie aveva trattenuto a sè uno dei suoi guanti, forse nel tentativo di afferrarla. Max, poco lontano da lei, continuava ad abbaiare rabbioso contro chi gli si stava lanciando addosso, correndo, arretrando, cercando una disperata via d'uscita.
Un altro dei Putridi avanzò, cercando di afferrarlo e lui ancora si voltò velocemente e scappò, infilandosi tra le loro gambe, cercando di uscire dall'orda, e ritornò sulla strada, vicino all'auto. Ocean si alzò cercando di riprendere a respirare: nella caduta a terra aveva sbattuto il fianco e il fiato le era mancato per il dolore. Uno di loro le arrivò alle spalle, cogliendola di sorpresa, ma per fortuna non abbastanza da morderla prima che potesse difendersi: era sempre pronta, da quando era cominciato tutto, a reagire alle sorprese. Il suo carattere l'aveva aiutata molto: nelle situazioni di pericolo, spesso (ma non sempre, a quanto pare, dato ciò che era successo alla chiesa) il suo cervello rallentava le azioni intorno a lei e le donava una lucidità unica, capace di trovare soluzioni in pochi attimi. E per quello riuscì a salvarsi: si portò istintivamente una mano dietro la spalla, afferrando lo zombie per fronte e capelli. Non avrebbe potuto tenerlo a lungo, loro non sentono dolore e la loro pelle marcia rende tutto più difficile a volte: la pelle e il cuoio capelluto si stava staccando dal suo proprietario, non impedendogli di avanzare verso la sua carne. E all'urgenza si stava sommando urgenza: davanti a lei un altro di loro stava per lanciarsi verso la sua preda. Lasciò cadere la spada a terra, sfoderò la daga, più comoda in certe occasioni, e la conficcò nella testa che aveva quasi sfiorato la sua spalla. Non ebbe tempo di sfilarla e liberarsi del corpo, l'altro zombie l'aveva raggiunta. Alzò un piede e sferrò un calcio davanti a sè, spingendolo via. Il contraccolpo e il peso che ancora aveva aggrappato alla schiena le fecero perdere l'equilibrio e cadere all'indietro, atterrando pesantemente sul corpo del Putrido, che, dato la sua fragilità e il peso della ragazza atterrata sopra di lui, si aprì come un palloncino pieno d'acqua, riversando sotto di lei qualsiasi cosa contenesse: budella, sangue e cibo appena ingurgitato. Si alzò subito, scuotendo la testa frastornata, ma dovette tornare subito in sè, non c'era tempo. Si chinò sullo zombie schiacciato, ormai impacciata per via di confusione e dolori sparsi qua e là, e afferrò la sua daga per sfilarla, ma era incastrata e non venne via. La sua debolezza completava l'opera: cominciava ad essere veramente stanca. Puntò i piedi per terra e tirò all'indietro usando la forza che le rimaneva alle gambe per fare leva. La daga era conficcata così in profondità e incastrata così bene che Ocean dovette trascinarsi dietro il corpo per un po' prima di riavere la sua proprietà. La violenza con cui poi venne via le fece perdere ulteriormente l'equilibrio, barcollando all'indietro, lasciandosi sfuggire un grido, ma fortuna volle che dietro di lei ci fosse un albero su cui potè poggiarsi per evitare di finire nuovamente a terra. Si poggiò sul tronco con una mano, cercando di riprendere subito l'equilibrio, e riprendendo immediatamente a correre, senza neanche notare l'impronta insanguinata che aveva lasciato sulla corteggia ben disegnata. Sfoderò un altro paio di colpi, aprendosi un'altra strada, riafferrò la spada lasciata a terra e corse di nuovo verso il suo amico, zoppicando e arrancando. Riuscì a vederlo di nuovo: le spalle schiacciate contro l'auto, tre zombie che lo avevano circondato di nuovo e stavano avanzando verso lui che ancora faceva l'unica cosa che poteva fare: abbaiare, nella speranza di spaventarli.
