Pensieri notturni

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Quella sera Harleen, con tutte le valigie al seguito, si era diretta presso il suo alloggio, un piccolo appartamento poco fuori da Gotham. Si trovava in una zona di campagna, abbastanza tranquilla, vicino ad un enorme campo di grano. Faceva abbastanza freddo. La giovane dottoressa si era appena sistemata per la notte e teneva tra le mani una calda tazza di tisana al gelsomino. Continuava a pensare a quelle labbra allargate nel sorriso piú divertito che avesse mai visto in vita sua. Era strano. Non era esattamente come si aspettava. La reazione del suo futuro paziente di fronte a lei era stata particolarmente insolita. Harleen ripensó a quello che le aveva detto. Come la aveva chiamata? Aveva già scordato quello strano nome. Si decise a non soffermare troppo i suoi pensieri sull'accaduto, rimuginare sulle azioni compiute da una mente curiosa e malata come Joker, nonostante la sua innata intelligenza, poteva arrivare a creare una confusione ed un turbamento interno che lei in quel momento preferiva evitare. Aveva sentito il direttore per telefono. Vista la situazione, si era scusato con la professionista, fissandole un incontro ulteriore per l'indomani.
Harleen non si era fatta troppi problemi ma il direttore pareva piuttosto turbato. La guardia era stata rafforzata per la notte, qualunque movimento facessero i detenuti era completamente controllato da telecamere di massima sicurezza. Aveva rassicurato la dottoressa Quinzel che egli stesso avrebbe seguito lo spostamento del paziente della cella 17, non rendendosi conto che la giovane professionista era tranquillissima. Non era stata cosí scossa dalla situazione. Era abituata a stare in mezzo ai matti. Era cresciuta in una famiglia disfunzionale. Aveva voltato pagina dedicandosi alla medicina ma si sa, il passato è sempre pronto a bussare alla nostra porta. Tuttavia Harleen era una persona tranquilla, una ragazza un po' riservata, studiosa, desiderosa di apprendere e di fare carriera. Quel caso avrebbe potuto dare una svolta alla sua carriera, non vedeva l'incarico come un dispiacere ma come un'opportunità. Aveva letto di tutto su Joker. Una parte di lei ne era intimorita, il suo lavoro l'aveva spesso portata a spaventarsi di fronte a dei pazienti psichiatrici molto gravi ma allo stesso tempo si sentiva gratificata dai suoi sforzi. Lei avrebbe curato Mr. J. Sapeva di poterlo fare. Era talmente convinta di potercela fare, da aver ignorato qualunque scoraggiamento le avessero fatto i suoi colleghi prima che lei accettasse l'incarico. Quella sera si distese a letto, dopo aver sorseggiato con calma la sua buona e rilassante tisana. Si sdraió di lato, lasciando la tazza vuota sul comodino e cominciando ad usare il suo dispositivo cellulare per scorrere i social un po' a caso. Di notte le passavano per la mente tanti pensieri confusi. Passava dal programmare mentalmente le sue giornate, mettendo in rassegna gli impegni quotidiani, a fantasticare su scenari poco attuabili e strani. Questa era una cosa di cui Harleen non parlava mai con nessuno. Alle volte nella sua mente vagavano idee inconsuete, le piaceva lasciarsi vagare mentalmente, addormentarsi con quei pensieri per poi tornare alla sua monotona giornata di studio e ricerca medica. Ma quella sera si intrufolarono stranissimi pensieri, la tazza color smeraldo cominció ad assumere la forma di una testa testa verde e le pareti si fecero più scure e sfocate, con il sonno che avanzava prepotentemente. La giovane stava cedendo al sonno. Le rimbombó sottilmente tra i pensieri e le orecchie una voce poco distinta che diceva:- Harley-.

L'indomani la dottoressa si alzó tardi. Si rese conto di avere il telefono accesso sul letto, ed era in uno stato di disordine generale, decisamente poco professionale.
Erano quasi le 8.00.
Doveva essere già ad Arkham per l'appuntamento con il direttore. Si alzó di scatto e corse in bagno a prepararsi di tutta fretta. Come un fulmine in cinque minuti fu fuori di casa. Nemmeno seppe come riuscí ad arrivare al penitenziario. Un brivido le attraversó la schiena. "Stupida che non sei altro". Si disse tra se e se senza scomporsi.
Cercó tutto il contegno che aveva ed entró.
Il direttore non se la prese troppo per quel ritardo, disse alla dottoressa che era normale subire effetti negativi ad incontrare Joker, soprattutto senza preavviso. Lei aveva ribadito di stare bene ma, con incredibile tenerezza, il Signor Terrent, le aveva detto che nessuno fuggiva alla follia di quello psicopatico. Quinzel aveva accettato la critica costruttiva passivamente, come sua abitudine, tenendo i suoi pensieri e le sue idee per se. Quindi si congedó dal direttore per poi consolarsi con un caffè. Amava il caffè, specialmente L'Espresso senza zucchero. A breve avrebbe avuto a che fare con il suo paziente, nel reparto di massima sicurezza di Arkham. Era preparata, era forte, aveva studiato cosí tanto quel caso.
Si sentiva pronta e fiera di essere arrivata fino a quel punto, nonostante le critiche di suo padre ed i terribili atteggiamenti tossici di sua madre e dei suoi fratelli. Sapeva di aver avuto un momento difficile nella sua vita, un inizio complicato si puó dire. Ma questa la aveva spronata ad accettare la sua vocazione per la medicina. Era sempre vissuta in mezzo ai matti, dunque per lei le cose cambiavano solo dal punto di vista della posizione. Adesso si sentiva in qualche modo piú elevata, prima era costretta a sottostare alle regole assurde dei suoi genitori, ad andare dietro alle loro manie assurde ma adesso era lei ad avere il comando. Da psicologa quale era, si sentiva in qualche modo quasi in via di riscatto, quella era la sua vita. Voleva vivere una vita nuova e più bella. Adesso era il capo di se stessa.
"Dottoressa Quinzel il suo paziente è pronto".
Scoccarono le 10.00

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