<< Max!! >> urlò Ocean correndogli incotro.
Uno dei Putridi si lanciò in avanti, braccia tese, pronto ad afferrarlo, e Max disperato si voltò velocemente e cercò di saltare sul cofano dell'auto. Mugolò quando sentì una fitta alla zampa e una forza che lo tratteneva nel salto, facendolo sbattere contro il cofano, impedendogli di salire del tutto. L'aveva preso. Gli aveva afferrato la zampa e lo aveva trattenuto, facendolo sbattere. Max, orecchie basse e sguardo disperato, tentò di usare le unghie per salire sull'auto come programmato ma scivolava e lo zombie non lo lasciava. La zampa gli doleva.
<< Max!! >> urlò ancora Ocean riuscendo finalmente a raggiungerlo, si lasciò cadere in avanti in un disperato tentativo di arrivare prima, la spada ben tesa davanti a sè andò a colpire la giuntura del gomito del Putrido che non voleva lasciare il suo amico. L'impatto tagliò di netto il suo braccio, ma la forza impressa contro esso tirò giù anche la parte di braccio attaccata alla zampa del cane, trascinandoselo dietro e facendolo cadere sull'asfalto con un tonfo. Un altro guaito prima di cominciare a divincolarsi per rimettersi in piedi. Ocean tentò anche lei di rialzarsi, ma voltando la testa fece appena in tempo a vedere il volto del suo aggressore mentre le cadeva addosso con le fauci spalancate. Neanche lei seppe bene con quale forza e quale destrezza riuscì a piroettare la spada, nonostante la scomoda posizione, e a recidergli il cranio, aprendoglielo e uccidendolo. Sangue e cervello colarono sul suo viso. Il disgusto e la voglia di vomitare le diederò la forza per spingere violentemente via il corpo morto che le stava sopra.
Vomitò, non riuscendosi più a trattenere. E si odiò per questo: era un pessimo momento per fermarsi per certi bisogni fisiologici. Cercò di correre via subito, arrancando, ancora sporca di qualsiasi cosa ci fosse intorno a lei. Si poggiò al cofano, debole, dolorante, sicuramente ferita e le gambe che tremavano per sforzo e paura. Ma la mano che reggeva la spada non cedeva. Con un colpo orizzontale, deciso, aprì il volto a un altro di loro, facendosi strada. Vide Max, davanti al muso dell'auto, che si guardava attorno ormai impanicato, ferito anche lui e con la zampa che era stata afferrata sollevata in alto, incapace di posarla a terra senza sentire un dolore atroce. Inciampò nella sua maldestria, sbattendo il muso di nuovo contro l'asfalto. Ocean gli corse incontro, barcollante anche lei, rinfoderò la spada e usò entrambe le braccia per raccogliere il suo amico e tirarselo su. Si guardò attorno in cerca di una via d'uscita: non ce n'erano.
I suoi occhi si tinsero di disperazione.
Non così. Non poteva finire così.
Aveva paura. Ma non per sè...Max. Max doveva salvarsi!
Arretrò velocemente, sbattendo contro il muso dell'auto e senza pensarci due volte si arrampicò su essa e si infilò dentro, passando dal parabrezza che lei stessa aveva sfondato poco prima. Fece cadere Max sul sedile posteriore e lo seguì con la stessa grazia, spingendosi e cadendo, ma arrancando riuscì a fare ciò che andava fatto prima che fosse troppo tardi. Si spinse dietro, verso il portabagagli e con forza lo chiuse. Prese poi il divisore in plastica dura che separava il portabagagli dal resto della vettura e ancora con una velocità che solo la paura di morire poteva dargli si spinse sui sedili anteriori e lo schiacciò sul parabrezza frantumato, improvvisando un tappo che non avrebbe sicuramente retto se non qualche secondo. Riuscì a fermarlo legando i suoi lacci elastici a delle piccole sporgenze ai lati del parabrezza, resti di vetri o di carrozeria: insomma niente di resistente. Ma non sapeva che altro fare. Intanto uno dei Putridi cercò di entrare nell'auto dallo sportello accanto a sè spalancato. Lanciò un urlo e con un altro paio di calci riuscì a spingerlo via e chiudere lo sportello. Spinse poi le sue spalle contro il tappo improvvisato, usando anche la sua forza per impedire che venisse tolto. Solo la disperazione continuava a tenerla in vita. Era chiusa in un auto che mai avrebbe retto al peso dei Putridi sul parabrezza, che mai sarebbe stata sicura e libera. Mai sarebbero usciti di lì. Lanciò un urlo cercando di raccogliere le forze per continuare a resistere alle spinte che venivano date alle sue spalle. Una lacrima le rigò il viso. Erano finiti. Non potevano farcela. Un singhiozzo.
Cosa doveva fare? Cosa poteva fare?
Max steso sui sedili posteriori ormai non si muoveva più e Ocean l'avrebbe creduto morto se non fosse stato per i suoi gauiti flebili.
Ancora un urlo disperato. Una richiesta di aiuto che mai sarebbe arrivata a chi di dovere.
<< Aiutatemi. >> singhiozzò ancora.
E all'improvviso si ritrovò a urlare con quanto più fiato avesse, mossa dall'istinto, qualcosa che la sorprese << Daryl!!!>>.
Aveva sempre creduto di potercela fare da sola. Era sempre stata sola, non aveva bisogno di nessuno, non voleva nessuno, eppure in quel momento, dopo tutto quello che era successo, aveva pregato di averlo accanto. Perchè sapeva lui l'avrebbe potuta tirare fuori dai guai. Lui aveva vegliato su lei in quei due giorni, e per la prima volta dopo tanto tempo si era sentita sicura. A lungo era fuggita dalle persone, non volendo più avere niente a che fare con loro, disprezzandole e scansandole. Tutte!! Nessuno escluso. E aveva pensato che soprattutto quel Daryl era da evitare come la peste, perchè era il peggiore di tutti, lo si vedeva, era uno stronzo a prima vista. Ma l'aveva giudicato male. Ora... aveva bisogno di lui. Solo allora se ne rese conto. Era stato l'unico essere umano con cui aveva avuto a che fare dopo così tanto tempo, l'unico essere umano che l'aveva fatta sorridere e fatta star bene dopo quel giorno...E lui sarebbe tornato...sì, sarebbe tornato a salvarla! Lo aveva fatto prima, perchè non poteva succedere di nuovo? Lui...aveva la sindrome dell'eroe. Non l'avrebbe mai lasciata sola.
Ma avrebbe resistito fino ad allora?
Un altro colpo arrivò dalle sue spalle, spingendola un po' in avanti, quasi sfondando il suo tappo provvisorio, ma con un colpo di spalle riuscì a far tornare tutto al suo posto.
No, non avrebbe resistito un minuto di più.
<< E va bene. >> disse tra sè e sè ormai decisa. Si spostò velocemente dal tappo, pregando reggesse ancora qualche secondo da solo senza sostegno e si lanciò verso i sedili posteriori, dove era steso Max. Aveva la mano sporca di sangue, sia suangue loro che suo, era abbastanza per permetterle di scrivere qualcosa. Una disperata richiesta d'aiuto. Un addio.
"Sindrome dell'eroe".
Avrebbe sicuramente attirato la sua attenzione quando sarebbe tornato, era un messaggio rivolto solo a lui, la sapeva, ed era anche un suo personalissimo addio con una delle sue battute sarcastiche tanto "gli piacevano". Perchè di quello si trattava, due sole parole per dire così tanto: aiutami. Sapevo che saresti tornato. Non puoi proprio fare a meno di correre ad aiutare le persone. Io te l'avevo detto.
Addio.
Fece un respiro raccoglitore.
<< Andrà tutto bene, Max. >> disse non sapendo bene chi dei due stava cercando di rincuorare, e con uno sprizzo di coraggio che non aveva spalancò la portiera con forza, spingendo via gli zombie che ci si erano appoggiati sopra, uscì e la richiuse velocemente prima di allontanarsi di qualche passo. Si voltò a guardare quelli che si stavano affaccendando sull'auto e lanciò un urlo << Ehi!! >> gridò due, tre volte, sempre più forte, dimenandosi e sbracciandosi << Sono qui!! >>.
Molti la sentirono e furono attirati dal suo rumore, altri invece erano ancora attratti dall'odore del cane dentro l'auto. Ocean si chinò a raccogliere un sasso, arretrò di qualche passo per allontanarsi da chi si stava già dirigendo verso lei e lo lanciò verso quegli zombie che ancora non la consideravano.
<< Prendetemi! Forza! >> Si voltò, guardando di nuovo il bosco a lato strada: non poteva correre per strada, non aveva modo di nascondersi, non sarebbe riuscita a liberarsi di loro. Cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva, continuando ad attirare la loro attenzione, voleva portarseli tutti dietro. Dovevano lasciare in pace Max. Lui doveva salvarsi. Daryl sarebbe riuscito a salvare almeno lui. Lo sapeva.
Corse nel bosco, continuando a farsi strada da chi si trovava di fronte, utilizzando quasi solo spintoni e spallate, non aveva tempo di giocare alla guerra. Riuscì a inoltrarsi nuovamente tra gli alberi, ma era ancora sul campo di battaglia.
Si sentì improvvisamente strattonare all'indietro e lanciò un altro urlo, spaventata. Si voltò e vide che uno degli zombie che le erano sbucato di fianco l'aveva afferrata per la sacca. Cercò di strattonarla per liberarla: era sua! C'erano le sue cose dentro. Ma lo zombie non mollava la presa e lei non aveva tempo da perdere, doveva scappare o si sarebbe di nuovo trovata circondata.
<< Vaffanculo!! >> urlò tra le lacrime quando lasciò la presa, lanciando addosso al Putrido il suo bottino e scappando via, urlando ancora, sbattendo la spada contro pietre e alberi, attirandoli lontani dal suo amico. Dolore e fatica. Non c'erano altro in lei. Voleva fermarsi, voleva riposare, non riusciva che a zoppicare, ma la sua disperata voglia di vivere la spingeva sempre più avanti, arrancando, inciampando ma senza fermarsi.
Non ancora.
La notte era calata da tempo, l'oscurità nascondeva non solo lei, ma anche tutti i possibili pericoli che poteva avere attorno. Aveva dolori ovunque, lividi e ferite che ancora vomitavano sangue. I muscoli avevano lavorato più di quanto era per loro possibile e ora non facevano che chiedere pietà, riposo e cure. Il freddo la faceva tremare come una foglia. La paura ancora non se n'era andata, aggiungendo scosse ad altre scosse. Ma nonostante tutto questo lei dormiva. Si era lasciata andare nel momento in cui era crollata a terra, tra quelle radici, come un animale che tenta disperatamente di nascondersi, e non aveva neanche fatto in tempo a sistemarsi per cercare una posizione comoda che gli occhi si erano chiusi e l'oblio era calato su lei.
Passò un l'intero pomeriggio e la notte che seguiva a dormire, un sonno senza sogni, solo qualche ricordo che tornava come un esplosione, si mostrava, spaventava e poi lentamente si diradava.
Qualche zombie era passato di lì più volte, notandola, ma lasciandola stare: era ricoperta di sangue marcio e interiora, puzzava come uno di loro, ed era immobile se non per qualche lamento e movimento causato dal continuo irrigidirsi del muscoli. La scambiavano per una di loro, non profumava affatto di cibo, e proseguivano per la loro strada.
Il giorno successivo, dopo quasi 24 ore di sonno, Ocean riaprì gli occhi e si sentì peggio di un cadavere. Aveva la nausea e sentiva ancora più dolore del giorno prima, gli occhi bruciavano, la gola secca continuava a procurarle tosse e il mal di testa non voleva lasciarla in pace. Si puntellò su un braccio e tentò di rialzarsi, guardandosi attorno, sollevandosi con fatica e cercando di rimettere ordine ai pensieri. Per sua sfortuna ricordava tutto quello che era successo. Aiutandosi con l'albero che aveva alle spalle si sollevò in piedi, gemendo a ogni movimento: i muscoli sembravano essere diventati di pietra.
Aveva sete. Doveva trovare dell'acqua.
Così cominciò a camminare verso l'unica direzione che conosceva, lenta, muovendo a fatica le gambe, e zoppicando. Il sangue era incrostato ovunque e alimentava la sua nausea con quel suo odore disgustoso.
Non si chiese cosa avesse dovuto fare ora. Era una domanda che non voleva porsi, perchè già sapeva che non avrebbe trovato risposta. Era sola e senza un obiettivo, senza sapere cosa avrebbe fatto ora della sua vita, e per ora si limitava a seguire l'istinto e andare alla ricerca di una fonte d'acqua.
Qualsiasi pensiero le venisse alla mente lo scacciava in malo modo: ora l'acqua! Ora solo l'acqua!
Camminò a lungo, o forse così le sembrò data la sua lentezza, quando raggiunse una casa isolata, una di quelle villette nel bosco che tanto piaceva alla gente. Forse lì dentro c'era dell'acqua, forse c'era ancora acqua corrente. Cercò di accelerare il passo, digrignando i denti per il dolore, e raggiunse velocemente il pianerottolo esterno. Salì gli scalini e si avvicinò alla porta a vetri. Lanciò uno sguardo dentro, cercando di vedere oltre l'opacità causata dalla polvere. Sembrava tranquillo.
Bussò, per sicurezza. Nel caso ci fosse stato qualche zombie il rumore l'avrebbe attirato e lei non sarebbe stata colta impreparata.
Nessuna risposta. Posò la mano sulla maniglia e aprì, entrando lentamente e cautamente. La sala sembrava deserta. Si chiuse la porta alle spalle e zoppicando cominciò ad avanzare, cercando un bagno o una cucina. Qualsiasi cosa avesse un lavandino.
Entrò nella cucina, separata dal resto della casa da una tendina a perline che scendeva dall'alto, molto all'antica, e cercò il lavandino con gli occhi.
Un paio di occhi bianchi all'improvviso la fecero sussultare. Rimase pietrificata mentre lo zombie che le si era piazzato davanti la scrutava.
"Merda!" pensò mentre l'istinto le portò velocemente la mano alla spada. Ma non la estrasse.
Cosa aspettava ad attaccarla?
Lo zombie fece qualche verso, lamentò, sembrò guardarsi attorno e poi si voltò e si allontanò lasciando Ocean completamente disorientata. Si guardò i vestiti, curiosa di capire cosa avesse tenuto a distanza la morte, e subitò capì che si era salvata solo grazie al sangue di quei due o tre zombie che il giorno prima avevano riversato su di lei tutto ciò che contenevano.
<< Scambiata per un morto. >> parlottò tra sè e sè e provò a ridere, ma dalla sua bocca uscì solo qualche colpo di tosse che le raschiò la gola come la lama di un coltello seghettato. Si portò una mano al collo d'istinto e fece una smorfia di dolore.
Aveva trovato la situazione così ironica. Per la prima volta non era lei a fare del sarcasmo sugli altri, ma era stata la vita stessa a farlo su lei. Era morta dentro, Alice era morta da un pezzo, e ora vagava come uno di loro, barcollando, e veniva addirittura accettata nella comunità dei mangiatori di carne come fosse davvero uno di loro.
<< Sono un morto che cammina anche io ora. >> rise ancora, tossendo, lamentando dolore. Lo zombie si voltò attirato dallo strano rumore, ma Ocean non gli diede tempo di realizzare che la sua compagna di stanza era cibo. Gli si avvicinò con assoluta tranquillità, sapendo che fretta non ce n'era finchè era conciata in quella maniera, estrasse la daga e cercando di dare quanta più forza potesse nel braccio la conficcò nella fronte del Putrido. Lo lasciò cadere a terra, controllando fosse morto davvero, e si diresse infine verso la sua fonte d'acqua. Aprì il rubinetto e quasi si commosse quando la vide scorrere. Piegò la testa e infilò le labbra sotto il getto, bevendo avida, sentendo il liquido fresco placare un po' il fuoco che aveva in gola. Si lavò poi mani e faccia, chiuse il rubinetto e decise di perlustrare la casa prima di mettersi a suo agio. Era bene assicurarsi fosse sicura. Perlustrò ogni singola stanza, ogni angolo, ogni armadio e sotto ogni letto. Ovunque potesse nascondersi del pericolo. Trovò un altro paio di zombie nelle altre stanze, probabilmente membri della famiglia che abitava lì, ma nessuno tentò di attaccarla e Ocean riuscì a porre fine al loro vagare quasi con dolcezza.
Voleva farsi un bagno quanto prima, aveva visto avevano una vasca e desiderava affondare nell'acqua il prima possibile, anche se sicuramente sarebbe stata gelata. Ma aveva ancora una stanza da controllare.
L'aprì e il cuore si fermò. Sulle pareti azzurre erano disegnati personaggi di cartoni animati. La moquette era piena di giocattoli. Sul letto era stesa una copertina in pile con sopra pianeti e navicelle spaziali. Ocean fece un passo entrando all'interno della stanza e la gola tornò a bruciare. Gli occhi si appannarono e senza rendersene conto un lamento le uscì dalle labbra. Quei personaggi dei cartoni, alle pareti, erano macchiati di sangue. La coperta in pile era strappata. Alcuni giocattoli anche loro macchiati di quel terribile destino. Per terra, la moquette, era in alcuni punti impiastricciata e incrostata. Si portò una mano alla bocca cercando di soffocare i lamenti.
Il mondo era diventato l'Inferno, e l'Inferno si sa è per i peccatori, per coloro che in vita avevano commesso crimini e violenze, per questo era così facile colpire e sopravvivere. Se quello era l'inferno, i Putridi erano i dannati e come tali avevano sicuramente fatto qualcosa per meritare tutto quello. Loro meritavano la loro fine, per forza! Era colpa loro se erano diventati così. Ma i bambini...i bambini riportavano alla violenta realtà. Loro che colpa potevano avere? I bambini erano innocenti, non meritavano quel destino. Perchè tutto questo? E solo allora realizzò che non c'era spiegazione logica che teneva: era la fine del mondo, e nessuno scappava. Prima o poi chiunque giungeva al proprio destino, anche i buoni e gli innocenti. Il crudele Dio era sceso in terra e stava divorando ogni cosa.
Nessuno scappava.
Si voltò a guardare il mobile che era poggiato alla parete alla sua destra, sopra erano riposti altri giocattoli. Ne prese uno e un altro singhiozzo la scosse, facendo scivolare via una lacrima dai suoi occhi. Sorrise, ma era un sorriso triste. Un pupazzetto snodabile di IronMan. Ne aveva già visto uno simile, lei stessa l'aveva comprato e regalato...a qualcuno. Qualche ricordo guizzò, come pesciolini che saltano fuori dall'acqua, riempiendola di tristezza e malinconia, e anche se poi rispariscono subito sotto la superficie, i cerchi formati restano a lungo, allargandosi, prendendosi sempre più spazio dentro quel piccolo laghetto di malinconia.
"Abbiamo giocato tante volte assieme con questo" pensò muovendo le braccia del pupazzetto e mettendolo in posizione di attacco, come sempre aveva fatto in precedenza. Ricordava c'era un pulsantino dietro la schiena, se premuto faceva il rumore di IronMan nel film quando sparava. Lo voltò e lo premette. Il rumore si prolungò fintanto che Ocean tenne premuto, un eco dei suoi pensieri. Poi un altro rumore si aggiunse nella stanza, facendola sussultare. Versi. Versi che conosceva bene.
<< No. No, ti prego. >> sussurrò tra sè e sè pregando di essersi sbagliata, pregando che voltandosi non avrebbe visto ciò che temeva. Un nodo le chiuse la gola.
E si voltò.
<< No. >> lamentò con un singhiozzo.
Uno zombie si stava avvicinando a lei, attratto dal rumore del pupazzetto. Uno zombie che arrancava sui suoi piedini, che spesso inciampava e continuava a gattoni, lento. Uno zombie non più alto di 80 cm e che allungando le sue manine paffute, nel tentativo di afferrare la preda, rendeva tutto più triste di quanto già fosse.
Era la prima volta da quando era successo tutto che incontrava un bambino. I capelli neri, lisci, ormai secchi e diradati incorniciavano il suo viso tondo, violaceo. Ocean arretrò di un passo, trovandosi improvvisamente a singhiozzare, e andò a sbattere contro l'angolo del mobile dietro di lei.
<< No, ti prego. >> singhiozzò ancora. Portò una mano alla daga, tremando come mai aveva fatto prima. Sapeva quello che andava fatto. Non era più un bambino, era un mostro, come tutti gli altri e andava ucciso prima che lui avesse ucciso lei. Ma non ce la faceva. Come poteva farlo, con che cuore avrebbe piantato un arma affilata nella testa di una creatura così piccola.
Sfilò la daga dal fodero, tremando ancora e si inginocchiò, lasciando cadere il pupazzetto a terra, guardando il bimbo mentre avanzava e lentamente si avvicinava. Singhiozzò ancora, non riuscendosi a fermare.
Afferrò il collo del bambino con la mano libera, bloccandolo, impedendogli così di avvicinarsi oltre e morderla. La sua pelle era così fredda. Alzò la daga, cercando dentro sè la forza per farla cadere sulla sua testa, per fare il suo dovere. Altre lacrime si riversarono sulla sua guancia mentre il bambino bloccato si dimenava, allungando le braccia verso lei, chiudendo ritmicamente la bocca desideroso di mordere.
Gli occhi le si appannarono, impedendole di vedere. La mano che reggeva la daga si portò velocemente al suo viso e con la manica si asciugò, prima di tornare alla sua posizione. Ma la vista le giocò un brutto scherzo. Quel bambino prese improvvisamente sembianze che non aveva, ma che lei conosceva così bene e che custodiva da tempo dentro sè. Le sembianze di quel bambino che aveva portato a lungo gelosamente con sè, dentro il suo portafoglio.
La mano alzata cadde improvvisamente, arresa, facendo scivolare via la daga sul pavimento.
<< Non ce la faccio. >> sussurrò << Non ce la faccio. Mi dispiace. >>.
Si alzò in piedi, sollevando il bambino, sempre tenendolo ben fermo per la gola impedendogli così di morderla e si diresse verso il lato sinistro della stanza, dove era poggiato un box con sbarre alte e altri giochi all'interno. Lo poggiò lì dentro e si allontanò velocemente di un passo. Il bambino si sollevò di nuovo in piedi e arrancò fino alle sbarre del box, contro cui si schiacciò e allungò le manine verso la ragazza, lamentando, dimenandosi. Ocean lo guardò per qualche secondo, non pensando a niente di preciso, cercando solo di liberarsi da quel dolore che le attanagliava il cuore, poi si voltò, prese il pupazzetto di IronMan che aveva lasciato a terra, lo raccolse e lo portò dal bambino, facendoglielo cadere nel box. Abbassò gli occhi dispiaciuta, triste e silenziosamente uscì dalla stanza chiudendosi accuratamente la porta alle spalle.
La casa era ripulita a dovere. Ora poteva godersi il suo bagno.

A brand new world (A brand new me)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora